Micol Arianna Beltramini nasce a Cagliari nel 1978. Esordisce nel 2006 con la raccolta di racconti “Vienimi nel cuore” pubblicata da Coniglio Editore, da cui ha preso il nome il suo blog frequentatissimo vieniminelcuore.splinder.com. Il successo arriva con “101 cose da fare a Milano almeno una volta nella vita” pubblicato da Newton & Compton nel 2008. Traduttrice e giornalista free-lance, ha da qualche mese pubblicato per Castelvecchi “Cornflake”, la storia di una bimba di quattro anni (arrivata da chissà dove e alla quale, se dice bugie, si accorciano le gambe) e della sua amicizia con Dee, che a ventisette anni non ha ancora trovato il suo posto nel mondo. Una storia moderna che inizia là dove cominciano le favole.
Micol, intanto ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo 4 chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: Non hai mai fatto mistero del tuo amore per Milano che arriva dalle pagine di “101 cose da fare a Milano almeno una volta nella vita” e che tornerà in un nuovo 101 sempre a Milano, se le anticipazioni che ho letto sono giuste. Da dove nasce quest’attaccamento per una città che con Cagliari ha ben poco in comune?
Non è facile essere nati in Sardegna e vivere a Milano. Non lo è stato per me, che ho passato tutte le estati della mia infanzia e adolescenza in un paesetto davanti al mare. Una bidda, come si dice dalle nostre parti. Tre anime, cinque cani e una parrocchia. Eppure per me era il mondo. Quel cielo sempre così azzurro; il sole e il sale sulla pelle; la libertà di girare a piedi nudi, sempre abbronzati, con addosso poco più che il bikini; le ore passate in un’acqua così trasparente che ci vedi meglio che attraverso l’aria. Tornare a Milano dopo un’estate in Sardegna era una sofferenza. Era ritrovarla grigia, piovosa, di cemento; comunque troppo piena e comunque troppo di fretta.
Per ventott’anni mi sono lamentata di Milano. Dei suoi ritmi frenetici, del suo grigio, della sua nebbia e della sua pioggia. E più tardi del suo traffico, del gelo dei suoi abitanti, del suo essere troppo concentrata sul lavoro. E infine della sua colpa fondamentale, gravissima, di non essere bagnata dal mare. Poi mi sono trasferita a Roma, e Newton & Compton mi ha commissionato questo libro. All’inizio ho pensato, mi tocca inventare; non le troverò mai, centouno cose da fare a Milano. Però mi sono rimboccata le maniche, e ho iniziato a cercare. Parlando con le persone giuste, leggendo un milione di cose, e al tempo stesso andandomene in giro, in lungo e in largo.
Improvvisamente Milano sembrava diversa dal posto in cui ero vissuta fino a quel momento. Le strade che avevo percorso per ventott’anni, casa lavoro lavoro casa, dal nulla si saturavano di significato e calore. Giorno dopo giorno imparavo di più sulla storia della città, sui suoi personaggi, sulle sue caratteristiche; imparavo i suoi ritmi, le sue sfumature, il suo carattere specifico.
Scoprivo improvvisamente di essere stata cieca.
Proprio io, che mi vantavo di avere occhi anche dietro la schiena.
La verità è che Milano è prima di tutto una città che funziona. Che ti semplifica la vita in un milione di modi, tanto che mentre ci vivi neanche te ne accorgi. E allora la critichi, perché è più facile. È grigia, è fredda. Persino per chi ci è nato è brutta.
La verità è che Milano è solo nascosta. La sua bellezza non è roboante: bisogna andarsela a cercare. Vincere una certa diffidenza iniziale, un muro inevitabile che la rende tanto più affascinante. Solo a quel punto vi si mostrerà per intero, e le perdonerete persino il fatto che non è bagnata dal mare. Tanto in Sardegna fate sempre in tempo a tornarci, no? Io ci torno ogni estate!
- Seconda chiacchiera: “Vienimi nel cuore” è un esordio forte, dal duplice significato. Il titolo è tratto dalle parole di Luna che risponde così al suo unico amante, nel momento clou di una scena di sesso. Quella risposta nasconde il bisogno di Luna di andare oltre il sesso e trovare l’amore? Ti assomiglia Luna?
