MAS in guerra. Memento Audere Semper 1940-1943
- Autore: Orazio Ferrara
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Quasi più fotografie (cartine e riproduzioni di documenti e articoli) che pagine di testo in questo eccellente nuovo lavoro di Orazio Ferrara, attivissimo scrittore-saggista di storia militare, nato a Pantelleria e radicato a Sarno, in provincia di Salerno. Il più recente di uno sconfinato catalogo di testi è MAS in guerra. Memento Audere Semper 1940-1943, settantesimo titolo della collana “Pagine Militari” della casa editrice romana IBN (Istituto Bibliografico Napoleone, luglio 2024, 256 pagine).
L’immagine in copertina riprende una cartolina, datata 1942, dell’illustratore Gerolamo Bartoletti: “MAS italiani nel Mar Nero”, dedicata ai protagonisti del saggio di Ferrara, che mette a fuoco caratteristiche, attività e impiego delle piccole ma efficaci unità subacquee, vanto della Regia Marina, nella prima e nella seconda guerra mondiale.
Riassunto nell’acronimo MAS, lo sviluppo dell’oggetto del saggio è “Motoscafi armati siluranti” (in subordine Motoscafi anti sommergibile), eternato come Memento audere semper (“Ricordati di osare sempre”) dall’altisonante versione del vate Gabriele D’Annunzio, che a bordo di uno di quegli agili battelli prese parte alla Beffa di Buccari, nel febbraio 1918.
“Siamo trenta su tre gusci di noce, trentuno con la morte” (la Canzone del Quarnaro).
Orazio Ferrara ricorda che si deve agli Italiani la nascita durante la Grande Guerra di un mezzo navale particolarmente insidioso. Naviglio sottile i MAS, piccoli battelli poco armati, ma dotati di due efficaci siluri e impiegati dalla Regia Marina come mezzi d’assalto veloci, “anzi, velocissimi”, contro le navi nemiche.
I successi in quel conflitto furono clamorosi. Bastino l’affondamento delle corazzate austro-ungariche Wien il 10 dicembre 1917 al largo di Trieste e Szent Istvan (Santo Stefano), all’alba del 10 giugno 1918, presso l’isola di Premuda (Dalmazia).
Tre MAS, come si è detto, realizzarono la clamorosa Beffa di Buccari, la notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918, violando la ben munita baia croata, dov’era all’ancora la flotta austriaca, nei pressi di Fiume. Nessun risultato bellico, ma un indubbio successo propagandistico, esaltato dal caustico messaggio in bottiglia lasciato da Gabriele D’Annunzio:
“Ad onta della cautissima flotta austriaca, occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’ Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile”.
Un’altra utilità d’impiego dei MAS li vedeva efficaci nella caccia ai sommergibili nemici.
Continuarono a osare l’inosabile anche nella seconda guerra mondiale, pur con esiti al di sotto del conflitto precedente. Quando le condizioni, soprattutto meteo-marine, lo consentivano, seppero tenere ancora fede alla tradizione, in Mar Nero - bacino chiuso e poco mosso, come l’Adriatico - e nella battaglia di Mezzo Agosto, dove conseguirono brillanti successi, perché le acque si prestavano alle manovre aggressive sul pelo dell’acqua. Al contrario, il moto ondoso accentuato del Canale di Sicilia ostacolò quei mezzi dal pescaggio ridotto, vietando di recare offese alle rotte strategiche inglesi tra Gibilterra, Malta e Alessandria.
In più, l’impiego dei radar britannici annullava l’insidia dei MAS, basata sull’agguato nell’oscurità. Peraltro, l’insufficiente armamento antiaereo - una mitragliera, in rari casi due - metteva i motoscafi siluranti in assoluta condizione d’inferiorità, stante il dominio dell’aria avversario.
Inoltre, cervellotici ordini superiori obbligavano i comandanti italiani in mare a rispettare disposizioni rigide e meticolose, mentre gli Inglesi lasciavano ampia autonomia ai loro ufficiali.
Una volta lanciati i siluri, un MAS, portato a contatto col nemico dal silenzioso motore ausiliario, doveva tassativamente attivare gli entrobordo principali per iniziare la manovra di sganciamento. Motori molto rumorosi, facilmente percepibili dal nemico. Gli Inglesi lo consideravano un errore “vistoso e imperdonabile”. Erano convinti che i MAS sarebbero stati più efficaci se avessero mantenuto il silenzio anche dopo i lanci: la sagoma ridotta e l’oscurità avrebbero ostacolato la localizzazione, nonostante l’impiego dei radar.
Invece, i siluri imbarcati erano un’arma superiore, paragonabile solo a quelli giapponesi, probabilmente i migliori. Nel 1940, i MAS avevano in dotazione i tipo W/19 ed SI/170/450/5,25: W stava per fabbrica Whitehead, SI per Silurificio Italiano di Napoli-Baia, il primo dei numeri indicava i chili di esplosivo, il secondo il calibro, il terzo la lunghezza in metri. I siluri da 450 mm sviluppavano una velocità di 40 nodi per 2,1 miglia nautiche o di 30 nodi per 4,2 miglia.
I MAS in uso nel secondo conflitto erano i classe 500 (poco meno di 30 tonnellate di dislocamento), prodotti in 75 unità e già operativi in 48 nel 1940, spinti da due motori Isotta Fraschini Asso 1000 di 18 cilindri e 2mila CV, che consentivano una velocità massima di 48 nodi/orari. L’ausiliario da 80 CV garantiva 6 nodi.
Armamento: due siluri da 450 mm ai lati, alcune bombe di profondità, una mitragliera antiaerea da 13,2 mm, poi 20 mm. In alcuni casi, due mitragliere. Nove uomini di equipaggio, di solito.
I MAS della Regia Marina erano organizzati in squadriglie, almeno quattro unità - uno con funzioni di caposquadriglia - suddivise in sezioni di due MAS ciascuna, con caratteristiche nautiche e belliche simili. Più squadriglie formavano una flottiglia.
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