La poesia “Nebbia” di Giovanni Pascoli fu pubblicata sulla rivista Flegrea nel 1899, prima di confluire in via definitiva nella raccolta I Canti di Castelvecchio.
È una delle poesie più struggenti di Giovanni Pascoli, pervasa da un infinito senso di malinconia e di rassegnazione verso la vita presente, che dà all’autore la triste sensazione di non avere più nulla da offrire.
Tornano i temi del nido spezzato e del perenne ricordo dei gravi lutti vissuti da bambino, trattati attraverso quel gioco di corrispondenze e simbolismi tipico della poetica pascoliana.
La nebbia è qui presente in una duplice veste: fenomeno atmosferico, ma anche velo impalpabile anelato dal poeta per nascondere da tutto quanto sia esterno al nido costituito dalla famiglia.
Vediamo testo, parafrasi, metrica e analisi di Nebbia.
“Nebbia” di Giovanni Pascoli: testo della poesia
Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli
d’aeree frane!
Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch’è morto!
Ch’io veda soltanto la siepe
dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valerïane.
Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che dànno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.
Nascondi le cose lontane
che vogliono ch’ami e che vada!
Ch’io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane…
Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch’io veda il cipresso
là, solo,
qui, solo quest’orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.
“Nebbia” di Giovanni Pascoli: parafrasi
Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e pallida, tu fumo che ancora scaturisci, all’alba, dai lampi notturni e dai tuoni fragorosi come frane!
Nascondi le cose lontane, nascondi ciò che è morto!
Che io veda soltanto la siepe dell’orto, il muro che è pieno di crepe
da dove spuntano le valeriane.
Nascondi le cose lontane: le cose sono piene di pianto!
Che io veda soltanto i due peschi, i due meli, che danno i dolci frutti
per il mio pane nero.
Nascondi le cose lontane che vogliono che io le ami ancora e che mi dicono di andare via! Che io veda solo quella strada bianca, che un giorno dovrò percorrere
accompagnato dal suono lento delle campane…
Nascondi le cose lontane, nascondile, sottraile ai sogni del mio cuore! Che io veda soltanto il cipresso là, e soltanto quest’orto, qui, dove sonnecchia il mio cane.
“Nebbia” di Giovanni Pascoli: metrica e figure retoriche
Dal punto di vista metrico Nebbia è costituita da cinque strofe di sei versi ciascuna secondo lo schema di rime ABCBCA.
Ogni strofa inizia con lo stesso verso: Nascondi le cose lontane.
Numerose sono le figure retoriche presenti nel testo, a cominciare dall’anafora, che è quella che si ripete più spesso (Nascondi le cose lontane, Ch’io veda e il pronome tu).
Si trovano poi:
- metafore (ad esempio ebbre di pianto)
- personificazione (tu nebbia, tu fumo)
- onomatopea (don don)
- figura etimologica con allitterazione (nascondile, involale al volo)
- frequenti enjambement.
“Nebbia” di Giovanni Pascoli: analisi e temi principali
Nebbia, così come tutte le poesie di Giovanni Pascoli, presenta forti analogie e connotazioni simboliche.
La nebbia, che l’autore invoca all’inizio di ogni verso rivolgendole una sorta di mesta e personalissima preghiera, è personificata e rappresenta qualcosa di vitale in grado di ascoltare e capire.
Il poeta le chiede di nascondere alla sua vista sia le cose lontane nel tempo, quindi il passato, sia quelle distanti nello spazio, così che il proprio sguardo non possa scorgere nulla che sia al di fuori del rassicurante ambiente domestico nel quale si trova.
L’orto, il cagnolino che sonnecchia, le piante circostanti, i pochi e intimi oggetti a lui cari, costituiscono il piccolo e solitario mondo nel quale Pascoli si sente protetto e che per questo non vuole lasciare.
O meglio, a volte sarebbe tentato dal farlo, ma non ne ha il coraggio.
Lo capiamo dal verso che vogliono ch’ami e che vada, chiara espressione di qualcosa che attrae ma che, al tempo stesso, incute timore.
Si tratta, in fondo, della dolorosa contraddizione che ritroviamo in tutta la poetica pascoliana, rivelazione dell’ambivalenza caratteriale del poeta, in perenne conflitto tra il desiderio di vivere un’esistenza più appagante e l’incapacità di allontanarsi dalle proprie poche certezze, ovvero la casa e tutto quanto ad essa appartiene.
Anche in Nebbia dunque, compare il tema ricorrente del nido spezzato, l’angoscia straziante per i cari scomparsi e l’impossibilità di superare un dolore che diviene quasi ossessione.
Così come l’eros insoddisfatto (che vogliono ch’ami) e la morte, praticamente onnipresente e qui simboleggiata dal cipresso solitario.
Osservando la stretta stradina di selciato che conduce al cimitero, Pascoli immagina addirittura il proprio funerale, che sarà accompagnato dal cupo e stanco suono delle campane.
Un senso di insopprimibile tristezza pervade il componimento, appena rischiarata dalla luce di domestica tranquillità descritta nel verso conclusivo.
“Nebbia” di Giovanni Pascoli: linguaggio e simbologia
Se dal punto di vista tematico Nebbia può essere considerata un intreccio fra immagini di vita quotidiana campagnola e motivi biografici, sotto l’aspetto lessicale invece, essa risponde esattamente ai canoni tipici del Simbolismo.
Termini semplici si alternano ad altri decisamente aulici e, soprattutto, al significato letterale delle parole è indispensabile associare quello simbolico.
La valeriana rimanda alla dimenticanza, il cipresso alla morte, il muro alla protezione, il cane agli affetti domestici e alla fedeltà.
Come sempre Pascoli va oltre la realtà e si abbandona ad un linguaggio fortemente evocativo.
La frequente punteggiatura, le pause e gli enjambement spezzano il ritmo di una poesia dal carattere cantilenante, mentre le continue ripetizioni inserite all’interno di una struttura perfettamente simmetrica, pongono l’accento sui temi che l’autore intende evidenziare agli occhi di chi legge.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Nebbia” di Giovanni Pascoli: testo, parafrasi e analisi della poesia
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