Matapan. Il caso e la colpa
- Autore: Massimo Alfano
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Capo Matapan, la Caporetto in mare nella Seconda guerra mondiale. 28 marzo 1941, acque dell’Egeo meridionale, perdite pesanti in termini di unità e pesantissime per morti e naufraghi, molti dei quali annegati successivamente nelle acque gelide o uccisi dalla disidratazione, dal freddo, dagli squali.
Un disastro inevitabile, vista la debolezza tecnico-logistica e le lacune strutturali della Regia Marina, per armamento, materiali, rapporto peso-potenza delle unità maggiori, dotazioni strumentali.
È davvero emozionante avere a disposizione, ottantatré anni dopo, l’ampio lavoro di un giornalista e saggista ch’è una vera autorità in campo nautico-militare, Massimo Alfano, autore del recente Matapan. Il caso e la colpa. Dalla grande Marina alla vera Marina, da febbraio in prima edizione nell’eccellente veste grafica scelta da Pathos Edizioni (Torino, 2024, 360 pagine).
Diciamo subito che il caso non c’entra nell’Operazione Gaudo e nella tragedia di Matapan. Alfano fa ricadere la responsabilità sul comandante superiore in mare, l’ammiraglio Angelo Iachino e argomenta le sue opinioni.
Nell’Egeo, nel marzo 1941, non valse nemmeno il “mancò la fortuna non il valore” , per le colpe e le ragioni illustrate dall’autore di un testo molto tecnico, ma certamente affascinante per gli appassionati. È il più recente dei saggi di storia navale di Massimo Alfano, piemontese del 1958, anche pittore, narratore, presidente del Museo Civico Navale di Carmagnola e membro del Centro studi di geopolitica e strategia marittima.
Non è facile sintetizzare in modo plausibile gli aspetti qui puntualmente approfonditi. Sono tanti, specifici e dettagliati. È il caso magari di proporre qualche considerazione sparsa, per stimolare la curiosità di andare a verificare nel saggio le tesi dell’autore.
L’intensificarsi dei convogli inglesi di supporto alla Grecia spinse l’addetto navale germanico a Roma ad insistere con Supermarina perchè i traffici venissero contrastati. La corazzata Vittorio Veneto, sei incrociatori pesanti, due leggeri e tredici cacciatorpediniere, mossero dall’Italia verso l’isola di Creta, con l’assicurazione della copertura aerea della Luftwaffe e della Regia Aeronautica (che risultò invece inadeguata).
La mattina del 28 marzo, l’incontro con quattro incrociatori leggeri inglesi e quattro caccia portò ad uno scambio di colpi.
Annullato l’elemento sorpresa, la flotta italiana fece dietro front verso le basi, ma l’avversario non lasciò la presa. Incursioni aeree britanniche causarono danni al Vittorio, facendone scadere la velocità, colpirono e fermarono un incrociatore pesante, in soccorso del quale vennero fatte tornare alcune unità. Gli inglesi però arrivarono prima, prelevando il personale e affondando il Pola con due siluri.
Al sopraggiungere dei soccorritori, sorpresi al buio e annientati, si registrò l’affondamento di altri due incrociatori, Fiume, Zara e due caccia, Alfieri e Carducci;. 2318 morti. L’Home Fleet scontò la sola perdita di un aerosilurante e dei due aviatori.
Riprendendo la traccia di Alfano: nell’incursione su Gaudo e nel parapiglia di Matapan vennero al pettine le insufficienze a 360° della Reggia Marina.
Mitizzata dalla propaganda fascista, orgoglio di tutti gli italiani, sorretta dall’abnegazione degli equipaggi, era però più debole di quanto non apparisse all’esterno. La bellezza delle nostre unità nascondeva fragilità insospettate perfino dal nemico, nonostante l’attività infaticabile dello spionaggio.
Dietro un’immagine affascinante, pesavano vuoti tecnici irrisolti, l’arretratezza dei materiali, la carenza delle forniture, i limiti dell’industria nazionale. i difetti mai corretti dell’estrema dispersione del tiro delle artiglierie pesanti, le lacune nella dotazione di sistemi ottici di puntamento e di “vetro ottico” per binocoli e periscopi. Si pensi che non venne mai sanata la mancanza di polveri per il fuoco antivampa notturno e che non si potevano eseguire bordate contemporanee dei nove poderosi 381 mm delle unità più pesanti, perchè avrebbero causato forti danni allo scafo della nave.
A Gaudo pesò la tecnica (propulsione, velocità, artiglierie, tiro), a Matapan l’etica di comando in mare, obsoleta, rigida, basata sullo scaricabarile, Gli inglesi erano addestrati a reagire agli imprevisti e dotati di munizioni per il combattimento notturno, gli italiani subirono la sorpresa, peraltro inermi di notte.
Tutto contro, ad esclusione delle presunte mancanze, pur invocate a difesa dagli alti comandi a Roma e in mare. Sfatiamo un mito, anzi due. L’indisponibilità di radar si può considerare ininfluente in quelle giornate e non era affatto scarsa la disponibilità di carburante per le grandi unità dell’Arma navale. Era una mera scusa l’insufficienza, posta a giustificazione del restare inoperosi nei porti.
Le riserve strategiche di nafta per corazzate e incrociatori ammontavano a un milione di tonnellate di combustibile, una quantità importante visto che le 600mila tonnelate. lamentate ufficialmente come “scarsità critica”, superavano nettamente la disponibilità della Kriegsmarine tedesca.
Era l’ennesimo, fascistissimo bluff, per ottenere materiali da Hitler.
Fatale, secondo Alfano, il divario tra la nostra impreparazione industriale e la capacità di sviluppo tecnico, nuove tecnologie, produzioni di massa degli avversari.
Si cercava di farvi fronte “con generazioni di eccellenti soldati e marinai”, vittime per primi di una propaganda che si compiaceva di traguardi provvisori e supremazie tramontate da un anno all’altro.
Nella Marina coesistevano due anime: una coinvolta dal regime nell’ubriacatura del mito di potenza, l’altra cosciente delle deficienze che la minavano.
L’hanno riconosciuto anche gli avversari, “inorriditi” per le condizioni in cui si dovette battere, senza mezzi e capacità che il Paese e il regime non hanno saputo dare, “né forse voluto”.
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