Lo Stato di ebbrezza
- Autore: Valerio Varesi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Frassinelli
- Anno di pubblicazione: 2015
Con "Lo Stato di ebbrezza" Valerio Varesi ci propone l’autobiografia di una Nazione che ha fatto dell’inganno e del compromesso la sua quintessenziale figura di destino, con al centro il disegno di un’amara parabola che origina ancora nel terreno della speranza e sconfina nel niente. A rievocarne la discesa inarrestabile, come dallo schermo di un "cinema di quart’ordine" è l’esperto di marketing Nanni, giunto "dimezzato" al redde rationem con la sua vita a causa di un incidente che lo ha privato dell’uso delle gambe.
Non manca davvero nulla nell’affresco che esce dalla sua voce ebbra di lucido disinganno: l’affaire Moro e la p2; Gladio e il caso Englaro; l’euforia economica e mondana degli anni Ottanta e la crisi economico-culturale del nuovo millennio. E sullo sfondo, il sempiterno " Miracolo italiano".
Lo Stato di ebbrezza è anche la temperatura dell’immaginario narrativo dell’io narrante, uscito come da una sbornia per ritrovare nella scrittura monologante, dallo stile ustorio, quei frammenti sfilacciati di una memoria cancellata in un click dagli algoritmi di un Potere globale inumano e senza limiti. Come per un contrappasso, il professionista della scienza del marketing politico-istituzionale, sopravvissuto a crolli di regime, inchieste giudiziarie e moralismi tardivi. Si sorprende ad utilizzare a mo di grimaldello le parole, non più soltanto per scorrere sulla superficie cangiante di una realtà fittizia, ma per perforarne la crosta, scendendo nelle profondità di una coscienza (individuale e collettiva) rimossa, estremizzando sul crinale della fine il suo vizio antico di ragionare che si ostina, in queste parole gettate via, a cercare un’aderenza a quella parte ancora viva, anche in quella parte amputata, che non c’è più.
Reclama la sua parte di memoria, il suo "guizzo di sincerità "vibrando e scavalcando" d’impeto ogni barriera cosciente come un geyser.
Nanni questa volta - la prima e l’ultima- non scrive per gli altri, scrive per sé Nel delirio, la consapevolezza. Nell’immobilità, il guizzo, rovesciando come per gioco la fodera degli stereotipi e degli slogan sapientemente manipolati per decenni fino a scoprirne il versante sdrucito.
Bisogna provare a scivolare a corpo morto fino a toccare il fondale più buio per sentire forte il desiderio di purezza.
È l’amara sentenza di un equilibrista di lungo corso, sempre in bilico tra scommessa pascaliana e il l proprio particolare. Attratto da quel corredo dell’intelligenza che è la stupidità ( "che fa essere disciplinati, metodici"); a mezzavia tra un santo impuro dostoevskjiano e il Marcello della "Dolce vita". Di uno insomma che attraversato, riducendosi lui stesso a maceria, le macerie di un’Italia ingabbiata nello specchio deformante di una corte dei miracoli gremita di nani e ballerini,, di bizantinismi ministeriali, leggi cervellotiche escogitate al solo fine di eludere la Legge. L’impressione è di una interminabile Coena Trimalchionis irreale, autentica, raccontata di sbieco e senza patteggiamenti, scivolando sulla corrente di un’infinita deriva, senza mete nè approdi, dove prima camminavano le idee ( e gli ideali). A lettura finita, resta il rumore, il disgusto, lo sciupio. Appunto come dopo una sbronza. È così anche la vita, quando finisce?
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