Sorvolerò sul paragone tra me e Luna, se me lo permetti, e dividerò con te l’arcano nascosto nel titolo del mio primo libro:
vienimi nel cuore è una risposta poco pratica a una domanda molto pratica che prima o poi tutte le donne (e suppongo anche qualche uomo) si sono sentite fare: dove devo venire? dove vuoi che venga? se, come logicamente accade, la domanda è posta durante o verso la fine del rapporto, la risposta è, di norma, determinata da tre fattori: vena del momento, scopo del gioco e metodo anticoncezionale usato. esempi di risposte pertinenti e accettabili sono dentro, fuori, addosso, per terra. vienimi nel cuore no. vienimi nel cuore lo si dice solo a pochissimi, e spesso neanche a voce alta; vienimi nel cuore vuol dire magari siamo stati insieme dieci minuti, ma quello che mi hai dato voglio portarmelo dentro per sempre. anche se quella persona è molto probabile che non la rivedrai più. così succede in queste storie, molto più che nella vita. non ho ancora deciso, onestamente, se sia un bene o sia un male.
- Terza chiacchiera: In un’intervista, ti sei definita creativamente stitica. Come fa una persona “creativamente stitica” a produrre tanto e soprattutto a lavorare con le parole, con i libri, con i giornali? Assumi qualche sostanza naturale, presa in erboristeria? Dai qualche consiglio a chi è stitico, sempre creativamente parlando...
Non assumo niente, purtroppo. Oddio, a parte un po’ d’alcool la sera. Che decisamente aiuta a sciogliere le dita. Comunque, provo a spiegarti il mio problema con la stitichezza creativa. Non è questione di buttar giù periodo dopo periodo; è questione di ispirazione. Dammi un tema, dimmi di cosa devo scrivere: posso farlo in qualunque momento. È lavoro, capisci? L’ispirazione vera, quella è un’altra cosa. Parlo di quando hai qualcosa da dire, qualcosa di personale, di tuo, e decidi di metterlo giù a parole perché in un certo senso non hai scelta. Quello è il tipo di esperienza di cui sono stitica, ahimè.
- Quarta chiacchiera: Hai impiegato quasi dieci anni per portare a termine “Cornflake”, pubblicato in questi giorni da Castelvecchi: un libro che hai definito dal minimo potere commerciale in quanto favola e dalla copertina senza niente che attiri il lettore. Una favola moderna, però, non per bambini. Se non è neanche una favola nel senso convenzionale, cos’è “Cornflake”?
Cornflake nasce da un progetto cominciato a 23 anni, una versione alternativa di Pinocchio che avrebbe dovuto essere pubblicata in poche copie e abbinata a uno spettacolo teatrale. Poi non se ne fece più nulla, e mentre io finivo l’università e iniziavo a lavorare la favola restava ferma al capitolo ventuno. Sette anni dopo, prima che uscisse il mio libro su Milano, Castelvecchi editore ne lesse i primi ventun capitoli, e mi propose la pubblicazione: così, all’alba dei trent’anni, l’ho finita.
Cos’è oggi questo libro – a parte un pezzo del mio cuore, intendi? È una strana domanda. Metaforicamente parlando, è tutto ciò che sentivo di avere da dire al mondo; mi piacerebbe che facesse rinascere, se non in tutti per lo meno in chi può capire, il rispetto per l’individualità delle persone, la speranza, e l’amore radicato e profondo per una libertà che ci viene sottratta giorno dopo giorno, senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
E due milioni di altre cose, anche. Che si sceglierà chi la leggerà, se la leggerà, di volta in volta.
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver accettato il mio invito facendoti molti in bocca al lupo per il tuo futuro. Se vuoi lasciare un messaggio al mondo intero, qui puoi farlo.
Oddio che responsabilità. Beh, continuate a crederci, gente. A tutto quel che vale. È importante, oggi più che mai.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Micol A. Beltramini
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