Marrani
- Autore: Donatella Di Cesare
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2018
Il termine “marrano” indica gli ebrei sefarditi che nel Medioevo vennero costretti ad abiurare la loro fede e ad abbracciare la religione cristiana. L’etimologia della parola è incerta: potrebbe derivare dall’arabo, dall’aramaico o dal castigliano, e significare scomunicato, ipocrita, straniero, convertito, o più probabilmente “cosa proibita”. Veniva comunque usata in spagnolo in senso dispregiativo come sinonimo di porco, per schernire e ingiuriare gli infedeli che si astenevano dal mangiare carne di maiale. In seguito definiti conversos, confesos o cristianos novos, i marrani continuarono nei secoli a venire chiamati così ovunque, sebbene con accezioni differenti, che potevano indicare eresia, tradimento o ribalderia.
Donatella Di Cesare, docente di Filosofia Teoretica alla Sapienza di Roma, dedica ai Marrani un approfondito e coinvolgente saggio, in cui esamina dal punto di vista storico, ideologico e psicologico le vicende tragiche e tormentate di questa vasta categoria di persone: perseguitate, imprigionate, uccise, costrette a nascondersi e ad emigrare, o – per salvarsi – a rinunciare al proprio credo.
Storicamente, la persecuzione antiebraica iniziò il 4 giugno del 1391, quando una folla inferocita fece irruzione nella judería di Siviglia, devastandola e massacrando 4000 appartenenti alla comunità. Da quel momento eccidi di massa, saccheggi e distruzione di sinagoghe si moltiplicarono in tutta la Spagna, portando alla decimazione degli ebrei residenti, fino alla loro definitiva espulsione dai confini, avvenuta nel 1492.
L’autrice ripercorre le varie fasi delle persecuzioni, attraverso le rivolte e le stragi avvenute in diverse città spagnole e portoghesi (Toledo, Cordova, Segovia, Lisbona), le prime leggi razziali sulla limpieza de sangre promulgate nel 1449, il feroce contributo giuridico fornito dal Tribunale dell’Inquisizione istituito nel 1478, le condanne al rogo, l’emigrazione coatta verso altri paesi europei (nelle Fiandre, innanzi tutto, ma anche in Italia, nelle sedi privilegiate di Ferrara, Venezia e Livorno), verso l’Oriente e il Nuovo Mondo.
Ciò che tuttavia risulta più interessante e originale nell’indagine di Donatella Di Cesare è l’approccio alla condizione psicologica dei marrani, al loro destino di doppiezza esistenziale, di scissione del sé, di perdita e recupero delle radici, di ciò insomma che Ludwig Wittgenstein (anche lui cattolico di origini ebraiche) aveva confessato riguardo al proprio perpetuo non riconoscersi: “Ich kenne mich nicht aus”.
Costretti a una conversione forzata, i marrani non facevano più parte della famiglia giudea: venivano sentiti come traditori, transfughi, apostati. Alcuni di loro, accettando il cristianesimo, finirono per goderne i vantaggi, sposandosi con nobildonne cattoliche, intraprendendo carriere di successo, ricoprendo cariche influenti persino all’interno della Chiesa, arricchendosi con guadagni tratti dal commercio, e provocando in tal modo invidie e risentimenti nella popolazione. Altri rimasero in segreto fedeli alla religione degli antenati, aderendo a riti, preghiere e festività negate in pubblico e praticate di nascosto in privato, tramandate con timore e senso di colpa ai discendenti, rese spurie e destinate all’oblio dalla sporadica e incerta frequentazione.
In un capitolo intitolato, con penetrante intuizione, L’altro dell’altro, Donatella Di Cesare sottolinea quanto fosse ibrido lo status dei marrani che gli spagnoli avevano inglobato al loro interno con il fine e la speranza di preservare la propria identità dal corrompimento con una “razza” odiata. Se prima l’altro, l’ebreo, era esterno,
“distinto e ben riconoscibile, una volta introdotto a forza nel corpo della cristianità restò altro, ma all’interno. …Il marrano, costretto a un’emigrazione interiore, restò tuttavia differente, inassimilabile, ereditando l’alterità dell’ebreo. Eppure ebreo non era più – anzitutto agli occhi degli ebrei”.
Secondo l’autrice, questa condanna alla differenza, a un’immagine ambivalente e discordante, finì per rendere unica e irriducibile a schemi mentali obsoleti la figura del marrano, facendone l’antesignano della modernità. Nel suo tormentato scrutarsi, sorvegliarsi, diffidare degli altri e di sé stesso, alla ricerca continua di una memoria da preservare o di un’origine da rifiutare, fu l’iniziatore di un percorso esplorativo verso l’interiorità, che lo portò ad avventurarsi lungo i sentieri della mistica, come Teresa d’Avila, o quelli della filosofia, come Spinoza: sempre in dissonanza con il pensiero comune, anticipatore di una diversa sensibilità e di teorie innovatrici, in religione come in politica.
“L’angoscioso oscillare tra inserimento e marginalità”, tra palese e segreto, dentro e fuori, ha fatto del marrano il paradigma dell’uomo moderno, espressione di un’individualità continuamente ridiscussa, e di una coscienza lacerata che ha saputo insinuare “il seme del dubbio, il fermento dell’opposizione” all’interno delle ideologie contemporanee.
Lo stimolante saggio di Donatella Di Cesare, esposto in una prosa limpida e lineare, nel ripercorrere le varie fasi di una tragedia europea e poi universale, ci interroga sull’importanza ancora oggi basilare dei concetti di identità, memoria, riconoscimento, accettazione dell’altro da noi, e dell’altro che è in noi.
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