Nove saggi danteschi
- Autore: Jorge Luis Borges
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Adelphi
Il binomio Borges-Dante suscita ammirazione e meraviglia: l’Argentino dalla cultura e interessi enciclopedici, uniti all’ipersensibilità onirica dell’artista, è certamente il più idoneo a rileggere e commentare alcuni passi intramontabili della Commedia, definita "Divina" dal Boccaccio. Nel “Prologo” dei suoi Nove saggi danteschi (Adelphi, 2001, pp.94; con la traduzione di Antonio Melis e Fabio Rodriguez Amaya del 1982, a cura di Tommaso Scarano), Jorge Luis Borges definisce la Commedia “il miglior libro scritto dagli uomini”. Si tratta dunque del libro dei libri, il più grande della civiltà conosciuta. L’affermazione non è eccessiva, in quanto nel poema si trovano l’intero universo e la totalità di sentimenti, emozioni, passioni, pensieri, intuizioni che l’uomo possa esperire. Borges raccomanda di accostarsi al libro con "innocenza", ossia senza tener conto di apparati critici e commentari accademici. Le considerazioni colte verranno in un secondo tempo. Subito è bene lasciarsi sedurre dal genio visivo di Dante, dalla capacità di raccontare i particolari, tanto vividi eppure sognati, i quali accadono “adesso”, situati in una dimensione atemporale:
“In Dante abbiamo personaggi la cui vita può limitarsi ad alcune terzine, e tuttavia quella vita è eterna. Vivono in una parola, in un atto, non serve di più; sono una parte di un canto, ma quella parte è eterna. Continuano a vivere e a rinnovarsi nella memoria e nell’immaginazione degli uomini.”
I personaggi esprimono con pochi tratti il molto e la profondità. È bene assorbire la sintesi di cui il Sommo Poeta è espressione:
"Il romanzo di oggi segue con esibita prolissità i processi mentali; Dante li lascia intravedere in un’intenzione o in un gesto.”
Altro elemento che caratterizza i nove saggi sta sulla "magia" di cui è intrisa la "Commedia". Magico è quanto il testo fa scoprire di noi stessi, infatti "il simile attira il simile" è il primo assunto magico, legge di attrazione presente nel cosmo. Borges non la cita ma la sottintende.
La struttura cosmologica tolemaica del poema, la terra ferma, i corpi rotanti, etc non sono elementi superati, in quanto vanno letti come simbolo e allegoria, (del resto la centralità dell’essere percipiente e pensante è il cardine di ogni sana psicologia), proprio come Dante desiderava. Così apprendiamo nella Lettera che egli scrisse a Cangrande della Scala (Borges la cita espressamente), per esplicitare in che modo vada intesa l’opera mirabile, in cui si compie la fusione con Dio.
Dante nel Limbo (Inferno, IV canto) si identifica per grandezza e aderenza al mondo pagano ed ai valori che esso contiene con Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, “grandi ombre venerate”. Insieme a Virgilio egli è il sesto dell’alta compagnia. Manifesta tutta la malinconia per non poterli collocare in Paradiso; essi non appaiono tristi ma neppure gioiosi, in quel castello “sette volte cerchiato da alte mura”, simbolo delle sette arti liberali, dove vivono come carcerati, discorrendo sempre di poesia. Ogni domani sarà come oggi e ieri, senza il godimento di Dio. Perché?
“Forzato da ragioni dogmatiche, dovette collocare nell’Inferno il suo nobile castello.”
Mi sorge spontaneo il parallelismo del sogno contenuto nel celebre sonetto “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io / fossimo presi per incantamento / e messi in un vasel, […] e quivi ragionar sempre d’amore.”
Insieme alle donne ricche di intelletto. Ma in questo sogno in un vascello fantasmatico, diversamente che nel Limbo, prevale la gioia.
Il Dante di Borges è Ulisse, possiede lo stesso orgoglio dell’eroe omerico, la stessa ansia di conoscenza, la stessa forzatura del conosciuto per avventurarsi nel mistero. Dante è tutto il poema, anche nella colpa e nell’errore. Ma... anche Dio è tutto il poema! L’osservazione è geniale, contiene un’ombra di eresia panteista e il pensiero cardine dello gnosticismo; sappiamo quanto la Chiesa li condanni tuttora.
Le pagine più liriche e travolgenti sono senza dubbio quelle dedicate a Francesca e a Beatrice. Lo scrittore unifica le due donne in un connubio stupendo, come se fossero una: in esse è il desiderio di Dante, il suo dolore inconsolabile per non aver posseduto Beatrice, l’infinito rimpianto per la sua morte, tanto che, secondo il Nostro, il Poeta scrisse la grande opera unicamente per raccontare l’incontro folgorazione e illuminazione con la donna amata. È una visione anticonformista della Commedia. Nel leggere le seguenti righe chi non resterebbe con il cuore turbato? E chi non ha perduto un amore e non ne serba il rimpianto?
“C’è qualcosa che Dante non dice, ma che si avverte per tutto l’episodio e forse gli conferisce la forza che ha. Con infinita pietà, Dante racconta il destino dei due amanti e sentiamo che prova invidia per quel destino. Paolo e Francesca sono nell’Inferno e Dante si salverà, ma loro si sono amati, mentre lui non ha ottenuto l’amore della donna che ama, di Beatrice. […] Quando Francesca parla, dice «noi»: parla per sé e per Paolo, altro modo di essere uniti. Sono uniti per l’eternità, dividono l’Inferno, e questo a Dante dev’essere sembrato una specie di Paradiso.”
Ciò che Borges dona e riscopre è l’autentico spirito stilnovista, reinterpreta il segreto che ogni amante conosce: l’Amore con la maiuscola è Dio, inesauribile, Tutto e causa di tutto, il moto eterno, estasi dell’inamovibile.
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