La poesia di Saffo ci è pervenuta tramite frammenti, ma continua a sprigionare una forza evocativa immensa a oltre duemila anni dalla sua composizione originaria. Uno di questi è il frammento 31: Ode della gelosia, una delle liriche più celebri e complete della poetessa di Lesbo, che sovente appare nelle antologie scolastiche accompagnando la sua biografia, tanto che la voce di Saffo risulta indissociabile da questo testo, noto anche con il titolo di A me pare uguale agli dei o Ode del Sublime.
Nel corso degli anni è stato tradotto dai maggiori poeti italiani, tra cui Ugo Foscolo e Salvatore Quasimodo che hanno cercato, ciascuno a proprio modo, di esaltarne lo stile e di magnificarne il sentimento.
Leggiamo questo testo in tempi contemporanei, immersi in un’altra cultura, in una società totalmente diversa da quella di allora, e scopriamo, con stupore, di provare le identiche sensazioni della poetessa greca che viveva nel Tiaso, l’associazione legata al culto di Afrodite, sull’isola di Lesbo; leggere Saffo significa percepire che, nonostante il trascorrere dei secoli, l’umanità non è invecchiata di un solo giorno.
Ciò che Ode della gelosia ci trasmette è l’angoscia sublime dell’innamoramento e tutta una serie di sensazioni - tremori, sudori, batticuori, stordimento - tanto inevitabili quanto invadenti: lo stato d’animo descritto da Saffo è proprio dell’umano, e non cesserà di esistere finché esisterà l’umano. La bellezza di questo frammento, capace di esaltare la forza intrinseca della poesia, è che rinnega la parte razionale della mente per far trionfare l’aspetto passionale. Anche noi che leggiamo siamo calati nella scena, vediamo tutto molto chiaramente come se ci apparisse dinnanzi agli occhi, e ci sentiamo posseduti - anzi dominati - da una passione inspiegabile che non conosce rimedio né misura, né giudizio.
Saffo appare sempre inchiodata a questa scena, condannata a rivivere l’eterno smarrimento di fronte alla rivelazione - subitanea, improvvisa, lacerante - del suo amore. Ode della gelosia è il testo più completo che ci è pervenuto dell’opera della poetessa di Lesbo, poiché era riportato pressoché per intero in un trattato, Del Sublime, una delle più importanti opere di estetica dell’antichità. Secondo quanto espresso dall’anonimo autore del trattato, in questa composizione Saffo riesce a intessere una perfetta unità del sentire raggiungendo, appunto, il sublime. Tutti i fatti narrati dalla poetessa, osserva l’autore sconosciuto, capitano a chi ama, sono sensazioni comuni; tuttavia nel narrarli Saffo è riuscita a toglierli dalla banalizzazione, a svincolarli dall’impotenza, realizzando qualcosa di eccezionale. Ci descrive una scena di seduzione, rendendola eterna, magnificandola.
Scopriamo testo e analisi della poesia e qualche curiosità sulla poetessa di Lesbo.
“Ode della gelosia” di Saffo: testo
A me pare uguale agli dei
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde sulla lingua inerte.Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
(Traduzione di Salvatore Quasimodo)
“Ode della gelosia” di Saffo: analisi e commento
Prima ancora di introdurci nella scena e nell’atmosfera che fanno da sfondo al componimento, Saffo dice “io” con risoluta determinazione; rendendo dunque la sua persona indissociabile da quanto descritto. Segnale che non ci sta narrando una situazione, ma ci sta descrivendo compiutamente una situazione da lei vissuta, sperimentata, in qualche modo “attraversata” con la mente, con la pelle, con il cuore.
Secondo i critici la fanciulla in questione era una delle ragazze del Tiaso, che la poetessa stessa si occupava di educare alla danza, alla musica, alla poesia, al canto preparandole al matrimonio, rendendole aggraziate e desiderabili ai futuri sposi. Dunque è plausibile che l’uomo - non descritto, presenza evanescente, tuttavia ineliminabile proprio perché necessaria alla scena - fosse il pretendente della fanciulla che presto l’avrebbe portata con sé come sua sposa. Questa prospettiva getta sul componimento il presagio imminente dell’addio, rendendo più drammatiche le sensazioni - già di per sé piuttosto angoscianti - provate dalla stessa Saffo. Ciò che la poetessa di Lesbo descrive è una vera e propria sintomatologia dell’innamoramento: la passione amorosa presenta precisi sintomi fisici, che non la rendono poi molto diversa da una malattia mortale, inguaribile. Le sensazioni coinvolgono tutti e cinque i sensi: si va dai tremori, alla perdita della parola, alla perdita dell’udito, sino a un vero e proprio presagio di morte. La passione sembra uccidere Saffo dall’interno, lentamente, come un veleno.
