Niente su cui posare il capo
- Autore: Françoise Frenkel
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Guanda
- Anno di pubblicazione: 2016
“Possano queste pagine ispirare un pensiero pietoso per coloro che se ne sono andati per sempre, sfiniti dalla fatica o uccisi”. F. Frenkel 1943-1944
Il libro di Françoise Frenkel riporta la sua storia di ebrea polacca, di donna perseguitata e braccata nel periodo più buio dell’Europa, durante l’occupazione nazista. Un diario personale di sentimenti, di sogni, di violenza e orrori vissuti sulla propria pelle, che ha viaggiato per decenni perché Niente su cui posare il capo (traduzione di Sergio Levi, Simona Lari, Claudine Turla) è una storia tornata a noi per essere letta ancora. Una copia datata 1945 stampata da una casa editrice di Ginevra riemerse anni fa a Nizza in un mercatino di beneficenza; nel 2015 Gallimard decise di pubblicare il libro in Francia; in Italia è arrivato l’anno successivo, per Guanda. Dell’autrice e della sua vita in Svizzera dopo la fine del secondo conflitto mondiale si è saputo poco, niente è trapelato negli anni, né documenti, né foto, né eredi. E come scrive con tanto garbo emozionale Patrick Modiano nella prefazione al libro:
“Preferisco non conoscere il volto di Françoise Frenkel, né le peripezie della sua vita dopo la guerra, né la data della sua morte; così il suo libro rimarrà per sempre ai miei occhi la lettera di una sconosciuta, rimasta in fermo posta per un’eternità.”
La vocazione di libraia la nostra amata autrice l’aveva fin da piccola, da quando adorava leggere e riporre i classici nella libreria che il padre le aveva fatto costruire nella sua cameretta. Era nata a Lodz, nel cuore della Polonia nel 1889, e partì giovanissima per Parigi per studiare lettere alla Sorbona e prestare servizio alla Biblioteca Nazionale. Le piaceva passeggiare lungo la Senna e cercare vecchi libri tra le bancarelle dei venditori. Con uno stage nel 1919 presso un libraio imparò a conoscere “i clienti dei libri”, intuendone i desideri, i gusti, le idee. E quando giunse il momento di scegliere cosa fare non ebbe dubbi: la libraia. Nel breve viaggio a Berlino per rivedere alcuni suoi amici, si chiese perché non aprire una libreria francese in Germania; non ce n’erano nella capitale tedesca.
Dopo la Grande Guerra, gli anni che seguirono furono di ripresa per gli scambi culturali internazionali, e la sua libreria La maison du livre, nel quartiere alla moda dove visse per alcuni anni anche Vladimir Nabokov, era frequentata non solo dai pochi francesi residenti in città, ma dagli stessi tedeschi, interessati a una nuova lingua e una nuova cultura. Françoise faceva arrivare da Parigi libri dalle copertine ben rilegate di Colette, Andrè Gide, Henri Barbusse, Romain Rolland. Sostenuta da editori, la sua libreria divenne in breve tempo un luogo centrale della vita culturale e intellettuale: riceveva scrittori e la sua clientela era sempre più internazionale.
Sembrava in quegli anni andare tutto bene, fin quando qualcosa di minaccioso giunse nell’aria: i quotidiani francesi smisero di arrivare in Germania e con la promulgazione delle leggi razziali nulla fu come prima. Davanti ai negozi ebraici le sentinelle naziste incutevano paura e la guerra di lì a poco si pensava fosse stata inevitabile. Con la paura dentro e in ansia per il domani, Françoise rimaneva turbata nell’assistere alle sfilate dei bambini tedeschi della Gioventù hitheliana; al portamento mascolino delle bionde ragazze dagli occhi azzurri,“ capaci di marciare con un passo tanto rude da far tremare i vetri”; alla fuga dei perseguitati verso i confini.
"Visione della nascita di questo mostruoso e sempre crescente termitaio umano che si diffondeva rapidamente in tutto il paese, emettendo un sinistro cigolio metallico, un termitaio dotato di un incalcolabile potenziale di forze collettive.“
L’esercito tedesco avanzava, varcava nuove frontiere, i suoi beni vennero confiscati, dei suoi familiari non ebbe più nessuna notizia; in preda a un’immensa disperazione comprese che bisognava solo fuggire. Gli ebrei venivano portati via, i bambini sottratti alle famiglie e caricati sui camion: si era alla caccia all’uomo. Per Françoise seguiranno anni di peregrinazioni nell’entroterra di Nizza verso Grenoble, poi Annecy, con la difficoltà di ottenere un salvacondotto che le permettesse di oltrepassare il confine per la Svizzera. Pagine drammatiche e commoventi nel racconto di una donna privata di tutto, di ogni suo bene, della sua identità, ma con la speranza di dover riuscire a sopravvivere a quell’abominio.
“Il soldato svizzero camminava davanti a me, con discrezione, reggendo il misero fagotto, compagno delle mie ripetute fughe. Dentro c’era tutto quello che avevo portato con me dalla Francia, tranne un cuore affranto e mortalmente stanco."
Niente su cui posare il capo è il libro di una donna coraggiosa che, nonostante tutto, mantiene immutata la fede nell’essere umano. Tra le sue pagine, nei suoi racconti non vi è traccia d’odio, ma solo riconoscenza per chi le aveva offerto un pezzo di pane, un rifugio per nascondersi dalle SS, o semplicemente un posto su cui posare il capo. Sulle persecuzioni agli ebrei e alle vittime del periodo nazista è stato scritto molto, pur tuttavia ogni volta nel leggere la storia di un sopravvissuto, del suo calvario, dei suoi toccanti ricordi, diviene difficile e fondamentale raccontarne la profonda sofferenza, una nuova testimonianza a futura memoria. Consigliato!
Niente su cui posare il capo
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Niente su cui posare il capo
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