Nati di domenica
- Autore: Ingmar Bergman
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Garzanti
Esiste un confine ben definito tra realtà e immaginazione? L’infanzia è davvero il periodo più importante nella vita di un essere umano per la sua crescita e formazione? Può la mente umana arrivare a comprendere completamente il mistero della vita e a scoprire se esiste veramente l’aldilà?
Intorno a queste tre domande esistenziali e a molte altre si sviluppa la narrazione di Nati di domenica (titolo originale: Söndagsbarn; Garzanti, 1993, collana I Coriandoli, trad. Carmen Giorgetti Cima), libro autobiografico del famoso regista svedese teatrale e cinematografico Ingmar Bergman. In esso confluiscono una miriade di temi di carattere universale e mai riconducibili soltanto all’esperienza personale.
La storia si svolge in un’estate e precisamente nel luglio, lo stesso mese in cui l’autore è nato, del 1926, quando il piccolo Ernst Ingmar (in Svezia è molto diffusa l’usanza di mettere due nomi soprattutto agli uomini, ma a volte anche alle donne, anche se poi la persona viene comunemente chiamata con il secondo di essi) ha compiuto otto anni e sta trascorrendo le vacanze estive nella casa di campagna con la sua famiglia nell’odierna contea della Dalarna, all’epoca regione chiamata Dalecarlia, situata nella Svezia centrale.
Molto bella è la scena che descrive l’arrivo del padre, pastore protestante e in quel periodo cappellano del re e della regina, che proviene da Stoccolma, alla stazione ferroviaria del piccolo paese di Dufnäs, dove la famiglia Bergman ha affittato una casa di campagna un po’ spartana, ma comunque accogliente, per trascorrere le vacanze estive. Essa si trova a circa un quarto d’ora di cammino nel bosco dalla ben più confortevole dimora di Våroms (questo è il nome proprio con cui viene chiamata questa abitazione), dove sono soliti trascorrere le ferie estive i coniugi Anna e Johan Åkerblom, i nonni materni di Ingmar. Nel momento in cui sono ambientate le vicende, Johan è morto da poco.
La descrizione di questo quadro familiare è attenta, minuziosa e densa di significato. Il piccolo Pu, come viene per tutto il romanzo chiamato proprio in ricordo dell’affettuoso vezzeggiativo con il quale i familiari erano soliti chiamati Ingmar bambino, ha preceduto alla stazione la mamma e i suoi due fratelli, il maggiore Dag, che ha quattro anni più di lui, e Margareta, nel libro chiamata nella traduzione italiana, la Pupa, che ne ha invece quattro di meno del protagonista.
Nell’attesa dell’arrivo del treno, egli si diverte a passare il tempo nella piccola stanza dove lavora il capostazione Ericsson, al quale racconta alcune cose, ma senza ricevere molta attenzione dall’uomo, impegnato nel suo lavoro e in particolare intento a controllare alcune bolle di spedizione.
La descrizione di tale scena e in particolare dell’attesa del padre e in seguito del suo arrivo è emblematica perché in essa si ritrovano molti degli elementi che caratterizzano questo libro e tutte le opere letterarie di Ingmar Bergman, più precisamente il modo di descrivere atmosfere, sensazioni e personaggi che animano le sue storie. Esse sono ricche di significato e piene di vita, anche nell’apparente pigrizia dei suoi protagonisti e nell’immobilità delle scene descritte. Tutto pulsa di vita: da una mosca povera di forze che ronza contro la finestra al ticchettio di un orologio o, a volte, quando si tratta di un’abitazione, di una pendola, che scandiscono l’inesorabile scorrere del tempo, a un gattone tigrato che si stiracchia per poi accomodarsi comodamente sul libro dei trasporti di Svezia. La capacità comunicativa dell’autore si esplica attraverso i particolari più piccoli, anche quelli apparentemente insignificanti, ma che contribuiscono a infondere un’inconfondibile, affascinante ed emozionante atmosfera al racconto.A tal proposito una bellissima espressione dell’autore presente in questo libro proprio in questa parte descrittiva testimonia l’importanza della scena:
"La quiete è come l’eternità e certo non meno solenne."
Nel quadro familiare, oltre alla curiosità del piccolo Pu e la sua estrema sensibilità, emerge l’amore per le donne, già in cosi giovane età, come dimostra la frase riferita a sua madre Karin:
"È più bella della Vergine Maria e di Lilian Gish."(Celebre attrice dell’epoca del cinema muto).
Nel libro confluiscono e sono costantemente presenti molti temi, ma tutto ruota intorno alla gita tra papa Erik e il piccolo Ingmar in una domenica calda e che si rivela molto intensa, formativa ed emozionante. Erik Bergman, pastore protestante luterano, chiede infatti al suo secondogenito di accompagnarlo nel piccolo paese di Grånäs dove il parroco della chiesa locale lo ha invitato a celebrare la funzione domenicale e a tenere la predica. Il piccolo Pu, che apprende dell’invito di suo padre solo il pomeriggio del giorno prima, non sapendo declinarlo, accetta di accompagnarlo e non sa che tale viaggio rimarrà per sempre impresso nella sua mente. In esso tenterà di rafforzare il suo legame già in quel periodo un po’ conflittuale con suo padre, ma soprattutto questa esperienza si rivelerà determinante per la sua formazione di uomo e di artista.
