Madre d’ossa (Longanesi, 2023) di Ilaria Tuti è un romanzo indubbiamente potente ed evocativo, non solo nel titolo, ma nei diversi messaggi sottesi al testo. Pagina dopo pagina è dominato da un’eco primordiale e suggestiva il cui richiamo ancestrale diventa per il lettore inevitabile e irresistibile, invitandolo ad addentrarsi nelle viscere della terra all’insegna di un lungo viaggio misterioso destinato a diventare metafora di un viaggio interiore verso i recessi della nostra anima.
Ben ritrovata, Ilaria, rinnovo il mio piacere nel poter parlare con te del tuo ultimo romanzo, uscito recentemente sempre per Longanesi e che si prefigge già un ennesimo successo di pubblico e di critica.
Dopo i tuoi bestseller Fiori sopra l’inferno (Longanesi, 2018), Ninfa dormiente (Longanesi, 2019), Luce della notte (Longanesi, 2021) e Figlia della cenere (Longanesi, 2021), incontriamo nuovamente la nostra amata eroina, il commissario di polizia Teresa Battaglia, alle prese con un nuovo e complesso caso investigativo. Ma non solo.
C’è tanto da raccontare attraverso il suo personaggio, facciamolo insieme...
«Allora, chi vuole incastrami e perché? Perché il suicidio di un ragazzo dovrebbe rivelarsi disastroso per la mia carriera?»
La situazione si complicava. Teresa era lì per confessare la sua presenza sul luogo di un suicidio, per ammettere di non ricordare nulla al riguardo, e invece si ritrovava a collezionare informazioni forse importanti per capire che cos’era successo. Albert le stava dando indizi su se stessa.
- Parliamo di ambientazioni. I contesti come la montagna, il bosco, il lago - a te tanto cari - quanto sono funzionali per il tessuto narrativo dei tuoi romanzi? Ritieni che il ricorso al contesto naturalistico, paesaggistico, rispetto ai luoghi chiusi, come quelli “domestici”, possa offrire location più suggestive, emotivamente più potenti, donare chiavi di lettura più stimolanti, interessanti se rapportate ai casi investigativi?
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Non credo esista una risposta universale, ciascun autore attinge dal proprio mondo emozionale e lo condivide con chi legge. Per me la natura della mia terra è fonte di ispirazione, ma soprattutto rappresentazione del grande mistero che ci circonda: assegnarle un ruolo chiave nelle storie che scrivo è funzionale alla magia che mi prefiggo di compiere con le parole, che poi diventano immagini, odori, suoni, ombre e luci, sono alchimia. Desidero arrivare al lettore toccando le corde più profonde del suo immaginario, fino all’inconscio. La foresta è simbolo arcaico di vita e di morte, è stata la nostra prima culla e allo stesso tempo la prima trappola. Questo legame può risuonare ancora, se “ricordato” nel modo giusto, è scritto nel nostro DNA.
Il vento d’ottobre portava il sentore dei boschi che ricoprivano le colline e le agitava i capelli attorno al viso. Lei non sembrava curarsene. Chissà se l’odore dell’autunno aveva risvegliato in lei la malinconia che negli ultimi tempi rendeva i suoi occhi più liquidi.
- Le figure femminili hanno da sempre una loro valenza specifica, un peso fondamentale nei tuoi libri, e in Madre d’ossa assumono decisamente un ruolo chiave se correlate ai concetti di fecondità e di maternità. Ti affascina il pensiero che gran parte del senso della vita, riflesso nel ciclo “nascita, esistenza e morte”, sia esplicitato nel profondo dalla donna?
