Nomi di cosa. Nomi di persona
- Autore: Margherita Rimi
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2015
L’ultimo volume di poesie di Margherita Rimi, “Nomi di cosa. Nomi di persona”, è caratterizzato, secondo il prefatore Amedeo Anelli, da
“una dimensione indagante e soprattutto sapienziale, con un forte ancoraggio nei saperi della Medicina e della Neuropsichiatria”.
E, aggiungerei io, oltre che nell’esperienza professionale e nella vocazione esistenziale dell’autrice, che l’ha condotta a interessarsi dell’infanzia violata e sofferente, è un libro interrogante in diverse altre dimensioni culturali: quella linguistica, in primis (già presente nella scelta del titolo, in cui “nomi” animati e no esibiscono il loro protagonismo) e quella più genericamente sociale.
A partire da quest’ultimo aspetto, è indicativa nella copertina l’intensa e incisiva foto di Letizia Battaglia, che inquadra uno scorcio di miseria siciliana nello sguardo pacatamente accusatorio di una bambina indigente: e alcune sezioni del libro, più allusivamente autobiografiche, riflettono un passato di prepotenza privata e collettiva subita, senza possibilità di ribellione e riscatto:
“La corsa era intorno al tavolo. Mia madre se ci prendeva / ce le avrebbe suonate di santa ragione. // … Ma mia madre non era violenta. / Noi non sapevamo che cos’era quella infanzia / Non sapevamo che quella era l’infanzia”, “E si faceva giorno di notte / e di notte giorno / E gli occhi non bastavano. // E si faceva freddo. Freddo oltre il freddo / senza limite la terra / e senza limite la parola”.
Parola che viene interrogata, sviscerata nella sua non-innocenza e non-neutralità: parola sempre di parte e di dominio, che scava una trincea tra chi la sua usare e manipolare e chi la patisce senza mai possederla:
“Provano a cancellare la lingua dentro le parole / Stanno chiamando // True self and false self // Come si fa a salvare: le parole dentro le parole”, “Sulla verità dei fatti: / non si può commettere parola / nemmeno una parola / nemmeno sulla punta / della lingua”, “C’è uno scarto / solo / uno scarto matematico / tra parola e oggetto // qui ne connaît pas son nom / qui ne connaît pas son nombre”, “Nella testa si gonfiano le cose / non si trovano i concetti”, “Quella parola / basta che lo chiami / che ogni tanto lo chiami // che così ogni tanto può esistere”, “Chi conzanu sti paroli / ch’aggiustanu // Chi scrivinu / chi scancellanu // Passanu / e spassanu // Parlani e nun parlanu cchiù”.
Margherita Rimi sa usare le parole, le viviseziona e le prende in giro (esemplare a questo proposito Il poemetto della punteggiatura, che in tonalità ereditate da un giocoso Rodari esibisce una rilettura grammaticale e ortografica della scrittura). Le utilizza in un plurilinguismo provocatorio o nostalgico, in terminologie specialistiche derivate dal vocabolario scientifico. È il suo mestiere di poeta, a cui si affianca, altrettanto fagocitante e oblativo, quello di neuropsichiatra infantile.
All’infanzia difficile, abusata o malata, sono infatti dedicati i versi più abbaglianti e scolpiti del volume: ai bambini autistici, alle bambine violentate, ai minorenni che delinquono, agli sfruttati, agli analfabeti, ai senza presente e senza futuro. Con un’empatia tutta femminile e materna, e con un’indignazione civile che le deriva dalla frequentazione quotidiana dell’infelicità, Margherita Rimi ci offre un resoconto poetico dell’interazione tra terapeuta e piccoli pazienti, incapaci di esprimersi se non a monosillabi, disegnando, in giochi simulati, e sempre senza sfumature, in dicotomie severe che indicano il mondo privo di colori in cui sono cresciuti (Come si cresce per diventare grandi?):
“Raccontami una storia / dammi un altro foglio / dammi un altro tempo / Domani un altro posto:”, “Io questo: / Sono. Il bambino. Scarabocchio. // Ormai c’è un bambino / si deve dare un nome / Non puoi più cancellare / proviamo a dargli un nome”.
Nell’offrire il suo sguardo e la sua voce a chi è stato amputato di sguardo e voce, Margherita Rimi trova nuove espressioni linguistiche, intessute di vigore fisico, carnale, e di un’oralità solare, mediterranea, risentita.
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