Nato il 14 luglio del 1918 alle tre del mattino, come lo stesso Ingmar afferma attraverso le parole del piccolo, sperimenterà direttamente il destino di tutti coloro che sono venuti al mondo in questo giorno della settimana. Una leggenda nordica che Lalla, una domestica di casa Bergman, racconta al piccolo Pu e a suo fratello Dag la sera del sabato che precede il viaggio, molto diffusa in particolare nella regione dello Småland, situata nel cuore della Svezia meridionale, secondo la quale le persone nate di domenica nel giorno della festa della Trasfigurazione di Cristo, che per l’appunto è il giorno seguente al racconto di Lalla, se si recano all’alba sul luogo di una persona che si è tolta la vita, possono apprendere molti segreti sul mistero della morte e della vita.
A tale rivelazione segue il racconto della storia dell’orologiaio di Borlänge, popolato di fantasmi e che parla di morte, strani fenomeni che ricorda le atmosfere un po’ macabre, ma al tempo stesso incredibilmente affascinanti di Hoffmann e di Poe.
Tale racconto, che l’anziana domestica Lalla fa alla giovane collega Maj e ai due bambini la sera di un sabato d’estate, ricorda i tempi in cui i nonni o le tate raccontavano storie straordinarie, come nel caso della famiglia Bergman davanti a una ciotola di latte caldo, sgranocchiando gallette con formaggio di latte di capra. Tempi nei quali la fantasia dei bambini veniva stimolata, esercitata e aiutata dagli adulti per farli crescere bene, contribuendo a farli maturare, a sviluppare il senso critico e saper comprendere meglio la realtà.
Ci si affeziona a tutto ciò che viene descritto da Bergman, come i cibi consumati, tra cui le patate novelle, le aringhe marinate, le gallette, la crema di uvaspina, le polpettine di carne con pasta o la conserva di mirtilli rossi. Il conflitto tra i genitori che minacciano di separarsi, la non accettazione del padre da parte della nonna materna del piccolo Ingmar e il tema sempre presente della fede con competenza, profondità di sguardo e sensibilità spirituale. La storia dell’orologiaio è una storia di fantasmi mai banale e il libro è un piccolo capolavoro di saggezza e memoria, che tocca anche il tema dell’amore.
Bergman aveva capito fin da giovanissimo che la vera stagione della formazione di uomo è l’estate e che invece che correre e affannarci dovremmo riflettere sullo scorrere del tempo e impegnarci a viverlo al meglio, ricordandosi di eventi, luoghi e persone che hanno segnato la nostra esistenza.
Agli occhi di un bambino molto sensibile non sfugge nulla: la sconcertante macellazione di un vitello, alla quale assiste nella fattoria dei vicini; "la devastante bruttezza della signora Berglund", la proprietaria con il marito di tale proprietà, dalla quale il piccolo Pu viene colpito più che dalla sua generosita; la bellezza di Marianne, un’amica di famiglia conosciuta dal pastore Bergman in una parrocchia dove è stato per un periodo, che canta con voce melodiosa, del quale il protagonista e segretamente innamorato, passando poi alla giovane domestica Maj, dai capelli rossi, anche di ella il piccolo Pu è innamorato, la quale consiglia il bambino di non prendersela troppo per le risate della gente e lo esorta a essere meno serio dicendogli: "puoi ben ridere anche tu?"
Tutto lo fa crescere, ma l’accettazione della realtà, soprattutto quella rappresentata dal mondo degli adulti con i loro contrasti, specialmente quelli familiari legati alla vita matrimoniale dei suoi genitori, è più difficile per lui rispetto al suo mondo interiore, nel quale spesso si rifugia.
Memorabile il contrasto con Konrad, il figlio del parroco di Grånäs, che sfocia in aperta lite sul tema dell’esistenza di Dio, che ricorda quella tra i due giovani in una scena del celebre capolavoro del grande regista svedese "Il posto delle fragole"; i sogni che fa il piccolo Pu: uno addormentandosi durante la predica durante la messa solenne a Granes e quello all’alba della domenica prima di partire con il padre sempre per Granes, in cui incontra l’orologiaio di Borlänge che si è suicidato.
Tutto è denso di fascino, mistero e di forte spirituale ed è incredibile che Ingmar Bergman riesca nell’estate del 1990, dalla sua casa nell’isola di Fårö dove si era ritirato, a raccontare questa storia in modo cosi preciso, pur romanzando un po’ il racconto che non perde comunque mai di credibilità.
Bergman è straordinario ed emoziona come sempre. Chi scrive consiglia vivamente tale lettura, in grado di far rivivere le magiche atmosfere del grande regista svedese dando la sensazione che egli sia ancora presente tra noi.
Nati di domenica
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