La sinestesia è una chiave di lettura focale per il componimento: la poetessa arde di un fuoco e gela allo stesso tempo, il contrasto fuoco e ghiaccio acuisce l’immagine della totale perdita di controllo, come se la donna stesse sperimentando una sorta di apocalisse personale. Tutto sta crollando dentro di lei, eppure rimane in piedi. Di tutti i sintomi forse il più drammatico è la perdita della voce, ovvero l’afasia che davvero evidenzia lo smarrimento, lo spalancarsi dell’abisso: “la lingua è paralizzata”, propone una traduzione, mentre un’altra addirittura dice “la lingua è spezzata” acuendo l’irreversibilità della situazione. Se dovessimo fare un’analisi clinica dei sintomi riportati, sembrerebbe che - più un eccesso d’amore - Saffo stia descrivendo un attacco d’ansia; ma in realtà ciò che è importante non è quello che dice, ma proprio quello che la poetessa non dice. La sua “afasia”, la perdita della parola, è fondamentale per comprendere la potenza del mitico frammento 31.
In questo dobbiamo individuare anche la chiave di lettura di Ode della gelosia: l’impossibilità di dire, l’incapacità di comunicare uno stato d’animo così estremo che non può essere tradotto in parole e trova il proprio principale veicolo espressivo nel corpo, nella gestualità, nel tremore incontrollabile, nell’umano troppo umano fatto di una fisicità che ci accomuna in quanto esseri viventi.
La poesia di Saffo, la decima musa
Platone, non a caso, definì Saffo la “decima musa” elevandola al rango di divinità della poesia. Il nome della poetessa di Lesbo oggi è divenuto iconico, tanto da designare persino il rapporto “saffico”, tuttavia la sua storia si perde tra realtà e leggenda: sappiamo che Saffo era un’aristocratica, era sposata, aveva una figlia, tuttavia non sono taciute le sue relazioni erotiche con le allieve del Tiaso concepite anche in forma, come si usava nella Grecia antica, di rapporto pedagogico. Il marito di Saffo era un commerciante di nome Cercila di Andro; mentre il nome di sua figlia era Cleide. Non ci sono pervenuti, invece, i nomi delle sue allieve cui dedicò la maggior parte delle sue odi. Leggenda narra che Saffo morì suicida, gettandosi dalla rupe di Leucade perché respinta dal giovane Faone, di cui era innamorata. Questa versione è ripresa da Ovidio nelle Eroidi e, in seguito, da Leopardi ne L’ultimo canto di Saffo. Tuttavia è proprio qui che la realtà sembra trasfondersi nel mito, poiché Faone era in realtà una figura legata al culto di Afrodite che spesso la poetessa aveva trattato nelle sue opere.
Alcuni frammenti, in cui Saffo descrive il rimpianto per la giovinezza perduta, ci permettono di intuire che deve essere vissuta sino a tarda età. La personalità definita di Saffo - la sua vera storia - emerge dalle sue poesie, in cui viene descritta una donna sempre sul punto di morire, per amore, eppure sempre pronta a ricominciare.
Il finale di Ode della gelosia è sospeso, probabilmente volutamente: alcuni critici, letterati, filologi hanno aggiunto alcuni versi negli anni, cercando di ultimare o concludere la poesia, tuttavia senza riuscirci. Nella versione di Gianfranco Nuzzo, ad esempio, è presente un ulteriore verso:
Ma tutto si sopporta, poiché…
Anche questo verso rimane sospeso, restituendo la lirica alla sua origine di frammento. Non c’è una conclusione effettiva, l’io lirico rimane in bilico tra morte e vita, senza parole e senza fiato. Nell’ode si instaura il perfetto equilibrio contrastante tra eros, la pulsione vitale per eccellenza, e thanatos, la pulsione di morte: il piacere è nel dolore e nel dolore c’è il piacere, eccolo il nodo inscindibile.
Questa è anche la ragione dell’immortalità di questo componimento: Saffo è riuscita a esprimere, a mettere in versi, ciò che per sua natura è intraducibile, poiché non può essere controllato razionalmente, né spiegato, né compreso.
Non c’è nulla da capire in fondo; eppure noi che leggiamo, in ogni luogo, in ogni tempo, semplicemente ci sediamo accanto a Saffo e, proprio, come lei, ascoltiamo.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ode della gelosia” di Saffo: il testo più celebre della poetessa di Lesbo
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia Storia della letteratura Saffo
Lascia il tuo commento