Lo squalificato
- Autore: Osamu Dazai
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2017
Di Osamu Dazai SoloLibri ha già ospitato una mia recensione al romanzo “Il sole si spegne”, che l’autore nipponico aveva scritto nel 1947, un anno prima di suicidarsi, a trentanove anni.
La vita del giovane e fragile Osamu Dazai era stata tormentata dai difficili rapporti con la famiglia, (soprattutto con lo stimato e influente padre, proprietario terriero benestante e impegnato uomo politico), dalla tubercolosi, dall’abuso di droghe e alcol, da fallimenti professionali e delusioni sentimentali che ne incisero profondamente la psiche, provocandogli frustrazioni e sensi di colpa tali da indurlo più volte a tentare di uccidersi. “Lo squalificato”, questo secondo romanzo, ripubblicato recentemente da Feltrinelli, uscì nel 1948, pochi mesi prima del suo suicidio compiuto per annegamento con l’ultima delle numerose amanti: la stessa modalità di morte era stata messa in atto, precedentemente, con una giovane cameriera che non era riuscita a salvarsi.
Molti dei tragici episodi che costellarono l’esistenza di Osamu Dazai sono raccontati in questo volume, “Lo squalificato”, suddiviso in tre sezioni relative all’infanzia, alla giovinezza e alla maturità del protagonista, un alter ego dell’autore chiamato Yozo.
Dazai-Yozo bambino (cresciuto tra molti fratelli - tutti studiosi, educati, promettenti - in una casa elegante del Giappone settentrionale, curato da una zelante servitù, sotto l’occhio austero e incapace di tenerezza dei genitori), per attirare attenzione e simpatia si ingegna in “pagliacciate” in grado di divertire familiari, insegnanti e compagni di scuola: imitazioni, travestimenti, battute salaci, buffonerie di ogni genere.
“Fintanto che potrò farli ridere, non importa in qual modo, tutto andrà liscio. Purché ne sia capace, è probabile che gli esseri umani non badino troppo se rimango estraneo alle loro vite”.
Gli anni del liceo e dell’università, trascorsi in vari collegi, presso lontani parenti o in squallide stanzette in subaffitto, non fanno che rinsaldarlo nella convinzione di essere un fallito, inadatto alla vita sociale, disorientato emotivamente e ideologicamente: una delusione per se stesso e per il mondo intero.
“Tutto ciò che io sento, sono gli attacchi d’apprensione e terrore all’idea di essere l’unico individuo assolutamente diverso dagli altri. Mi è quasi impossibile conversare col prossimo”.
Trova scampo alla disperazione nell’alcol, nella droga, negli psicofarmaci e nella frequentazione di prostitute. Si abbrutisce in compagnia di amici viziosi e inconcludenti, che lo inducono ad abbandonare gli studi universitari per dedicarsi dapprima alla politica con un gruppo di esagitati marxisti, poi al disegno, senza tuttavia trovare soddisfazione e successo in alcuna delle attività intraprese. Conteso dalle donne a causa del suo fascino da “bello e dannato”, non riesce mai a innamorarsi; si sposa e viene ingaggiato come vignettista da riviste di quart’ordine. Poi, scoprendosi tradito anche dalla moglie, fugge di casa, diventa morfinomane ed è internato in una clinica per malattie mentali. L’epilogo della vicenda è riassunto in poche, sconfortate, parole:
“Tutto passa. Questa è la sola e l’unica cosa che a parer mio s’avvicini alla verità, nella società degli esseri umani, dove ho dimorato sin oggi come in un inferno rovente”.
“Lo squalificato” conobbe un notevole successo in Giappone e in Europa, essendo partecipe sia della composta tradizione letteraria nipponica sia delle influenze della cultura occidentale novecentesca più innovativa. In questa edizione è introdotto da un saggio alquanto insulso del critico americano Donald Keene che, divagando sulla questione dell’originalità della scrittura giapponese, si chiede se essa debba mantenersi fedele al passato o adeguarsi alle mode contemporanee.
Lo squalificato
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