Occhio per occhio
- Autore: Massimo Galluppi
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2016
Sono affari che non ti riguardano, se non la smetti di fare il ficcanaso, sei morto. Una serie di articoli sulle relazioni occulte tra la camorra e la criminalità balcanica: potrebbe essere questo ad avere portato un giornalista triestino a incontrare il suo assassino, nei giardini mal curati di viale Dohrn, sulla Riviera di Chiaia, a Napoli. A 400 metri c’è il Circolo Tennis, dove segue qualche partita Raul Marcobi, capo della Omicidi partenopea nei romanzi di Massimo Galluppi. Il titolo nuovo, “Occhio per occhio” (Marsilio, ottobre 2016, pp. 410, euro 18,50) è il secondo nel quale si muove il vicequestore tutto fermezza e ragionamento, dopo l’esordio nel 2014 con il “Il cerchio dell’odio”. Era il debutto nei gialli Marsilio anche per Massimo Galluppi, napoletano, già docente di storia delle relazioni diplomatiche e internazionali nella facoltà di Scienze politiche dell’Università di studi orientali.
Per tornare alla trama, Giorgio Cobau lavorava per La Stampa di Torino e si era distinto anni prima nei servizi da inviato in Bosnia e Croazia, durante i conflitti seguiti alla dissoluzione della Jugoslavia titina, dei quali era diventato uno specialista riconosciuto. Sul lungomare, l’hanno trovato accasciato nel rifugio di un clochard, ucciso da due colpi di pistola a bruciapelo e ripulito con fin troppa cura di soldi, oggetti e documenti.
Il questore è preoccupato:
“un giornalista e per di più di un giornale del Nord, ci staranno addosso!”
Un chiaro invito a Marcobi a darsi da fare in tutta fretta. Risultati, servono risultati da dare in pasto ai colleghi della vittima.
Tutti in Polizia si augurano che l’indagine non venga assegnata al pm Mauro Vicentini. Dopo la figuraccia che Raul gli ha fatto fare nell’inchiesta sul delitto del sinologo Canalis sarebbe dura vederli collaborare. Naturalmente, è proprio a quel sostituto che viene affidato l’incarico. Fiutando l’interesse spasmodico della stampa e la visibilità conseguente, ha smosso mari e monti per averlo.
“Appartiene alla categoria dei magistrati ai quali piace mettersi in mostra. Come molti dei suoi colleghi”
scrive Massimo Galluppi.
Cobau era a Napoli per seguire il quinto Forum del Mediterraneo, robetta, cronaca banale che non avrebbe preteso in effetti una grande firma del giornalismo d’inchiesta, praticato solo da pochi, i migliori, come lui, giornalista di razza. Vista la sua presenza a Napoli, il mondo della cultura locale aveva colto l’occasione per invitarlo a presentare il suo ultimo libro, "Mafia e politica in Serbia". Ecco farsi luce la pista balcanica.
L’autopsia conferma ch’è stato ucciso tra le ventitré e l’una del mattino, due proiettili da non più di un metro di distanza, all’altezza dell’emitorace sinistro. Pallottole esplose da una Makarov 9 mm, arma d’ordinanza della polizia russa fino a dieci anni prima, molto diffusa nei Paesi dell’Est.
Marcobi mette in moto certe amicizie per conoscere l’intestatario del cellulare contattato dall’ucciso la sera dell’omicidio. È un docente e politologo francese, anche lui un’autorità in tema di Balcani, che gli conferma di aver favorito un contatto del giornalista triestino col ministro degli interni croato, suo conoscente. Ancora la pista balcanica.
Chi sembra fuori strada sono i cronisti leghisti. La Padania parla di
“un coraggioso giornalista ucciso perché impegnato a svelare i misteri di un Mezzogiorno devastato dall’inettitudine delle sue classi dirigenti e delle varie mafie, che si stanno estendendo anche a un Nord onesto e laborioso”.
Il brano appena indicato offre un esempio della scrittura briosa e ad ampio respiro di Massimo Galluppi, che spazia da una parte all’altra dell’Italia e dell’Europa e tocca anche le corde dell’ironia e della satira. Un modo molto fresco di fare "giallo".
Altre utenze ricavate dalle chiamate archiviate nel cellulare dell’ucciso portano in Olanda, ad un tale Saunich. Lavora preso il Tribunale penale internazionale ed uno dei casi che la giustizia europea sta trattando sono i crimini di guerra attribuiti a Ratko Mladic, il generale serbo responsabile degli eccidi di Srebrenica.
È serbo, guarda caso, anche un ex giocatore del Napoli, Milos Radic, che in piena notte aveva cercato di attaccare briga con il giornalista – tutti contro di lui! – in un bar frequentato da giovani. Si era scagliato contro Cobau, dandogli del bugiardo. Pare che il calciatore abbia minacciato di voler intervenire alla presentazione del libro, per difendere l’onore della Serbia, infamata dalle accuse contenute nel testo.
Vanno a interrogarlo a domicilio e scoprono ch’è partito all’estero.
Entrano in scena altre ipotesi (tangenti, appalti) ed altri personaggi, una ragazza serba con un passato legato alla storia violenta del suo Paese e un prete vicentino trasferito a Giuliano, periferia degradata, “la schifezza della schifezza della schifezza”, come dicono sotto il Vesuvio.
Quante ragioni e regioni di odio: Serbia, Croazia, Montenegro, Bosnia “e mettiamoci anche la Slovenia”. Occhio alle piste balcaniche e attenti agli agguati, attenti agli sconosciuti, nelle strade, di sera, non solo a Napoli.
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