Mar del Plata di Claudio Fava

“Vi ammazzano perché non conoscono i vostri pensieri e questo li fa impazzire”.

Si chiama Raul, è il capitano di una delle squadre di rugby più forti dell’Argentina, il Mar del Plata, l’unico sopravvissuto di tutta la squadra, barbaramente massacrata solo per essersi opposta in maniera silenziosa al regime dittatoriale di Jorge Rafael Videla e soprattutto a due dei suoi più brutali generali, Benavides e Montonero. Siamo nel 1978 vicino a Buenos Aires: un giovane giocatore di rugby, studente universitario, Javier, chiamato il Mono, scompare. Dopo alcuni giorni il suo corpo è ripescato nelle acque del Rio de la Plata, con le mani legate da due giri di fil di ferro e una pallottola in testa. La domenica successiva prima della partita i suoi compagni di squadra decidono di fare un minuto di silenzio per commemorare il compagno, di fatto, di minuti ne passano dieci. Inizia così per il Mar del Plata una dura, lunga, sfida contro la giunta militare: uno dopo l’altro i giocatori spariscono o sono brutalmente uccisi, ma la squadra continua a giocare, con ragazzini presi dal vivaio e promossi titolari in campo, e a vincere ogni domenica, sempre con un calzino nero legato al braccio, sempre dopo i dieci minuti di silenzio in uno stadio gremito e ammutolito. Il silenzio per i gerarchi militari del regime diventa una sfida alla loro autorità, al loro potere, alla loro avidità, un gesto di ribellione che va soffocato.

L’unico a sopravvivere a questa storia, rimasta nell’oblio per molti anni, è Raul Barandiaran, che dopo vent’anni trova il coraggio di raccontarla al giornalista argentino Gustavo Veiga ed è proprio tramite Veiga che Claudio Fava, durante uno dei suoi viaggi in Sudamerica, ne viene a conoscenza e decide di scriverla mettendoci tutta la passione possibile. “Mar del Plata” (Add Editore, 2013) è un romanzo simbolo di come in ogni tempo, in ogni luogo, ci siano ragazzi pronti a combattere le ingiustizie, i soprusi, è un racconto emozionante, una vicenda triste che come spiega Claudio Fava,

“si fa epica e sguaiata al tempo stesso, per la grande ferocia che quel regime seppe mostrare, e la grande, disperata dignità che seppe opporgli un popolo intero”.

Quando nel 1996 la commissione d’inchiesta “Nunca Màs” nelle proprie conclusioni

“scrisse che le vittime civili del regime militare di Videla, uccise o scomparse per sempre, erano state più di trentamila”

tra questi oltre il Mono, c’erano anche il Turco e Mariano, Otilio, Pablo; Gustavo, che di anni ne aveva solo sedici e l’allenatore della squadra Passarella, trovato massacrato e impiccato a casa sua.