Astronauta nello spazio profondo. Arte cosmica. Elementi di questa immagine forniti dalla NASA — Foto di Outer_Space / depositphotos.com
Se avete visto Interstellar, l’avvincente film di fantascienza di Christopher Nolan di cui ricorre il decimo anniversario dall’uscita, avvenuta il 26 ottobre 2014, avrete notato che nella celebre scena girata all’interno di un’astronave che ha appena lasciato la terra e si è avventurata nello spazio, risuonano le parole di una poesia: si tratta di “Non andartene docile in quella buona notte” di Dylan Thomas.
È forse la poesia più famosa del poeta gallese che, come un uragano, agitò e sconvolse il panorama letterario inglese del primo Novecento, per poi abbandonarlo prematuramente: Dylan Thomas (27 ottobre 1914 – 9 novembre 1953) la scrisse tra il 1951 e il 1952, poco prima di morire, dedicandola al padre, malato di cancro.
“Non andartene docile in quella buona notte” è un inno malinconico alla vita, cantato quando questa presagisce all’orizzonte la sua fine imminente e inevitabile; è un poema che nasce dalla vicenda personale di Dylan Thomas ma che, dopo pochi versi, diventa un monito universale non solo per chi è arrivato alla fine dei suoi giorni ma anche per chi ha deciso di lasciarsi andare.
Consideriamo allora il testo di “Non andartene docile in questa buona notte” di Dylan Thomas, la sua traduzione, il suo significato e la sua struttura metrica.
“Do Not Go Gentle into That Good Night”: testo originale della poesia di Dylan Thomas
Do not go gentle into that good night,
Old age should burn and rave at close of day;
Rage, rage against the dying of the light.Though wise men at their end know dark is right,
Because their words had forked no lightning they
Do not go gentle into that good night.Good men, the last wave by, crying how bright
Their frail deeds might have danced in a green bay,
Rage, rage against the dying of the light.Wild men who caught and sang the sun in flight,
And learn, too late, they grieved it on its way,
Do not go gentle into that good night.Grave men, near death, who see with blinding sight
Blind eyes could blaze like meteors and be gay,
Rage, rage against the dying of the light.And you, my father, there on the sad height,
Curse, bless, me now with your fierce tears, I pray.
Do not go gentle into that good night.
Rage, rage against the dying of the light.
“Non andartene docile in quella buona notte”: traduzione italiana della poesia
Non andartene accondiscendente in quella notte serena,
I vecchi dovrebbero bruciare e delirare alla fine della giornata;
Imperversa, imperversa, contro il declino della luce.Nonostante i saggi sappiano che la tenebra è appropriata alla fine dei loro giorni,
poiché le loro parole non hanno provocato alcun fulmine,
Non se ne vanno accondiscendenti in quella notte serena,Gli uomini onesti, dall’ultima onda, mentre urlano quanto brillanti
le loro deboli azioni avrebbero potuto danzare in una verde baia,
imperversano, imperversano contro il declino della luce.Gli impulsivi che afferrarono il sole in volo e cantarono,
e impararono, troppo tardi, d’averlo afflitto durante il suo corso,
Non se ne vanno accondiscendenti in quella notte serena.Gli austeri, all’approssimarsi della morte, che scorsero con vista cieca
che gli occhi appannati potrebbero brillare come meteore e gioire,
imperversano, imperversano contro il declino della luce.E tu, padre mio, là sulla triste altura,
maledicimi, benedicimi, ora, con le tue lacrime imprecanti, ti prego.
Non andartene accondiscendente in quella notte serena.
Imperversa, imperversa, contro il declino della luce.
“Non andartene docile in quella buona notte”: analisi e commento della poesia
Dylan Thomas sembra inizialmente rivolgersi al lettore, quindi all’umanità intera, invitandolo a non accettare la morte in modo calmo e accondiscendente. Questo invito a non lasciare il mondo in modo pacifico, e finanche rassegnato si dimostra, allora, come un’esortazione a resistere, a non accettare il destino che incombe, a darsi da fare nella convinzione che anche le nostre ultime azioni possano migliorare il mondo.
Il tema portante della poesia è, chiaramente, il confronto con la morte e l’atteggiamento che verso questo evento, quando lo sentiamo imminente e ci troviamo faccia a faccia con esso, possiamo tenere. I refrain, ossia i versi ripetuti in tutte le cinque strofe del testo, danno in qualche modo la risposta, indicano la direzione e tracciano una rotta che possiamo considerare comune a tipi umani anche molto differenti tra loro.
