Non è un vento amico
- Autore: Vincenzo Zonno
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2015
Il poetico e figurato titolo del romanzo “Non è un vento amico” (Voci Fuori Scena, 2015) già induce il lettore ad addentrarsi nelle spire voluttuose della lettura e a far infervorare l’immaginazione di chi ama incondizionatamente i libri e nello specifico quelli preziosi per contenuto e forma. Quando ci si imbatte in un libro storico come questo, anche se sui generis,(perchè è anche altro, un giallo a tinte fosche?) si pensa a ricostruzioni d’epoca dettagliate, date ed avvenimenti che si susseguono come in un testo di studio. Niente di tutto ciò è il romanzo di Vincenzo Zonno: la Russia zarista degli inizi della seconda metà dell’800 è descritta da un’angolazione prospettica umbratile, e se così si può dire, seppiata; siamo nell’exclave russa in territorio prussiano, Cypel Koszalin. In questo fortezza il protagonista della storia, il giovane tenente sanpietroburghese Jurij Andreevič Stroganov, chiamato Georges, secondo il vezzo di una certa aristocrazia moscovita di francesizzare i nomi, è mandato dallo zar Nicolaj in qualità di console. La vicenda ha inizio nel 1854 a Sanpietroburgo, la città fatta costruire da Pietro il Grande; nell’arco di un secolo ha assunto la fisionomia di una città dinamica, moderna, aperta ai traffici commerciali, in un certo senso rispecchia le molteplici anime della madre Russia, un immenso ed unico territorio scisso da contrasti abnormi: da un lato resistenze, convinzioni ataviche alimentate e da una nobiltà anacronistica abbarbicata in privilegi medievali e dalla chiesa ortodossa, entrambe restie ed avverse al vento amico, ma non per loro, della modernità.
In questi freudiani contrasti dell’animo si trova il nostro protagonista Georges quando viene strappato al suo stile di vita fatuo, come di tanti altri giovani ufficiali, tra fiumi di vodka e rutilanti amicizie femminili e viene catapultato, per ordine dello zar, sulla costa del Baltico in una roccaforte isolata, un grande imbuto di pietra, quasi una sorta di luogo di redenzione per preservare l’anima russa, monda da contaminazioni forestiere. A Cypel Koszalin il giovane ufficiale si trova in una specie di limbo, sospeso tra un lavoro noioso di scartoffie e che procede a rilento e una comunità che sembra avvolta dalle brume di un luogo sito ai confini del mondo civilizzato che si muove in un’atmosfera rarefatta e incomprensibile. I militari e i civili di stanza al presidio di Cypel Koszalin sono ex prigionieri politici, ex decabristi, ex oppositori dello zarismo: dal lager siberiano sono stati trasferiti in questo avamposto come una fase transitoria per il definitivo rientro in patria. Sembra un non luogo, reso affascinante e misterioso dall’apparizione di Lidija Orlova,
“bellissima e trasognata giovane, occhi verdi, un viso dolce da bambina, la carnagione chiara illuminata dai capelli rossi che nell’attimo dello spasimo scorrevano disegnando un continuo movimento, spargendosi a raggiera, prendendo di volta in volta la forma della parte su cui si adagiavano”
La fascinazione tra Georges e Lidija prende entrambi in una spirale di ipnotico incantesimo e cupo maleficio. Quello che sembrava a Nicolaj uno statico e monotono soggiorno diventa un labirintico paesaggio umano intricato di misteri e vizi. E’ un girone dantesco in cui si consumano peccati e pentimenti: l’aspirazione all’integrità morale passa sotto le forche caudine del peccato per poi potersi pentire.
Il senso di cupezza e intima oppressione attraversa tutto il romanzo “Non è un vento amico”, non bastano i momenti di dolce passione amorosa o le prorompenti costruzioni mentali su un futuro propulsivo verso il progresso impersonato da Murav’ëv, il governatore della Siberia Orientale, ad allontanare questa atmosfera fosca e presaga di nulla di buono.
Certamente in questo romanzo trasudano i grandi della letteratura russa da Cechov a Dostoevskij, ma come filtrati da uno sguardo e una mente che ha sperimentato più di un secolo e che ha alleviato il fardello delle oppressioni e delle diseguaglianze sociali. Il valore aggiunto di “Non è un vento amico” è la cifra stilistica moderna, senza fronzoli o arzigogoli, efficace nelle descrizioni paesaggistiche, mai prolisse o pedanti da naturalista.
Un lessico controllato, sobrio ed elegante, senza eccessi rende equilibrata la forma espressiva resa anche dall’uso della paratassi senza intaccarne la profondità introspettiva. Un libro degno di essere letto ed apprezzato.
Vincenzo Zonno è nato a Brindisi, ma bolognese d’adozione, è un artista di versatile creatività che fa proprie le suggestioni di molteplici ambiti espressivi. Cantante rock negli anni Novanta in diverse band, è poi passato alla danza come interprete, regista, scenografo e curatore delle musiche per la compagnia Yankè Dance Studio. Ha sintetizzato le sue esperienze artistiche in una scrittura indisciplinata che, da un apparente verismo, sfocia in un inaspettato surrealismo. Dopo la sua prima raccolta di racconti “Harpo”, ha pubblicato altri titoli e “Non è un vento amico” è il suo primo romanzo.
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