Novena
- Autore: Marco Marrucci
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2021
Marco Marrucci, alla sua seconda raccolta di racconti, pubblicata da Racconti edizioni, ci prepara, sin dal titolo, a ciò a cui andremo incontro leggendo le sue storie.
Novena, dal latino novenus, «a nove a nove», è una pratica di nove giorni, probabilmente di origine medievale, in preparazione a una festa o all’ottenimento di una grazia, consistente in particolari preghiere e meditazioni per nove giorni consecutivi.
Nove sono i racconti di Novena, con cui l’autore, utilizzando un linguaggio forbito, descrittivo, sorprendente e a tratti fuori moda, ci porta in giro per il globo terracqueo scegliendo ambientazioni geograficamente distanti tra loro e da noi.
Distanze geografiche che permettono al lettore di valicare confini invisibili, entrare nelle storie e affacciarsi nelle vite dei personaggi, scavare oltre la superficie e scoprire cosa nasconde.
Se volessimo affidare a una parola ognuno dei racconti, procederei così: terrore, violenza, vendetta, sacrificio, precarietà, amore, individualismo, solitudine, morte. Parole rappresentative dell’esperienza umana, manifeste a noi in forme sempre nuove e imprevedibili.
Apre la novena Noi che restiamo a Palmer. I protagonisti si trovano in un non luogo, quale può dirsi l’Antartide. La vicenda si sviluppa per cerchi concentrici contrari alla logica naturale. Abbiamo: l’Antartide, la nave, Palmer, le stanze, la stanza. Si percepisce, nella sorprendente descrizione del silenzio che regna tra i protagonisti, un senso di oppressione che tende le corde del climax e si traduce in angoscia, solitudine e silenzi. L’aria è tesa e muta alla ricerca di verità taciute, nascoste. Il dubbio si insinua fino a istigare la paura nell’altro, quell’altro di cui, però, si cerca la compagnia, il contatto, la presenza.
Ci si dimentica di essere tra i ghiacci, quel freddo è entrato nelle loro vite, creando l’incomunicabilità, dettata dalla diffidenza, dalla paura.
L’ovejocoguar ci porta in Sud America. Il racconto ha in sé la forza della tenzone, della violenza, della ricerca di un essere animale, quasi mitologico, che si scoprirà essere altro. Le parole, cesellate magistralmente, tra dialoghi serrati e descrizioni dell’armata comandata dal leggendario Don Gael, re del cartello, il cui nome significa gaelico, di origine celtica, antica quanto la violenza messa in atto dall’armata di costui.
Non lo dirò a nessuno ci porta a Berlino, dove il protagonista sviluppa la sua avversione nei confronti di una bambina. Racconta la sua disavventura a un suo amico, convinto che almeno lui possa comprendere. L’oralità del racconto si perde, in questo caso, nel linguaggio forbito. Ogni riferimento al genere femminile è etichettato con un soprannome: cerbiatta, streghe, ecc. Interessante il passaggio dal senso di solitudine, che a un certo punto investe il protagonista, alla preponderante vittoria della sete di vendetta surclassando completamente il primo.
Prima del Mariinskij è il delicato racconto, seppur pennellato di toni scuri, ambientato nei retroscena dei balletti russi, di un rituale segreto, pagano e necessario, che una ballerina mette in pratica prima di andare in scena. Magico e triste.
Spettabile dottor Wainaina ci teletrasporta in Africa, Nigeria. Un corriere, dal lavoro precario, si ritrova in un dedalo di edifici per consegnare un pacco su cui campeggia la scritta “strettamente personale”. Scritto in prima persona, come la maggior parte dei racconti presenti nella raccolta, dalla ricchezza lessicale oramai consolidata dell’autore, la quale qui trova un esuberante, e forse eccessivo, utilizzo. Il protagonista recita:
«Mi lanciai in corsa verso la sola uscita prevista, ovvero la porta gemella e speculare rispetto a quella da cui ero arrivato e sopra la quale campeggiava una segnaletica verde che raffigurava un fantoccio lanciato come me in corsa verso la liberazione e la cui furia era plasticamente simboleggiata da una freccia bianca.»
Non so quanti lettori, alla fine di queste poche righe abbiano giustamente pensato a un’uscita di emergenza. Ed è quello di cui si tratta.
Torino blackout ci riconduce in Italia. Andrea, il protagonista di rientro a casa, cammina sopraffatto dai pensieri sulle strade deserte della prima periferia torinese, in uno stato alticcio. Il buio lo assale. I ricordi di un amore platonico per Greta, la sua migliore amica, colei che sta per sposarsi mettendo definitivamente fine alle silenziose speranze del ragazzo, si traducono in un profondo senso di smarrimento. Il cammino verso casa, nel buio improvviso, lo metterà di fronte alle sue più grandi emozioni. Leggere questa storia è stato come camminargli accanto.
Possono colpire in qualsiasi momento, ambientato nelle Filippine, sviscera l’umanità intera in poche pagine. Ciò che siamo diventati: curiosi, maniaci di protagonismo eppure profondamente individualisti, smaniosi di essere presenti al dramma che potrebbe, da un momento all’altro, farci entrare nella storia degli attacchi terroristici.
Fogli rinvenuti in una gabbia per cani ci racconta di una Gran Bretagna bucolica, dove la vita del protagonista nella sua bella casa in mezzo al nulla era stata perfetta fino alla morte di sua moglie. Poi tutto è cambiato e quell’immersione nella natura è diventata la sua prigione. Anche qui, come con una macchina da presa, l’occhio restringe l’attenzione al dettaglio del momento. Eccolo, il protagonista prigioniero dei suoi cani dai nomi simili a un presagio, i quali, ironia della sorte, lo porteranno a riflettere su alcuni particolari della sua vita a cui non aveva dedicato mai tempo. La padronanza del lessico veterinario fa del protagonista un attento e curioso padrone. E poi c’è la vita al di fuori della sua prigione, descritta con il suono del cellulare dimenticato in macchina, un suono lontano, quasi d’oltretomba, la decisione di scrivere i pensieri, quasi una forma testamentaria, e infine l’inabilità a tentare di salvarsi.
Natale è ambientato nelle Azzorre. Riallacciandoci al titolo della raccolta, dopo la preparazione, si giunge al nono giorno, al nono racconto, dal significato etimologico nascita, ma che invece parla di morte, di vuoti e di presenze-assenze.
Le latitudini geografiche di questi racconti creano una rete solida, e per niente scontata, la quale intreccia luoghi, fatti, persone traducendoli, con forza, in eventi che, man mano, prendono le distanze dai luoghi e ci immergono nell’esistenza. Ed è come guardare la vita al microscopio.
Novena
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