Occhi chiusi spalle al mare
- Autore: Donato Cutolo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2017
La colonna sonora di “Occhi chiusi spalle al mare” l’ultimo lavoro di Donato Cutolo si apre con un brano intitolato “κοινὴ”, aggettivo che in greco significa “comune”, termine usualmente utilizzato per indicare il greco d’età ellenistica, una “lingua comune” e unica diffusa in tutti i territori che si affacciavano sul Mediterraneo centro-orientale. I brano sono composti ed eseguiti da Rita Marcotulli, tutti fino all’ultimo, corale, scrigno che racchiude la chitarra di Fausto Mesolella. La storia è una come tante, una di quelle di cui si riempiono le nostre cronache ormai da tempo: la storia di uno sbarco di profughi siriani, ma radicalmente diversa dai racconti a cui siamo abituati. Il risultato è un’opera densa, piacevole, stilisticamente semplice ed elegante (notevole la tecnica utilizzata per l’intreccio), priva di pietismi e di morbosità.
“Il sole, quel pomeriggio, era ancora abbastanza alto. Le giornate indossavano vestiti più lunghi e luminosi, la bella stagione si insinuava lentamente tra i vicoli profumando la città”.
È un racconto che vuole ammonirci: dobbiamo ascoltare la nostra umanità, conoscere la nostra storia e agire con coerenza e rispetto. Dobbiamo, in nome di un’etica che troppo spesso dimentichiamo di avere e in nome di una legge di natura che scontata non è: il benessere è destinato a finire e a non appagarci, se non ce ne serviamo per far del bene a chi ci è accanto. È una celebrazione di valori che quasi mai trovano spazio nei racconti veloci e lapidari di un elenco di dispersi al telegiornale. Soprattutto, è una storia che parla di noi. Non c’è un incontro di culture, né due mondi che vengono a compromessi: sul palcoscenico troviamo anime, corpi, lacrime, ferite, paure, carezze, sorrisi. Non è l’Occidente, il mondo in pace apparente, a salvare dei corpi senza speranza. La luce è diversa in questo racconto: è una salvezza reciproca, un reciproco scambio, una vicendevole affermazione di promesse e gratitudine. Donato Cutolo scrive a una società distratta o satura, facendoci aprire non solo gli occhi sulla verità, ma spingendoci a farlo a cuore aperto, di fronte ad uno specchio che riflette la nostra Storia e la nostra natura.
Visibile appena in trasparenza l’amaro paragone tra una paternità piena ed ancestrale ed una appesantita da falsi valori sotto i quali finisce per sgretolarsi: nessun arrogante giudizio da parte dell’autore, solo una finestra sulla fragilità di un padre che tenta di costruirsi saldi appigli sulla sabbia. Il lettore più attento saprà cogliere queste e altre sfumature: si noti, ad esempio, che il cognome del protagonista pare ricordare quello del Sommo Poeta che si muove, per ritrovar se stesso, in un bosco antico. Donato Cutolo ha scritto un romanzo capace di raccontare atrocità, nefandezze e terrore, insieme a riscatto, amore e coscienza, ed è riuscito a farlo con un linguaggio universale, semplice abbastanza da essere comprensibile a tutti e ricco al punto di guadagnarsi l’approvazione anche di un lettore più esigente; una lingua e un messaggio che possono arrivare ad un bambino e risvegliare un adulto.
“Ma il pensiero di un bambino è suggestionabile fino a un certo punto, arriva là dove un adulto non ricorda nemmeno d’aver avuto il coraggio di essere stato”.
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