Messi
- Autore: Fabrizio Gabrielli
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: 66th2nd
- Anno di pubblicazione: 2022
“Il campione di porcellana” come qualcuno lo ha definito, troppo delicato, dalla corporatura non memorabile, chiuso in sé stesso come pochi, “la Pulce” insomma – ebbene, forse a molti giovani il concetto va chiarito con parole forti e chiare: i grandissimi della storia del calcio quella roba lì, quella fragilità, non possono permettersela. I grandissimi non possono essere incostanti, non più di quanto consentito dai banali cali detti appunto fisiologici. Dunque, porcellana un corno.
Scrive Fabrizio Gabrielli nel bel libro Messi (66thand2nd, 2022) dedicato al grandissimo calciatore argentino:
La teoria del dono divino. La teoria del genio innato, è mendace, oltre che autoconsolatoria. Anche Van Gogh, per comprendere la tecnica e l’uso del colore, copiò dalla prima all’ultima tutte e 197 le illustrazioni del manuale di disegno di Charles Bargue.
Ovvio che il dono Messi ce l’avesse, ma non ha soggiaciuto al luogo comune dell’alea, quella di calciatori che pur tecnicamente fortissimi azzeccano una partita sì e quattro no. Perché alla faccia delle apparenze, Messi, pur dando l’impressione di giocare a calcio nella maniera divina che tutti sanno, con la naturalezza che a noi al massimo consente di camminare, ha lavorato abbastanza per non essere, per dire, solo un Ronaldinho. Meraviglioso talento, il brasiliano, immensamente dotato dal punto di vista tecnico, e non meno Homo ludens di Messi, ma privo della sua visione e anche della sua costanza.
L’abbrivio alla nota, affatto secondaria nell’economia complessiva del libro, lo dà all’autore la prima partita di Messi al Barcellona contro il Real, circondato da una teoria di formidabili centrocampisti a comporre una delle squadre più forti della storia – non ultimo il ruolo che vi svolgerà dopo Frank Rijkaard, Guardiola, a partire dalla mediazione che seppe condurre fra il giocatore e la dirigenza in occasione delle Olimpiadi cui Messi volle a tutti i costi partecipare contro il parere dei suoi datori di lavoro.
Ora, è ancora storia di oggi, sebbene prossima alla fine, una più appropriata antitesi mediaticamente persiste, d’altro tipo, e l’autore stesso se n’è fatto carico in un precedente volume Cristiano Ronaldo. Storia di un mito globale per lo stesso editore, con il calciatore portoghese, meno dotato da madre natura e più di lui, come dire, duramente fabbricato per forza di volontà.
Il libro, come giusto che sia, principia dalle origini, dalla città di Rosario – un’Argentina diversa da quella prestigiosa della capitale ma calcisticamente per nulla marginale, l’Argentina che ha amato molto di più l’ennesimo, forse più importante termine di paragone che siamo abituati a contrapporre a Lionel: Diego. Diego che agli argentini ha fatto vincere un mondiale, che riusciva a essere insieme leader e artista (vecchio equivoco, ricorda Gabrielli) laddove il rapporto di Lionel con la nazionale è stato prodigo di sofferenze (a partire dalle lacrime dell’esordio, nel quale fu espulso dopo il primo pallone toccato). Rosario, seppur non nuova a regalare talenti, lontana da Buenos Aires dovette sembrarla ancor di più al resto degli argentini quando Lionel se la lasciò alle spalle, presto, da ragazzino, nel momento in cui il padre capì che in Europa gli sarebbero potute accadere cose ben più importanti di quelle domestiche, pur promettenti, di una provincia sperduta del sud del mondo.
Era un affare ricorrente in quegli anni, racconta Gabrielli: in uno dei tanti, ripetuti crolli del paese, la caccia al ragazzino prodigio che potesse risollevare le sorti di una famiglia povera ovviava alla depressione incombente quanto la speranza di un biglietto vincente a un superenalotto miliardario.
Sono molte le angolature da cui è ripreso il calciatore argentino e l’autore si muove abilmente fra vicende di gioco, riferimenti letterari, luoghi e momenti topici di una carriera meravigliosa. Soprattutto Gabrielli sembra aver vinto un’impegnativa scommessa: trovare parole e struttura adeguate al racconto di un artista sublime, una scrittura felicemente lontana dal pessimo racconto sul calcio che ne fanno i più.
Uno specimen fra altri prende spunto da una possibile definizione del dono di Messi, quella che Gabrielli prende in prestito da García Lorca, il duende, “un potere, non un agire; un lottare, non un pensare” come scrisse il poeta spagnolo.
Inspiegabile, il duende cifra la tripletta che l’argentino infligge al Real, come si diceva, nel Clásico del 10 marzo 2007 - un “qualcosa di angelico e demoniaco al contempo”. Ancor più straordinario è ciò che accade col primo gol al Getafe il 18 aprile dello stesso anno: chiunque andasse a rivederlo si troverebbe davanti a una bellezza letteralmente indicibile Per sfidarlo, l’indicibile, il preziosismo stilistico di Gabrielli in questo caso si articola nell’enumerazione, correlativo di uno dei gesti calcistici più straordinari dell’argentino, il penultimo dribbling di una seria cominciata a centrocampo:
Faena de capa, prestidigitazione, capolavoro d’escapologia, preludio al tercio de muleta con il quale Messi mette fuori gioco il portiere, l’ultimo ostacolo, aggirandolo con una gambeta che lo spinge quasi sulla linea di fondo. Di lì, appoggiare in gol con il piede meno nobile dei suoi, il tocco quasi kitsch in un capolavoro d’eleganza, è un gesto ormai quasi spogliato di ogni importanza.
Il gol che più di altri ha innescato il ripetersi di un cliché, come si diceva, obbligato dai fatti: il paragone, quello capitale, fra Messi e Maradona. Occupazione dialettica internazionale ma per forza di cose costante in Argentina.
Argentina che ha imparato tardi ad amarlo, Messi, il timido, antimediatico Messi, quando ha cominciato a farla vincere (le successive svolte con cui Messi negli anni, specie gli ultimi, ha dovuto fare i conti, segnano un filo ben visibile nel racconto).
Del rapporto con l’Argentina, come di quello con i compagni, della famiglia di Messi, del Barcellona, delle partire, Fabrizio Gabrielli sa restituire in luogo di inutili statistiche reperibili ovunque, umori, clima, paure e desideri.
Il sapore, avrebbe detto il dimenticato Roland Barthes - ciò che serve a un racconto per avvicinare la verità, specie quando essa ha da fare con l’enigma del genio.
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