Na farfalla mi vasau lu nasu
- Autore: Marco Scalabrino
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2014
Abbastanza eloquente l’epigrafe che Marco Scalabrino riporta nel libro Na farfalla mi vasau lu nasu (Universal Book Srl, Rende (CS) per conto di CFR Edizioni, 2014). Suggestiona e conduce nell’anima di questa sua recente fatica letteraria (ottobre 2014).
Vi leggiamo un profondo pensiero di Salvatore Camilleri che stimola a una riflessione sul percorso che il poeta compie; un cammino che, se vissuto nella solitudine della propria officina interiore, idealmente abbraccia coloro che hanno nutrito la formazione intellettuale di ciascuno e ai quali bisogna essere riconoscenti per la guida esperta, insostituibile e indelebile. Le parole di Camilleri sono incisivamente illuminanti. Egli scrive:
… mai poeta ha percorso la sua strada senza avere a fianco altri compagni di viaggio, altri poeti, senza ricevere e senza dare a quelli che vengono dopo.
Ecco, dunque, il senso del libro: una ricca messe di traduzioni nel dialetto siciliano. Così Piero Carbone nella illuminante prefazione: “Senza voler disattendere il compito originario, per far rivivere, come s’aspetta Steiner dal traduttore, “l’atto creativo che aveva informato la struttura dall’originale”, Marco Scalabrino cosa fa? Smonta l’originale, lo dimentica e nel ricordo dell’esperienza vissuta lo riscrive nel e con un dialetto: il suo. Basterebbe pensare alle sue prove su Catullo, Peter Thabit Jones, A. Freitas, Nat Scammacca, tanto per citare alcuni nomi. Sono autori certamente amati e già incontrati nei suoi studi. E sicuramente la molla adesso è stata quella di piegare duttilmente il “siciliano” come a voler dimostrare che la sua ricchezza fonetica e semantica è tale da frantumare la barriera d’una lingua straniera.
Un lavoro complesso e articolato il suo, umile e umano, che lo mostra autentico lettore dei testi interrogati per cercare di recuperare in primo luogo la musica originale, nonché ricercatore raffinato di tutti quei termini del suo dialetto atti a salvaguardare immagini e significati delle originarie composizioni poetiche. In quest’ottica, vorrei precisare che il traduttore è come un orologiaio che smonta e rimonta i pezzi del complesso meccanismo. Guai se gli tremano le mani! Non potrebbe eseguire con perizia il lavoro che intende portare a termine. Freddezza e passione, dunque, ci vogliono entrambe. A dirla con Gesualdo Bufalino “il traduttore deve essere insieme un mistico e un ingegnere. Quindi, il tradurre è più di un esercizio: è un gesto di ascesi e di amore”. Il traduttore intreccia con l’autore intese e complicità come in un rapporto d’amore. Per tutto questo, si incontra in questo volumetto una mente coltissima, una sottigliezza preziosa di sguardo affascinato da due orizzonti: i poeti classici e moderni privilegiati e la Sicilia con la sua linguistica millenaria, che Scalabrino continua a indagare con una curiosità mai delusa.
Non manca nulla in questo singolare percorso di un saggista e poeta non separato dalla buona globalizzazione e radicato, perciò, nella sua etnia vissuta nell’ottica dell’interculturalità. Sicché, scrivere diventa il mezzo per incontrarsi con gli altri, di riunire nel linguaggio natio tutti i propri simili in una cornice di luce irradiante. Si ha l’impressione, insomma, che Scalabrino possa far propri versi del villaggio globale così come si parla nella lingua materna: e siamo di fronte a un’operazione difficile e ardua. Ben riuscita. E segreta, soprattutto.
Na farfalla mi vasau lu nasu
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