Nati con la camicia. La generazione del ventennio in Piemonte
- Autore: Franco Clivio
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Anno di pubblicazione: 2010
Franco Clivio, farmacista di Torino, è noto autore di canzoni di successo e di brillanti, ironici saggi sul Ventennio, tra cui questo “Nati con la camicia - La generazione del Ventennio in Piemonte” (camicia nera, ovviamente), un’opera arricchita da molte immagini d’epoca.
In Italia dal 1934 (come riferisce il Clivio che viene alla luce giusto l’anno successivo) si nasce davvero in camicia nera: poco dopo il parto, il capofamiglia riceve dall’Opera Nazionale Balilla la tessera per il neonato. Ancor più di una sopraffazione, si tratta della stupidità del regime, già espressa precedentemente pretendendo il possesso della tessera fascista per l’accesso a un impiego pubblico, parapubblico o comunque considerato d’interesse nazionale; così il Fascismo continua a rendersi incapace di contare i veri fedeli distinguendoli da coloro che, tenendo famiglia, hanno semplicemente "abbozzato". Peraltro, i pochissimi antifascisti fuoriusciti all’estero, forse, non sono più eroici dei molti che, amando i loro cari più dei princìpi politici, non vogliono assoggettare la famiglia alle privazioni causate dal loro esilio, onde è per concreto amore che s’assoggettano a bere il fiele quotidiano; e mi pare che siano queste, più che quelle dei vari Pertini e Togliatti, le figure umane verso cui l’autore mostra maggiore simpatia.
Per ragioni di spazio accenno solo ad alcuni capitoli del libro, lasciando al lettore di gustare direttamente l’insieme. Il primo capitolo, “Consenso in aumento – dal ’30 al ‘35”, tratta degli anni solari di Mussolini e del suo partito, parlando anche dei meriti del regime, non assenti, come la bonifica delle Paludi Pontine, fornendo una panoramica sociale (italiani gran fumatori e frequentatori di bettole, cavalli ancora padroni delle strade…) e focalizzando su aneddoti gustosi, come quello del Dux che, il giorno delle nozze della figlia col conte Ciano, dopo il ricevimento tallona geloso sulla propria auto, per chilometri, la macchina della coppia in fuga, rendendosi particolarmente ridicolo.
Seguono gli anni della “Parabola discendente – dal ’36 al ’39”, in cui il professor Ardito Desio – quello della conquista del K2 – scopre il petrolio in colonia, sotto lo “scatolone di sabbia” della Libia, ma l’Italietta fascista non ha i denari, e forse anche l’adeguata mentalità imprenditoriale, per le trivellazioni e le raffinazioni; così l’esercito italiano in guerra resterà sovente all’asciutto di benzina contro i carri angloamericani, pur avendo sotto i piedi enormi giacimenti petroliferi: i benefici, favoriti dalle strade e dalle altre infrastrutture costruite dagli italiani, nel dopoguerra andranno alle compagnie dei paesi vincitori, sino alla nazionalizzazione attuata dal colonnello Gheddafi.
Nei quattro anni precedenti il conflitto, Mussolini è ormai una figura irraggiungibile. Gonfio di sé ha perduto ogni misura, mentre malauguratamente la massa delega tutto a lui, “l’uomo che ha sempre ragione”, persino quand’egli accetta di far dono a Hitler delle criminali leggi razziali del ‘38, complice il re Vittorio che ignominiosamente le firma. Intanto dilaga la barzelletta, ma solo quella soffice, tollerata perché al regime non solo non può far male, ma può rendergli il servizio d’apparire liberale. La supponenza del Duce, convinto d’avere con sé la Provvidenza e dunque di non sbagliare mai, nonostante i consigli contrari di capi militari porta l’Italia in guerra a fianco della Germania, con le ben note conseguenze.
Il terzo capitolo, “La divisa”, contempla la militarizzazione degl’italiani, per classi di età da Figli della Lupa a Balilla sino, via, via, a Giovani Fascisti, per poi essere precettati, tra gli “otto milioni di baionette”, nelle Forze Armate o nel braccio militare del partito, la Milizia. Per “le femmine”, esercizi fisici salutisti e prove d’economia domestica, in vista di partorire e allevare innumerevoli figli per il Capo, che da parte sua è il padre naturale di molta, illegittima prole generata con le più svariate ammiratrici-amanti di quasi ogni sera, fino all’unica che terrà con sé fino alla morte, l’infelice “Claretta”. L’autore maggiormente entra in dettagli nei capitoli successivi: “Balilla”, “Una maschia gioventù”, “La scuola”, e via seguitando, fino, passando per la tragica Salò, a giungere al “Post-Fascismo” e al “Pellegrinaggio” dei nostalgici alla tomba del Duce, con buoni affari nei decenni, paradossalmente, per molti cittadini comunisti del Comune, dello stesso colore, dove Mussolini riposa.
L’opera si chiude con un’appendice, il capitolo “La storia sui banchi”, vale a dire quella raccontata nei libri scolastici dai vincitori, parziale salvo pochissime bilanciate eccezioni.
Pare che oggi nelle scuole la disciplina storica sia una cenerentola; ben vengano dunque libri come “Nati con la camicia”, un saggio di storia sociale che informa bene, divertendo, scritto in uno stile molto piacevole.
Nati con la camicia. La generazione del ventennio in Piemonte
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