Non si muore tutte le mattine
- Autore: Vinicio Capossela
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Feltrinelli
“Quando una vita può contenere altro da sé, quando un’anima è abbastanza grande da contenerne altre e risuonare col mondo, fargli provare paura, come Buckley, la musica di Jeff Buckley! Ascoltavamo Lover you should come over, e avevo paura, la ascoltavamo urlando tra le labbra, singhiozzando convulsi, e avevo paura. Un uomo che riesce a regalarti la paura è tanto grande quanto un uomo che riesce a regalarti la felicità. La paura carnale. La paura di vivere! E a farlo così, solo con i suoni, è troppo! … La vita è come una mantide che brucia quelli che più la amano, se li prende.“
Vinicio Capossela è uno dei nostri più raffinati e poetici cantautori. Istrionico e sentimentale quanto basta, i suoi interessi artistici spaziano in ambiti differenti. Il suo ultimo lavoro, presentato al Festival di Internazionale a Ferrara e di Locarno, è il film Indebito che narra della crisi economica in Grecia, paese culla di tutta la cultura occidentale, la terra per cui oggi siamo quello che siamo.
Non si muore tutte le mattine è il suo primo libro pubblicato nel 2004 e vincitore come opera prima del Premio letterario Frignano. Nato ad Hannover da genitori di origine irpina, al rientro in Italia fu notato da Francesco Guccini e dal Club Tenco in poi è stato un crescendo di successi nazionali ed internazionali. Non si muore tutte le mattine ha uno stile narrativo così particolare da non permetterne la classificazione in un romanzo vero e proprio, come spiega l’autore stesso fin dalle prime pagine, nel capitolo Ouverture - Elogio della quantità:
vorrei che queste pagine si potessero prendere a etto, sfuse, a capitoli, a ognuno la parte che gli serve, come dal macellaio.
Influenzato dalla scrittura di Celine e di Gadda, il libro racchiude una serie di racconti, precisamente quarantanove, che con un linguaggio originale e ognuno con una trama a sé, descrive il mondo immaginario di Capossela, un mondo di ossessioni, rinascite e contraddizioni.
“…dove ero ingaggiato intrattenevo la clientela, una clientela con la bocca sempre occupata, mangiante, sbevazzante, parlante. Suonavo sempre da solo in quei locali, come in esilio. Non c’erano musicisti. Non ci arrivavano lì. Era il confine. Mi scaricavo anche il piano Fender Rhodes senza aiuti … senza sentire altro rumore, che quello dei miei passi. Li conoscevo bene … erano la mia compagnia … passavo la maggior parte del tempo con quell’eco, a parlare da solo, a farmi mangiare da solo, a guardare la gente nei bar, tutto quanto servisse per tirare avanti. E non si era all’estero e neppure in città. Non si era da nessuna parte. La città almeno ti può sporcare l’anima, ma la pianura ti sporca soltanto le scarpe. Non c’era niente, nemmeno l’illusione di un pubblico, o semplicemente un pubblico. Nessuno ascoltava nessuno.”
L’autore vuole narrarsi senza uno schema preciso, un fluire ininterrotto dei suoi pensieri, delle sue riflessioni, della propria vita raccontata come fosse un viaggio, intrapreso con gli amici di sempre Nuttles e Chinaski, con sullo sfondo Milano, la sua città grigia e piovosa.
“La solitudine nelle metropoli, nell’hinterland ..it’s Myland, le circonvallazioni ti abbracciano al ritorno..ti raccolgono a braccia aperte, se ti fai abbracciare. Abbracciale così, tristi e dolenti come sono, come triste e dolente l’umanità che ci affolla sopra, e il loro dolore è un poco come il mio.“
Ed è un lungo viaggio che lo porta nelle pianure del nord, fra le macerie di Sarajevo, ad Istanbul, nella moltitudine delle esistenze, in particolare fra quelle dei perdenti che con le loro solitudini si affollano in attesa di una vaneggiata rinascita.
Non si muore tutte le mattine
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