La voce che parla, con ogni probabilità quella di Dylan Thomas stesso, incita il lettore a non lasciare questa vita in modo docile, remissivo, rinunciatario: anche se l’evento finale dell’esistenza è paragonato a una notte buona, a un momento opportuno, piuttosto che genericamente buono, perché la saggezza raggiunta a fatica e conquistata nel corso di una vita intera, permette a molti di intuire che le loro azioni, le loro parole, non hanno cambiato il corso del mondo, non bisogna lasciarsi andare. Bisogna, anzi, infuriarsi, scalpitare, in qualche modo contrastare quell’inevitabile declino della luce, quell’improrogabile ingresso nell’oscurità e nelle tenebre.
Nelle prime due strofe accanto al tema della morte compare quello della vecchiaia: un momento della vita nel quale Dylan Thomas invita ad agire, soprattutto ad agire in modo inconsueto, quasi spregiudicato, afferma infatti che i vecchi dovrebbero bruciare e delirare (burn and rave) pur consapevoli che, talvolta, il sipario si chiude con quell’inevitabile senso di incompiutezza che si percepisce quando ci si rende conto di non aver raggiunto tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissati.
La morte è percepita come un evento inevitabile e allo stesso tempo naturale (dark is right) ma nelle strofe seguenti, che costituiscono il corpo centrale del componimento, anche l’opposizione alla morte, il tentativo di resistere ad essa, viene visto come un fenomeno altrettanto naturale.
Nel momento in cui si trovano a tirare le somme di una vita intera, nell’attimo in cui si volgono indietro, i saggi e i buoni si accorgono si rendono conto che avrebbero potuto fare di più, piangono sconsolati perché capiscono che le loro azioni avrebbero potuto essere più determinanti e incisive, avrebbero potuto brillare di più. Un destino simile tocca, poco dopo, anche a quelli che Dylan Thomas definisce gli austeri, uomini grigi, conformisti forse o distaccati, uomini che hanno messo a tacere la loro dimensione emotiva e che hanno relegato i loro sentimenti in un angolo, che in una visione retrospettiva acquistano una singolare chiaroveggenza.
Anche agli impulsivi, poi, tocca una superiore consapevolezza, che li fa dimenare e vibrare alla fine del viaggio: loro comprendono di essersi opposti invano al corso delle cose, complicandole inutilmente.
Se per l’intero componimento il poeta si era rivolto all’umanità in generale, nell’ultima strofa l’interlocutore diventa un altro: il padre; si passa così dai destini generali alla vicenda personale, all’evento che costituì anche l’occasione che portò Dylan Thomas a scrivere la poesia.
Immagini contrastanti creano in questo caso un effetto dirompente che ben si attaglia al finale: il poeta chiede al padre di maledirlo e, allo stesso tempo, di benedirlo con le sue lacrime; è un richiamo alla doppia valenza della morte già tratteggiata nelle strofe precedenti, evento naturale e inevitabile e, al contempo, nemico da combattere e a cui opporsi strenuamente.
Le lacrime del padre morente, allora, non possono che evocare la paura per l’evento estremo e, contemporaneamente, essere monito per una vita vissuta al massimo delle proprie potenzialità.
“Non andartene docile in quella buona notte” è, quindi, anche un invito alla resilienza, a non accettare sommessamente un destino già scritto: se le tenebre inevitabilmente ci attendono, i molti bagliori di luce (il testo è pieno di immagini che rimandano al tema della luce a ciò che la luce fa crescere e verdeggiare, come l’erba) che riconosciamo nitidamente alla fine della nostra corsa, possono diventare anche una faticosa conquista da perseguire in vita, prima che sia troppo tardi, prima che diventino soltanto rimpianti.
“Non andartene docile in quella buona notte”: analisi stilistica e struttura metrica della poesia di Dylan Thomas
Per “Non andartene docile in quella buona notte” Dylan Thomas scelse la villanella, una struttura metrica comune nel XVII secolo in Francia, ma inconsueta per la prima metà del Novecento.
Essa prevede l’uso diffuso di refrain e sei strofe di cui le prime cinque sono terzine e l’ultima è una quartina e un uso diffuso di refrain che incidono anche sul seguente schema rimico: ABA ABA ABA ABA ABA ABAA.
Le ripetizioni frequenti degli stessi versi esprimono efficacemente l’ineluttabilità degli eventi e, allo stesso tempo, l’ossessività del messaggio del poema, ma la struttura complessiva non è da considerarsi del tutto rigida: anche se il verso prevalente è il pentametro giambico, sono presenti diffuse eccezioni e variazioni che contribuiscono ad un ritmo irregolare.
Oltre al refrain Dylan Thomas impiega figure retoriche e ritmiche come: la metafora, l’allitterazione e l’enjambement.
La poesia di Dylan Thomas citata nel film Interstellar
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Non andartene docile in quella buona notte”: la poesia di Dylan Thomas in Interstellar di Christopher Nolan
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