La maternità è uno dei temi che più indago nelle mie storie, ma non è solamente quella biologica, è una maternità in senso lato, intesa come propensione ad accogliere dentro di sé la parte più mistica e a volte oscura dell’esistenza; oscura perché è nel nero primordiale che si è accesa la prima scintilla di vita. La donna mette al mondo l’umanità e proprio per questo, proprio per questa esperienza così vicina alla morte, nei millenni, ha avuto l’onore e l’onere di accompagnare la vita presso l’ultima soglia. Teresa non è mai diventata madre, eppure è madre. Quando scrivo, non ho la pretesa di lanciare messaggi, al limite pongo delle domande che sono quelle che faccio a me stessa, e l’indagine attorno ai simboli primordiali, al femminino sacro, alla storia pagana che ancora permea molte tradizioni e culture è per me un viaggio appassionante.
- Raccontaci come è nato tempo fa l’interessante personaggio di Teresa Battaglia. Come ti si è presentato? Esiste una suggestione particolare o un aneddoto specifico da attribuire alla genesi della tua eroina?
Teresa è venuta a trovarmi con un’immagine precisa e già completa, quella di una donna di mezza età, sofferente, segnata dalla vita e proprio per questo con uno sguardo più profondo e compassionevole sul mondo, intenta a studiare i post-it sui quali annota gli indizi per ricostruire le proprie giornate, perché si è resa conto con orrore di stare perdendo pezzi di memoria. Volevo scrivere di un tipo di donna poco indagata, relegata ai margini dell’attenzione sociale. Era il 2014 e negli Stati Uniti diverse attrici iniziavano a parlare di discriminazione basata sull’età, ad accusare l’industria cinematografica di offrire loro unicamente ruoli di secondo piano, da nonna o da cattiva, quasi che l’essenza di una donna fosse ormai esaurita al compimento dei cinquant’anni. In Teresa ci sono tante donne grandi che ho incontrato nella mia vita, che mi hanno guidata, sostenuta, incoraggiata. L’età matura è molto interessante da indagare: una persona ha già fatto un gran percorso e ha anche sperimentato la sofferenza, ha superato ostacoli, è caduta e si è rialzata diverse volte. Ero in cerca di un personaggio vero, che avesse qualcosa di importante da dire attraverso l’esperienza; la perfezione, invece, è per definizione immobile e senza possibilità di evoluzione.
- L’idea di esplorare da vicino l’universo delicato che si cela dietro una malattia grave come l’Alzheimer ha reso la tua protagonista, per così dire, più autentica, forse più completa, una volta colta nelle sue fragilità e contraddittorietà, nel tratteggio dei suoi chiaroscuri?
La malattia la rende reale, palpabile, fatta di carne e ossa. La rende anche un personaggio in evoluzione, la mette di fronte alla sfida più grande, quella di sopravvivere. Forse tutti noi possiamo rivederci un po’ in lei, perché almeno una volta ci siamo sentiti vinti, soli, disperati. Eppure, come lei, siamo qui. Questa è la bellezza struggente dell’essere umano: spingere per aggrapparsi alla vita fino all’ultimo respiro.
Non da sola. Teresa non guidava da tempo, da quando perdeva pezzi di memoria e non si fidava più di se stessa. Dovevano averlo ipotizzato entrambi, ma nessuno dei due lo esplicitò, era un pensiero troppo inquietante.
- Nell’arco di un’esistenza intera secondo te siamo più vittime del male e del buio a discapito del bene e della luce? Negli esseri umani, credi alberghi un perenne senso di malessere, di languore, di nostalgia e un anelito costante verso ciò che è mistero e segreto, rispetto alla ricerca di amore, speranza e fede?
Abbiamo passato secoli nel tentativo di ripudiare l’oscurità che è dentro di noi, senza riuscirci. Dobbiamo prenderne atto e capire che nessuno è completamente innocente o malvagio, ci sono delle zone d’ombra che ci appartengono. Scegliere di compiere il bene e non il male è un esercizio quotidiano che, passo dopo passo, non senza fatica, ci eleva moralmente e spiritualmente. Detto questo, credo che al mondo ci sia molta più luce rispetto all’oscurità, anche se la percezione che abbiamo del presente ci fa credere il contrario. Il male fa più rumore, più impressione, ma alla fine non è abbastanza forte per far cessare il cammino dell’umanità, per spegnere questo mondo. Per quanto riguarda la ricerca di ciò che è mistero e segreto, oppure di ciò che è speranza e fede, posso dire che per come li intendo io sono le due facce della stessa luna. La mia speranza per il futuro risiede in ciò che ancora non conosco.
