Mantova città fortezza e le battaglie risorgimentali
- Autore: Armando Rati
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2011
Mantova, città ducale, Signoria dei Gonzaga, gioiello del Rinascimento, ma è come protagonista dell’unificazione nazionale che interessa al generale Armando Rati, autore dei testi di un grande libro, “Mantova città fortezza e le battaglie risorgimentali”, pubblicato nel gennaio 2011 dalla casa editrice di casa, l’Editoriale Sometti (208 pagine 25 euro) e reso un prodotto di pregio per l’allestimento accurato, l’ampio formato (30 cm d’altezza per 21 di lato) e la ricchezza di contenuti iconografici e fotografici. Si tratta di materiali d’epoca e illustrazioni concesse da fondazioni culturali, collezioni private, archivi pubblici e istituzionali.
Realizzato grazie al contributo di numerosi enti locali, associazioni combattentistiche e soggetti, è un volume doppiamente celebrativo. È apparso nell’anno del 150º anniversario dell’unità d’Italia ed è rientrato tra i contributi legati al XVII raduno nazionale degli artiglieri, proprio a Mantova, nel giugno 2011.
Nel quadro delle iniziative in vista dell’evento, il generale Vittorio Olivieri, presidente pro tempore dell’Associazione che riunisce chi ha servito nella specialità e chi è tuttora in divisa con le mostrine nere bordate di giallo, decise di affidare al collega “bersagliere” Armando Rati uno studio sul ruolo dell’artiglieria nelle guerre risorgimentali. L’allora primo artigliere d’Italia partiva dal presupposto oggettivo che nel complesso delle campagne belliche che portarono alla creazione di uno stato finalmente unitario, l’artiglieria si era distinta per qualità tecniche e capacità dei combattenti.
Non dimenticando che furono le batterie del 7º Reggimento di Pisa ad aprire la breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870 a Roma, va detto che nel 1848, all’atto della prima guerra d’indipendenza, l’artiglieria sarda era un corpo all’altezza della migliore tradizione artiglieresca mondiale, con le sue componenti da battaglia, a cavallo e da posizione. Fino a Novara 1849, nonostante l’esito contrario delle battaglie di Custoza e della Bicocca, decisive ai fini della sconfitta del Regno di Sardegna, l’artiglieria aveva costituito il fiore all’occhiello del piccolo ma agguerrito esercito piemontese.
Del resto, i suoi ufficiali frequentavano l’Accademia di Torino per ben 6 anni, uno in più dei parigrado di fanteria e cavalleria, avendo così agio di specializzarsi adeguatamente per guidare al meglio una compagine di ottimi sottufficiali e di bravi serventi. Carlo Alberto premiò la bandiera di guerra del Corpo con la medaglia di bronzo al valor militare, sul campo di battaglia di Goito e concesse quella d’oro l’anno successivo, il 1849, per “l’ottima condotta tenuta sempre e dovunque”. Da allora, è quello, “sempre e ovunque” (al netto della diatriba con chi vorrebbe “sempre e dovunque”) il motto caro a tutti gli artiglieri d’Italia.
L’incarico di sviluppare un lavoro sull’artiglieria nel 1800 è stato svolto con piglio bersaglieresco dal generale Rati (mantovano, esperto di storia politico-militare, già autore di tantissime pubblicazioni per Sometti), che ha tracciato un profilo sulla condotta del Corpo dalle campagne napoleoniche alla terza guerra d’indipendenza del 1866. Lo ha incentrato peraltro sul ruolo svolto da Mantova, città che l’Amministrazione asburgica aveva trasformato in una delle fortificazioni chiave del Lombardo Veneto. Con Peschiera, Legnago e Verona, andava a formare il quadrilatero di fortezze che tra Mincio, Po e Adige costituivano il baluardo con cui tra il 1815 e il 1866 sarebbe stato costretto a misurarsi chiunque intendesse minacciare da occidente i territori italiani sotto l’egida imperiale di Vienna.
A dimostrare l’importanza di Mantova, era stato l’allora generale Napoleone Bonaparte, giovane comandante dell’armata repubblicana francese inviata dal Direttorio ad aprire un secondo fronte contro gli austriaci. Passate le Alpi, avuta la meglio sugli uomini del re di Savoia, il futuro imperatore aveva battuto in Lombardia le truppe austriache, costringendo gli avversari a rinchiudersi proprio a Mantova.
Dai primi di giugno del 1796, i francesi avevano avviato un assedio che metteva a dura prova i 12mila difensori e gli abitanti. La fortezza aveva retto per otto mesi e capitolato solo quando l’andamento della campagna napoleonica nel Veneto si era conclusa favorevolmente per il generale corso. Il 2 febbraio 1797 i suoi soldati entrarono in Mantova a bandiere spiegate, ma era stato ampiamente dimostrato il ruolo difensivo di una fortezza cittadina imprendibile.
Quando, nella primavera 1848, il Mincio venne raggiunto dai piemontesi, Mantova era stata perfino rafforzata e risultò un obiettivo irraggiungibile per i sardi. L’armistizio di Villafranca, nel 1859, nonostante il successo delle armi franco-savoiarde lasciò le fortezze del quadrilatero all’Austria.
Bisognerà attendere il 1866 e l’esito positivo della pur infausta terza guerra d’indipendenza per vedere entrare le truppe ora italiane nella città dei Gonzaga, sgomberata nell’ottobre dagli austriaci, dopo cinquantadue anni di potere e controllo poliziesco.
Poco meno di tre lustri anni prima, era stata scritta la pagina tragica dei martiri di Belfiore, patrioti italiani giustiziati per cospirazione dagli Asburgo, nel 1852. Sognavano di riunificare l’Italia.
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