Non fare domande
- Autore: Sophie Hannah
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Garzanti
- Anno di pubblicazione: 2018
Mai pensare: qui sono al sicuro, cosa mi può capitare? Nei romanzi di Sophie Hannah non si resta fuori dai guai nemmeno dove ci si sente più protetti. La regina britannica del giallo psicologico internazionale torna sugli scaffali italiani con “Non fare domande”, novità Garzanti da agosto 2018 (408 pagine, 19.60 euro).
E se c’è un’altra cosa che abbiamo imparato leggendo Sophie Hannah è che bisogna aspettare le ultime pagine per dire che il gatto è nel sacco, insomma per sapere chi sia il colpevole. Tutto quello che precede la rivelazione finale è un fiorente e molto spesso fuorviante lavorio mentale e intreccio di situazioni.
L’abbiamo appreso dai gialli precedenti della scrittrice e poetessa di Manchester, psico thriller tutti pubblicati da Garzanti, come “Non è mia figlia” nel 2008, “Non è lui” nel 2010, “La culla buia” nel 2012, “Non l’ho mai detto” nel 2014, oltre ad un buon numero di polizieschi classici e racconti.
C’è chi a un certo punto della sua esistenza dice basta, anche tranquillamente, senza strappi.
Mi chiamo Dustine Merrison e non faccio Niente. Con la N maiuscola. Proprio un bel niente.
Ha staccato con la vita precedente, aspira solo ad uno stato di felice, normale, assoluta inattività. Sarà utile quanto meno fare le presentazioni, suggerendo che Justine ha deciso di lasciare alle spalle il ruolo manageriale che l’ha distratta per tanto tempo dalle cure della famiglia. È sposata con Alex, cantante lirico che gira il mondo ed ha una figlia quattordicenne, Ellen.
D’accordo col coniuge (tanto sta fuori una settimana in media ogni tre) hanno mollato Londra e per una splendida abitazione, Speedwell House, isolata in una lussureggiante zona del Devon. È qui che dopo un periodo di grande distensione le cose cominciano a non girare per il verso giusto. Bastano quattro mesi per rompere l’idillio, col verificarsi di due eventi pressoché contemporanei. Prima cominciano le telefonate aggressive di una donna sconosciuta, che dice invece di conoscerla bene e di essere conosciuta da lei. Poi un manoscritto della figlia, trovato per caso, ha il potere di preoccuparla seriamente. Si tratta dell’albero genealogico di una famiglia, gli Ingrey di Speedwell House e dell’avvio della loro torbida storia.
La figlia sostiene che si tratta di una specie di lavoro scolastico, ma un campanello d’allarme scatta nella mente della mamma, l’avverte che la ragazzina si sforza di raccontarla come una cosa banale, sebbene non lo sia per niente. Le vicende drammatiche di papà Bascom e mamma Sorrel, della figlie Lisette, la grande, Allisande, la media e soprattutto Perrine, la piccola, non sembrano farina del sacco di una poco più che bambina. I nomi suonano troppo autentici per essere stati inventati. I sospetti di Justine sono istantanei, ma i lettori hanno una chanche in più rispetto a lei, possono leggere la storia degli Ingrey, che si sviluppa nei capitoli stampati in contro carattere – e le prime di queste pagine “diverse” simulano perfino la grafia di una adolescente – alternati al racconto in prima persona della Merrison. Due vicende parallele, dunque, di due famiglie, quella di Alex, Justine ed Elley Colley e quella fin dall’inizio inquietante degli Ingrey, “gente bislacca, la più bislacca che si fosse mai vista a Kingswear e dintorni”.
Si badi che la ragazzina ha intitolato il manoscritto “Storia di un misterioso omicidio”, che nell’albero genealogico accanto al nome Perrine è appuntato tra parentesi uccisa "da persone o persone sconosciute" e che sul primo capitolo è “L’uccisione di Malachy Dodd".
Perrine Ingrey lasciò cadere Malachy Dodd dalla finestra, voleva ucciderlo e ci riuscì.
Sono tante le domande di Justine. Perché quei nomi tanto strani? Garnet, Allisande, Urban, leggendoli ha sentito lo stomaco attorcigliarsi, come se avesse ingoiato del piombo. E perché c’è anche una Ellen nella famiglia Ingrey?
La ragazza la invita seccamente a non inventarsi pretesti per preoccuparsi. Le dà della paranoica. Quanto alla storia, sostiene che ha voluto rappresentarla un po’ all’antica e vagamente sinistra. Spiegazione che accontenta la madre solo per poco.
In quale anno si svolgono quegli eventi? Perché ambientare un omicidio nella sua stanza? Perché Ellen nasconde il racconto in un file protetto inaccessibile? Sono tanti i dubbi. Può essere che si senta sola, in un posto bellissimo ma isolato. Che sia Speedwell stessa il problema?
In più, ci si mette la telefonista, la “svitata anonima”, come la chiama Alex da Berlino, in apprensione per le condizioni della moglie. Le dice di riferire tutto al Commissariato più vicino.
Poi, cala George. Pare sia l’amico più caro di Ellen, ma di lui non s’era mai sentito parlare finora. Sembra che lo vogliano ingiustamente espellere da scuola. Anche la sorella Fleur rischia d’essere cacciata. Strano, nell’istituto non c’è traccia di loro, ma nessuno si meraviglia che la figlia se lo sia inventato.
Una situazione da vera paranoia. Quella Ellen non è più la brillante e sincera adolescente ch’è entrata in Speedwell House.
Non fare domande
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