Leggendo “Memorie” di Pier Paolo Pasolini, componimento collocato in apertura alla terza sezione “Paolo e Baruch” della raccolta L’usignolo della chiesa cattolica dove campeggia una problematica religiosa ed esistenziale, si fa evidente l’argomento: una vivace e coinvolgente dichiarazione d’amore per la madre in un tempo proiettato all’indietro.
L’io poetico compie così il viaggio della nostalgia, tornando alle giornate “più remote” della passione dirompente: “…una marea / di muta gratitudine, / e disperati baci”.
Il titolo si rifà alle rimembranze leopardiane, difatti Pasolini si abbandona al flusso di sensazioni e stati d’animo lacerati dal contrasto assenza/presenza:
Tutta la mia infanzia è sulle tue ginocchia spaventata di perderti e perdutamente felice di averti
Memorie di Pier Paolo Pasolini: analisi della poesia
La madre, Susanna Colussi, è nominata “fanciulla” ad indicarne un’eterna giovinezza malgrado la corsa inarrestabile del tempo, e anche con il vezzeggiativo “lodoletta”; il desiderio, dalle sfumature incestuose, è mosso da un “cieco amore” di mutua dolcezza.
La descrizione, poeticamente dettagliata, è di un singolare racconto in cui la bellezza materna si staglia nitidamente.
“[…] fonda / d’ombre nella fronte / pura e nell’onda / giovane dei capelli - / magra negli ossi / del mento e degli zigomi, / dura nella tenera / curva della faccia”.
Sono tratti fisici in cui il figlio osserva “Una vecchia innocenza, / indurita dagli anni / ma, forse, ancora mite”.
Pasolini la contempla e l’apprezza. Ed è specialmente la mitezza, ritenuta “odiosa”, ad essere adorabile in lei. Attraverso un processo che si potrebbe dire di visività dell’inconscio, dolcissimi i ricordi affidati alla suggestione con esiti elevati.
Ricordo i pomeriggi di Bologna: al lavoro cantavi nella casa che non era che un’eco. Poi tacevi, e volata nell’altra stanza (ah il bruno tuo passo da bambina…) riprendevi a cantare. E il pomeriggio era silenzio e rapimento: già presagiva, forse, di contare nel gioco orrendo del destino.
Evocatrice della Silvia leopardiana intenta alle faccende domestiche (le “opre femminili ”), gioiosa appare l’immagine della madre al tempo del soggiorno bolognese quando il padre nel 1939, promosso capitano, venne assegnato a un battaglione di stanza a Bologna.
Tuttavia avverte il poeta il presagio di un minaccioso destino. Se la madre conosce l’incanto con la ricchezza dei sentimenti che si tira dietro, ne ignora però “una rassegnazione / che è bassezza, gergo, parola disonesta”.
In questi versi il contrasto è lacerante, alludendo i termini all’omosessualità e all’incestuosa relazione. Il fondo umano resta così di intimo tormento per le ombre presenti nella storia del loro amore.
L’intensità poetica, sprigionata da versi brevi e folgoranti per l’andatura ritmica (consonanze, assonanze, allitterazioni e rare le rime), è espressa da un linguaggio essenziale e comunicativo, mentre l’epifania risulta vera perché macerata a fondo come esperienza sofferta:
Nella storia del nostro amore c’è un’ombra, il rapporto unico, la forte confidenza che non s’esprime, resta parola, imputridisce… La purezza perduta: ecco la novità, il terribile dato, e la vecchia famiglia ancora forse trepida della storia padana, della sua giovinezza triste ed eroica.
Pasolini prende dunque le mosse da alcuni suoi grumi e li analizza, strutturando un monologo per immagini. “Giovinetta” è ora detta la madre che si mostra in un abbigliamento di “vesti fragranti”, di mode “impure e timide” che si amalgamano con il suo “tiepido riso” e con la sua “bianca gola, / simile all’eroine / dell’epoca…”.
Ognuno di questi lacerti è come la scintilla che accende tutto l’impeto del desiderio
Mi innamoro dei corpi / che hanno la mia carne / di figlio – col grembo / che brucia il pudore.
Arrivando in fondo, ci si rende meglio conto che si tratta di una voce accorata, capace di comunicare esperienze secondo una secolare tradizione in grado di far scaturire una poesia di meditazione e di trasparente intimità.
L’omosessualità di Pasolini si esprime in “uno spettro / di batticuori senza / pietà” e con le sue preferenze si riferisce al mistero dei corpi, alle qualità di quei corpi:
d’una bellezza pura / vergine e onesta, chiusi / in un gioco ignaro / di sorrisi e di grazia.
Siamo nell’ultima strofa, dove la simbologia sessuale è del tutto manifesta: il candore materno è simile alla purezza della rosa ancorché “disfatta” dopo che le è stata affondata la spada nella sanguinante gola.
Nell’epilogo si compie infine la calata agli inferi, compiuta con l’intento di ritrovare e di offrire compostamente a se stesso e agli altri il valore massimo di umanità:
Un troppo grande amore, / nel cuore, per il mondo.
Per le innervature portanti, per le analogie di contenuti e confessioni nutrite da vivide passioni, il componimento non può non rimandare a Supplica a mia madre nella raccolta Poesia a forma di rosa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Memorie”: la poesia di Pasolini per la madre Susanna
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