La Madre d’ossa aprì gli occhi, li spalancò nella luce che tagliava di traverso l’ombra. Sgranchì le membra e il dolore percosse le vertebre. Le avevano insegnato che il dolore era vita.
- Quanto è fondamentale il recupero della memoria? E quanto è indispensabile, determinante poter rivivere il proprio passato? Esistono dei limiti, dei confini che sarebbe meglio a volte non varcare? La sua influenza, in alcuni casi, potrebbe diventare nociva?
La memoria è uno dei temi a me più cari: la memoria personale e quella collettiva delle comunità, che se custodita si eleva a memoria storica di un popolo, di una nazione. È preziosa, è maestra, se ben interpretata. Il passato, tuttavia, non deve diventare un’ossessione, questo è l’unico limite che intravedo. Le radici non devono diventare legami così stretti da imprigionarci. Ci sono eredità familiari e culturali che schiacciano invece di rappresentare punti di forza, soffocando le attitudini e le aspirazioni del singolo.
- Parliamo della serie televisiva recentemente andata in onda su Rai 1, tratta dal tuo romanzo bestseller Fiori sopra l’inferno (Longanesi, 2018) e che ha visto Elena Sofia Ricci calarsi nei panni del commissario di polizia Teresa Battaglia. Un’attrice straordinaria, che non necessita di presentazioni, per cui, una scelta azzeccata e matura quella di permetterle di rivestire il ruolo di protagonista. Qual è il tuo pensiero in merito? Hai avuto modo di incontrarla e di confrontarti con lei? Ѐ stato complesso e stimolante per Elena entrare in empatia con questo personaggio dalle tante sfaccettature? Ci sarà un seguito televisivamente parlando?
Elena Sofia mi ha cercata subito, ha voluto parlarmi e parlare di Teresa, di cui si era innamorata follemente. Ha voluto sapere tutto del personaggio, anche quello che nei libri non c’è, com’è nata e perché, che cosa ho in mente per il suo futuro. L’ha capita, l’ha sentita vicina, l’ha intravista in donne che ha conosciuto realmente e ha messo a disposizione il suo talento e la sua arte per darle voce e volto. Le sarò sempre grata per la passione e l’attenzione con le quali l’ha portata sullo schermo. Ora ci sono due Teresa che camminano per il mondo, quella letteraria e quella televisiva. Sono molto affezionata a entrambe.
- Parliamo di “intimità della stesura”. Nello specifico, ti è mai capitato di vivere con profondo trasporto ciò che stavi narrando, per esempio, di commuoverti o piangere? Quali emozioni hanno prevalso nella stesura dei romanzi legati a Teresa Battaglia?
Ne esiste uno in particolare a te caro rispetto agli altri?
Mi emoziono sempre, quando scrivo. Devo emozionarmi per scrivere. Non posso pretendere che le emozioni arrivino ai lettori, se sono la prima a restare impassibile. Davanti alle pagine devo stupirmi, commuovermi, arrabbiarmi, riflettere, sorridere e a volte anche cantare. La scrittura, e di riflesso la lettura, devono essere questo: un’esperienza emotiva.
Per Teresa ho provato e provo una profonda tenerezza, il bisogno di proteggerla. Sta vivendo un momento sacro, perché c’è sempre una scintilla divina nell’essere umano che soffre.
Recensione del libro
Madre d’ossa
di Ilaria Tuti
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Madre d’ossa”, il ritorno di Teresa Battaglia. Intervista a Ilaria Tuti
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