Non mi rimaneva che pregare e piangere
- Autore: David Gerber
- Genere: Religioni
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: San Paolo
- Anno di pubblicazione: 2013
Prevaricazione e violenza quotidiana in Pakistan contro le donne, i cristiani e le minoranze
Le donne che osano scegliere un marito vengono sepolte vive in Pakistan. È la tradizione e intendo difenderla, sostiene un parlamentare. In quel Paese, un musulmano che uccide chi bestemmia contro l’Islam guadagna il paradiso. Basta poco per ridurre al silenzio le minoranze o chi protesta. È sufficiente un’accusa falsa di blasfemia, che consente ai tribunali locali di comminare il carcere e, ancora peggio, autorizza agli islamisti a giustiziare senza processo il presunto colpevole.
Non è cronaca del medioevo, ma di oggi. Sono notizie raccolte nel libro di Daniel Gerber “Non mi rimaneva che pregare e piangere”, pubblicato dalle Edizioni Paoline, 206 pagine, 16,50 euro. Il giornalista tedesco è stato in Pakistan, a contatto col Claas, lo studio legale che riunisce un pool di avvocati impegnati volontariamente nella tutela dei deboli e delle donne cristiane, vittime della prepotenza religiosa, sociale e familiare della maggioranza musulmana.
Nella società pakistana, la discriminazione femminile è pesante. Diventa totale nei confronti delle cristiane, isolate, rapite, costrette ad abiurare e a sposare uomini contro la loro volontà.
Certo, sono prevaricazioni che provocano un moto di rabbia. Basta vedere cosa è accaduto alla poco più che ventenne Teena, convertita all’Islam dal clan familiare di un’amica, naturalmente con la forza. E prima con l’inganno. Fingendo un gioco, le hanno fatto leggere un passo del Corano: la professione di fede. Senza potersi opporre, da quel momento ha cambiato religione e famiglia. Non poteva tornare in una casa cristiana, a chi non è musulmano non è permesso educare dei musulmani. Se il padre avesse insistito per riaverla, avrebbe rischiato d’essere bruciato con i suoi nell’abitazione data alle fiamme da qualsiasi credente nella “vera” fede.
Poi è venuto il matrimonio combinato dalla nuova famiglia islamica. Sono nate due figlie e finalmente è arrivato il tempo della fuga, ma ha dovuto abbandonare le bambine. È ospitata in una casa per donne maltrattate, controllata dal Claas. Certo, il padre è stato arrestato – i legali hanno provveduto a scagionarlo, ma non è stato facile - e Teena tuttora non può farsi vedere per strada. Il Pakistan della legge coranica è impietoso con le donne. Il marito la vuole morta e anche in caso di successo in tribunale la ragazza non potrà che allontanarsi dalla città, perchè rischierebbe il linciaggio.
Una vita rovinata per sempre, come Maria, che abitava vicino Lahore, attratta a 14 anni in casa dalla zia e fatta sposare contro la sua volontà a un musulmano povero, violento, ignorante, figlio di una donna che per gelosia verso la nuora lo spingeva a picchiarla ancora di più, sebbene incinta. Una specie di Cenerentola pakistana, costretta ai lavori più umili e faticosi anche dalle sorelle del marito, invidiose della sua bellezza. È fuggita, col bambino e pure in stato interessante. Ricongiunta alla mamma, vive in una base militare e questo la rende sicura, ma il marito, ottenuto di incontrare i piccoli, li ha rapiti, dichiarando di volerli istruire alla fede islamica ed ha ottenuto ovviamente l’affidamento.
Ora Maria si adopera per le donne, augurandosi che finalmente si dia uno stop alle “torture” che le pachistane devono subire. Intanto prega Dio che un giorno la riunisca ai suoi figli.
Questo è un Paese senza regole e senza un governo, dicono i responsabili di Claas. Lo stesso principale attivista, Joseph Francis, l’avvocato dei poveri, rischia l’arresto e vive in semi clandestinità nella prima repubblica islamica, uno stato teocratico in cui la religione cancella la libertà e non lascia al sicuro nemmeno in prigione - potrebbero essere uccisi dagli altri carcerati o dagli agenti - e dove folle inferocite bruciano averi, case e cristiani se in Europa o negli Usa si offende il credo islamico.
Francis ha già annunciato di volersi battere fino in fondo per far cancellare il reato di blasfemia religiosa dal codice penale pachistano. Un progetto, il suo, paradossalmente blasfemo. Può costare il prezzo più alto che un uomo possa pagare: la vita.
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