Marte
- Autore: Fritz Zorn
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2023
Due anni di galera in URSS erano probabilmente meglio di cinque anni di fabbrica in Svizzera
Così disse Agota Kristof, scrittrice ungherese costretta nel 1956 a fuggire dal suo paese dopo l’invasione dei sovietici.
Con ciò manifestava il suo risentimento verso il marito che l’aveva convinta a espatriare, in Svizzera appunto.
Ora, vista da qua, la frase è di quelle che fanno scattare le sopracciglia verso l’alto, di sicuro iperbolica, discutibile, ma interessante come una sonda per incunearsi in un mondo gelido, asettico e asfittico come quello dell’alta borghesia svizzera. Che è stato descritto con passo maniacale e ossessivo in un libro a suo modo mitologico, Marte, da un autore appartatissimo, Fritz Zorn, che morì il 2 novembre del 1976 a 32 anni, il giorno dopo aver saputo che il suo libro sarebbe stato pubblicato.
Fritz in realtà si chiamava Angst, che in tedesco significa “paura”, e nella scelta dello pseudonimo Zorn (“rabbia”) è possibile scorgere in nuce il primo senso del libro. Uscito in Italia in anni lontani per Mondadori prima e l’editore Capelli poi, ora di nuovo sugli scaffali grazie ai tipi sofisticati di Occam con la traduzione di Amina Pandolfi, il libro fu buttato giù in poche settimane, quando il suo singolare autore seppe della malattia, un cancro, che non gli avrebbe dato scampo.
A partire da quel momento, Zorn decide di ripercorrere la sua vita: non alla maniera patetica, sentimentale di un morituro imbevuto di nostalgia ma per prepararsi alla morte facendo i conti con ciò che (non) è stato, con l’educazione ricevuta, i suoi fallimenti.
Fra tutte le cose sgradevoli che mi sono portato appresso nella mia esistenza, avere un cancro è stata di gran lunga la cosa più intelligente che abbia fatto.
Fa con meticolosa acribia cioè quello che la grande letteratura ha sempre fatto: avvicinare la verità di un’esistenza, nello specifico la propria. E la Svizzera? La Svizzera, quella altoborghese di Zurigo, è il brodo di coltura di un animo che difficilmente avrebbe potuto non ammalarsi in una famiglia tanto ricca quanto soffocante – decisa a non compromettersi mai con alcun tipo di rischio e tenere in piedi la scena patinata, lussuosa, surrettiziamente “armoniosa” in cui cresce il ragazzo. Ogni frase pronunciata in famiglia andava soppesata le mille volte per non rompere il fantasmatico equilibro che la sosteneva, inopportuno esprimere un parere su un qualunque argomento, specie le cose che in famiglia definivano “difficili” ossia:
quasi tutti i rapporti umani, la politica, la religione, il denaro e, naturalmente, il sesso. Oggi credo che tutto ciò che è interessante fosse a casa nostra ‘difficile’ e di conseguenza non se ne parlava.
Dire alcunché non di sensato, ma di autonomamente pensato, significava affacciarsi su un terreno incognito, pericoloso.
Così, al sopraggiungere della malattia, ormai adulto, il narratore si persuade che il tumore alla gola sia psicosomatico.
Di lì, trova la forza per spazzar via trent’anni di vita non vissuta, ritrova la parola perduta e la mette al servizio di una ricerca analitica e incessante di quanto è stato, in un disperato ma lucido tentativo di dare un senso al suo passaggio sulla terra. Scrivere diventa un esercizio di disciplina e di liberazione, una kafkiana resa dei conti con la verità ma anche, o perciò stesso, una lotta corpo a corpo con le ragioni del male: che sono lì dentro, nella famiglia ricca e perbene, nonostante Zorn scriva a un certo punto di non volerla colpevolizzare perché non era che un’epitome di una Svizzera vile, ermeticamente chiusa nel proprio benessere.
“Il migliore dei mondi” in cui Zorn aveva creduto di crescere si rivela una gabbia doratissima, nella cui presunta “armonia” un solo cenno non di dissenso ma di divergenza di opinioni, ammesso che fosse concesso esibire opinioni, sarebbe stata una piccola apocalisse. Se in quella famiglia si era deciso che il jazz fosse cattivo, non era il caso di mettersi a discutere. Dei comunisti, idem e peggio. Perché contava il parere dei più, e i più nel microcosmo familiare erano incarnati nella figura del padre.
L’eufemismo e la reticenza la fanno da padroni - discussioni zero, ma non si perdevano un funerale. Naturalmente, se questo genere di rassicurazioni risultava confortante per il bambino, crescendo ne avrebbe sentito la mancanza di vero fondamento, eppure esprimersi, pescare una disposizione vera, autentica in sé stesso, e farla propria, esternarla, equivaleva a camminare su un campo minato. Vietato fare confronti, paragoni con il fuori, con il resto del mondo: non perché altrove si concedesse il diritto di voto alle donne era pensabile fare lo stesso in Svizzera, per dire.
Quando Fritz, soggiogato da una tristezza profonda, principia a scrivere, il compito che si prefigge è chiaro: ricostruire la propria storia mancata, priva di vita affettiva ed esplorare la congelata quiete di quell’armonia fittizia addestrata alle mere apparenze, scavando nel contempo nel fondo oscuro della borghesia in salsa zurighese. Riesce così a estroflettere sulla pagina il carico immane di frustrazioni che per troppo tempo lo avevano fatto vivere come un automa, a dare un nome ai propri pensieri, alle proprie emozioni.
Nell’implacabile ostinato con cui Zorn costruisce ogni frase sembra di rivedere l’accanimento di Thomas Bernhard. Come nello scrittore austriaco c’è l’invettiva contro il proprio paese, l’autobiografismo esacerbato, l’ironia feroce e la scrittura controllatissima.
A noi pare però che, più che la critica a un mondo, sia la scrittura la dote preziosa del libro: la cadenza ossessiva ma elegante e potente insieme con cui, ricucendo i brandelli di fallimento esistenziale, si avvicina al bersaglio - uno stile disciplinato e limpido. Anche quando, infine, disvelato l’apparato di menzogne con (in) cui lo hanno cresciuto famiglia e paese, l’obbiettivo si alza su un piano metafisico: Dio, ciò che chiamano Dio – lì egli trova infine il cuore del male contro cui dichiara la sua “guerra totale”.
Marte è un libro vero ed è possibile che il lettore, dopo le prima pagine, se è il lettore giusto, non se ne stacchi più.
Marte
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