Rosalia Messina, siciliana di nascita, vive, lavora e scrive tra Bologna, Firenze e Catania. Cura diversi blog letterari ed è autrice della raccolta di racconti Prima dell’alba e subito dopo (PerroneLab 2010), dei romanzi Più avanti di qualche passo (Città del Sole Edizioni, 2013), Marmellata d’arance (Edizioni Arianna, 2013), Gli anni d’argento (Algra, 2015) e del libro per bambini Favole a colori (Algra, 2015). Dal 20 marzo è disponibile per la collana R.I.D. (Romance in Durango) l’e-book Morivamo di freddo (Durango 2016, 4,99 euro), nel quale l’autrice racconta, tra passato e presente, le vicende di Mauro e Sandra, Guido e Loredana, due coppie amiche tra loro e del difficile percorso di rinascita del trentenne Enrico che insegna Storia del Cinema all’Accademia delle Belle Arti di Catania, scrittore di “gialli”, figlio unico di Mauro e Sandra.
“Io sto male, però vorrei chiarire subito che non sono uno che dà i numeri”.
Una scrittura precisa, uno stile diretto e concreto quella della scrittrice che rivela una grande sensibilità, perché non è semplice descrivere lo stato d’animo di un uomo la cui vita si trova alla deriva.
“È come se lei stesse mettendo a fuoco il passato recente. Si tratta di un processo necessario, sa, i ricordi vanno ripiegati e messi a posto nel cassetto giusto, perché smettano a poco a poco di fare male”.
Abbiamo intervistato l’autrice.
- “La famiglia si può immaginare come una ragnatela, un fiore, una tomba, una prigione, un castello”. Rosalia, per quale motivo ha scelto come esergo del testo una frase dello psichiatra scozzese Robert David Laing?
Perché ritengo la famiglia il nodo centrale della vita di ciascuno di noi, a partire dal quale si sviluppano i nostri percorsi e da cui può nascere benessere come malessere. In ogni storia, anche in quelle in cui l’attenzione del narratore non è focalizzata sulla famiglia, il passato, l’infanzia, le figure genitoriali, i rapporti con fratelli e sorelle costituiscono ingredienti a dosaggio variabile ma ineliminabili. Del resto una grande attenzione alla famiglia si riscontra in molte opere di recente pubblicazione. Cito - ma sono solo esempi, se ne potrebbero ricordare altre - L’ultima famiglia felice di Simone Giorgi e La tristezza ha il sonno leggero di Lorenzo Marone. Giusto per restare in Italia, se poi volessimo gettare lo sguardo oltre oceano, un titolo per tutti: Le correzioni di Jonathan Franzen. E tutti i romanzi di Anne Tyler.
- Qual è il significato del titolo?
Il titolo riprende un’immagine adoperata da Enrico, un trentenne di successo la cui esistenza protetta viene scompaginata dagli attacchi di panico, per descrivere i rapporti all’interno della sua famiglia, il gelo che spirava dall’atteggiamento del padre. Enrico evita a lungo di guardare (e di sentire) la sua sofferenza. La tiene nascosta anche a se stesso, come polvere sotto un tappeto. Ma a un certo punto, recalcitrando e sbuffando, dovrà farci i conti.
- Per la stesura della trama ha tratto ispirazione da un fatto realmente accaduto?
In realtà un episodio di cronaca mi ha indotto ad alcune riflessioni dalle quali poi è germogliata l’idea di scrivere la storia di due coppie. Un ufficiale dei carabinieri, un quarantenne con una carriera strepitosa, nel 2009 rimase ucciso mentre tentava, disarmato, di calmare un anziano barricatosi in casa in stato di alterazione mentale. Di lui in rete lessi bellissime cose. Mi venne in mente che fra tutte le persone addolorate, fra tutti quelli che consideravano irreparabile la perdita, magari, chissà, qualcuno che lo aveva sempre invidiato doveva adesso fare i conti con emozioni difficili da decifrare e da gestire. Immaginai così Guido e Mauro, persone diversissime, uno brillante e di successo, l’altro introverso e frustrato. Il resto è venuto da sé, a poco a poco, perché i personaggi immaginati man mano prendono corpo e spingono in direzioni che chi scrive all’inizio non aveva immaginato.
- Il libro dimostra che ciascuno di noi è un sopravvissuto, a qualcosa o a qualcuno. Che cosa ne pensa?
Nella storia di ciascuno ci sono cadute dalle quali occorre rialzarsi, baratri dai quali è necessario venire fuori. Una cosa perfino banale da dire, insomma. È la resilienza, termine che indica la capacità dei materiali di resistere all’applicazione di forze e, in psicologia, la forza di superare le traversie senza perdere la propria umanità.
- In Italia si sa non si legge. Ma più nel tempo si allunga la serie di dati negativi sulla crisi del libro nel nostro Paese, più un dato appare certo, non si è fatto nulla, in questi anni, per invertire la tendenza. Da addetta ai lavori, qual è il Suo parere?
Ma guardi, non credo, sinceramente, che si possa indurre a leggere chi non ne ha voglia. Sento dire che la scuola potrebbe fare molto, ma l’amore per i libri (come per la musica, il disegno, lo sport) non si instilla, si può coltivare quello che già esiste, non creare dal nulla il piacere di farsi raccontare una storia. Ho il massimo rispetto per la libertà di ciascuno, nella quale rientra anche quella di decidere che dei libri non si sa che farsene. È inutile dire a chi non ama i libri “non sai cosa perdi”: infatti, non lo sa, e non c’è molto da fare. Detto questo, poi, dobbiamo intenderci sull’oggetto vero del nostro discorso. La crisi dell’editoria non coincide del tutto con la diminuzione dei lettori. Per quel che leggo, secondo i veri addetti ai lavori (io sono soltanto una persona che ama leggere e scrivere) il numero dei cosiddetti lettori forti è stabile, quello che cala è il numero di libri acquistati, perché si possono anche prendere in prestito in biblioteca o possono passare di mano in mano. Del resto, se con quello che costa un libro di carta posso farci la spesa al supermercato, in questo periodo di crisi economica che dura da anni, perché devo andare in libreria? E non mi si racconti del profumo della carta stampata, perché la maggior parte delle persone, oggi, ha ben altri problemi che quello di sentire un (per altro inesistente, a mio avviso) profumo della carta stampata. Io credo che il digitale sia il futuro e sono contenta di avere avuto l’opportunità di pubblicare con Durango, una realtà molto interessante, il cui motto è “libri digitali e persone in carne e ossa”. Perché la carta (come prima la pergamena e la tavoletta cerata) è solo un contenitore. Il libro è il contenuto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Morivamo di freddo: intervista all’autrice Rosalia Messina
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