Manifesto incerto
- Autore: Frédéric Pajak
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: L’orma editore
- Anno di pubblicazione: 2022
La traduzione del bellissimo Manifesto incerto di Frédéric Pajak giunge al terzo volume (Ezra Pound chiuso in gabbia, La morte di Walter Benjamin) sempre per L’orma Editore (a cura di Nicolò Petruzzella)). I fortunati lettori che già lo conoscono sanno che si tratta di uno dei progetti artistici – e editoriali – più interessanti e seduttivi degli ultimi anni, almeno pensando alla scena europea. Se l’autore ci tiene a negare alla sua opera la definizione di graphic-novel non gli si può dare torto; qualcuno ha parlato di graphic-essay e il lettore ancora ignaro e curioso può in tal modo rinvenire un segnale orientativo per avvicinarla. Aggiungendo che nei brevi testi puntellati dal bianco e nero del disegno a china troverà, come si diceva altrove, una sintesi rara di “narrazione, memoir, divagazione saggistica e illustrazione insieme”.
Anche in questo terzo volume le rispettive vicende dei protagonisti (Benjamin e Pound) vengono alternate da inserti autobiografici. Pajak ripercorre frammenti della sua difficile vita, artista che ha conosciuto la povertà, il rifiuto, una marginalità prolungata che è anche un po’ storia di una generazione tanto ricca di immaginario quanto spesso inconcludente.
“Da bambino – scrive Pajak - non mi piaceva ridere. O meglio: non mi piaceva unirmi al riso collettivo. Le risate di una tavolata o della folla mi erano insopportabili. Ma in generale tutto ciò che proveniva dalla folla, tutto ciò che era rivolto alla folla mi metteva a disagio”.
Un’alterità anche intima, dunque, scaturigine di una biografia che avrebbe finito per prendere le distanze da un’epoca non feroce come quella nazista al centro del libro ma tutt’altro che buona e giusta, la nostra da mezzo secolo in qua. Dapprima ci si pensava diversi, ignari che saremmo diventati “il target, i clienti”. Era il mercato – vecchia tesi – che produceva il nuovo per i giovani, “la moda, la cultura, le droghe”. I giovani urlavano perché in realtà erano sterili. Insomma, fa intendere Pajak, si preparava il terreno per il liberismo trionfante dell’oggi, “l’ideologia moderna che nega di essere un’ideologia”, la negazione del “movimento della storia”.
Ecco come si torna a Benjamin, alle sue riflessioni sulla storia. Forte soltanto della propria strenua lucidità, il pensatore tedesco, da anni a Parigi, gracilissimo, malaticcio, la solita angustia economica, ma armato di una struggente tenacia, quando, dopo l’invasione della Polonia, come tutti i tedeschi sarà costretto dalle autorità francesi a rifugiarsi nel campo di assembramento di Colombes, proverà a produrre un qualche ordine dal caos di un inferno privo di tutto organizzando una rivista, “Il Bollettino di Vernuche” che non vedrà mai la luce. Una volta occupata Parigi dai nazisti decide di fuggire verso il confine spagnolo con la speranza di potersi poi imbarcare per gli Stati Uniti. Con sé, un ultimo manoscritto cui tiene più della sua stessa vita, e morfina sufficiente per farla finita nel caso venga catturato dalla Gestapo: non si salveranno né lui né il manoscritto. L’esito fatale in quel di Portbou lo conoscono tutti.
Se Benjamin era stato assai presente già nei due precedenti volumi, Ezra Pound vi era apparso lateralmente, laddove ora anche il secondo si prende tutta la scena, e tragica. Pound era - com’è noto - intrappolato da anni in un delirio paranoico e megalomane. Fascismo, antisemitismo, l’ossessione per la questione dell’usura sottraevano tempo e genio all’immaginifico poeta, capace di alternare versi memorabili ad altri illeggibili – opinione dei più, da Joyce a Hemingway (per il quale, fuori dai versi “era un somaro”). Idolatrava Mussolini, lo inondava di lettere e consigli non richiesti; indomabile anche per i fascisti che gli dettero l’opportunità di lavorare in radio non senza sospetti e tentennamenti. Capace fra mille difficoltà di far nascere due figli contemporaneamente da due donne diverse, la moglie e l’amante, dopo l’arresto a Rapallo nel ’45 e prima di essere riportato in America assaggerà il sapore di un regime concentrazionario. Per la giustizia americana, Pound è un traditore della patria, e le pagine dedicate alla cattività nel campo di addestramento disciplinare allestito a Pisa, circondato da torvi criminali, stupratori e assassini, sono fra le più intense.
Al solito nell’opera di Pajak, l’elemento forse di maggior fascino è lo straniamento del disegno, in bianco e nero, rispetto al testo, come a evocare in molte pagine un altrove, una rêverie, o un armonico inatteso – interessante immaginare questa macchina immaginativa al lavoro.
Manifesto incerto è un volume curatissimo: un piacere leggerlo, ripassarselo fra le mani, perdersi nei disegni, rileggerlo.
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