Musica dalla spiaggia del paradiso
- Autore: John Ajvide Lindqvist
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2015
Quattro roulotte a traino di quattro automobili e dieci persone, compresi due bambini, un maschio e una femmina. Una notte d’estate il campeggio “sparisce” – letteralmente: inghiottito dal Nulla - e in mezzo a una landa “vuota” e desolata comincia la paura, quella che può dare, spesso, trovarsi faccia a faccia con se stessi e il proprio passato. Negli “strilli” di lancio, John Ajvide Lindqvist è associato a Stephen King: ritengo che – a parte la mole identica dei romanzi - lo spessore letterario dello svedese sia perfino superiore. In “Musica dalla spiaggia del paradiso” (Marsilio, 2015), per esempio, si ha netta l’impressione che il plot fantastico-orrorifico sia solo il punto di partenza da cui muovere per lidi "altri", indagini interiori, tutte attinenti a fantasmi e traumi del passato dei protagonisti. Certo che anche per il lettore questo romanzo non è uno scherzo: il senso di straniamento è palpabile, il disagio qualcosa che avverto come “fisico”, prima ancora che metafisico. La vicina Stoccolma a un tratto non c’è più, come nemmeno il lago, gli alberi, gli scogli e il chiosco: tutti scomparsi. Nessun’altra realtà parrebbe esistere al di fuori del deserto di erba (misteriosamente ben curata) rimasto. Un deserto da cui è impossibile fuggire, sormontato da un cielo incombente, senza sole, tanto blu da apparire finto. Del mondo di “prima” non restano che i segnali di una stazione radio “impazzita”, se è vero che continua a trasmettere solo vecchie canzoni pop di cantanti svedesi. Nessun’altra voce, nessun altro punto di contatto che provi possa esistere qualcosa oltre il Nulla in cui i campeggiatori sono stati precipitati (inferno? paradiso? pianeta alieno? allucinazione collettiva?). In sede di analisi occorre attenersi a un dato di fatto: la forza autentica di alcuni romanzi sta nel “suggerito”, nel non-detto, nella capacità evocativa (che hanno) in sé. A volere intestardirsi a spiegare l’irrazionale si imbocca il lettore ma si rischia, spesso, la semplificazione. In “Musica dalla spiaggia del paradiso” si capisce subito che la smania di spiegare a qualunque costo qualsiasi cosa non rientra esattamente tra le priorità di John Ajvide Lindqvist. Capace di sovvertire gli schemi della narrativa claustrofobica (quella della “camera chiusa”, l’Overlook Hotel di Shining, per intenderci e riandare a King), precipitando – au contraire - i personaggi in uno spazio aperto ma rendendone paradossalmente impossibile la fuga. “Musica dalla spiaggia del paradiso” (“Himmelstrand” nell’originale svedese. Traduce benissimo Alessandro Bassini) è dunque sempre a un passo dall’abisso: rimesta tra i bau bau della psiche umana, misurandoli con un contesto straniante, soltanto in apparenza on air. Quasi per contrappasso. Quasi a significare che le autentiche zone oscure ci abitano dentro.
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