Padre Leonardo. Sfumature plebee
- Autore: Serafino Amabile Guastella
- Categoria: Narrativa Italiana
L’opera Padre Leonardo di Serafino Amabile Guastella ha come sottotitolo Sfumature plebee e la ristampa, curata da Cinzia Gallo, è stata pubblicata dall’editore Bonanno nel 2001 con una brillante e colta introduzione della stessa.
Composta da dieci capitoletti che si svolgono con fluidità e scioltezza espressiva, la narrazione è costruita con un particolare realismo che incorpora satira e folclore, evidenziando in contesti estremamente arretrati la piaga del gioco del lotto, visto dagli indigenti come l’unica speranza contro la malasorte. Il lettore si trova dinanzi ad un complesso panorama antropologico da cui affiorano pregi e debolezze degli uomini e che si distanzia dal racconto domestico o campagnolo. Nella prima pagina del libro il protagonista, rapportandosi col suo “autore”, manifesta la propria identità attraverso una sorta di autorappresentazione post mortem: un eccentrico espediente, una sorta di pirandellismo “avant lettre”:
“Io, fra Leonardo di Roccanormanna, umilissimo cappuccino, morto col santo timore di Dio il giorno 7 marzo 1847, fui posto a disseccare nell’asciugatoio del convento; e poi ritto e stecchito e posto con le mani a croce fui collocato nell’undicesima nicchia della nostra sepoltura, dove aspettava lo squillo finale dell’Angelo. Ed ecco che, senza saper come, nel marzo del 1875 mi trovai risuscitato per opera di un imbrattacarte, il quale non ebbe ribrezzo di commettere quel sacrilegio in tempo di santa quaresima e in anno di giubileio. E quel che più mi accora è il pensiero che questa resurrezione non è avvenuta per benevolenza alla mia persona, ma per un misero esperimento letterario: cioè per farmi protagonista di un racconto, in cui non ci fossero amori, né intreccio, né movimento drammatico; in cui i personaggi, i dialoghi, gli spessissimi frizzi, le più magre peculiarità fossero storicamente veri, sperando in siffatto modo rappresentar meglio la nostra vita sociale in quello scorcio di tempo.”
Padre Leonardo è consapevole di essere un “pupo” nelle mani del suo “puparo”. Egli sta al gioco e non tenta nemmeno di dissociarsi dall’intento di essere usato. Lo scrittore, rivolgendosi al lettore virtuale per catturarne l’attenzione, ferma lo sguardo sul frate:
“La più cara, la più frequente occupazione di lui era nel far qualche bene nella misura delle sue forze. Spesso si recava nelle più grame casucce, orridi nidi di miseria e di rassegnazione cristiana; e ivi recitava gratis l’evangelo di San Giovanni sulla testa di qualche povera inferma, che non potea spendere per medicine e per medici; o raccattava qualche fanciullo cencioso, nato e cresciuto di contrabbando, e, dandogli qualche tozzo, cercava ammaestrarlo nel catechismo, e soprattutto nell’obbedienza alle Autorità laiche ed ecclesiastiche. Più spesso era chiamato per assistere ai moribondi: ma non ai moribondi lattai che fanno lasciti di messe, e di elemosine; ma a quei della più cenciosa plebaglia, a quei che han bisogno della congregazione della Buona morte per venir seppelliti cristianamente. Nel tempo che gli rimaneva libero si raggomitolava nel confessionale, prendeva tabacco ad ogni peccato un po’ grosso, e ascoltava con mansueta pazienza i pettegolezzi, le ciarle e le storielle delle sue penitenti”.
Dopo una breve considerazione critico-letteraria sulla figura del frate questuante, viene presentato Fra Liborio:
“fratel laico, analfabeta ma molto svelto d’ingegno, e furbo ed abbindolatore ed esperto in ogni malizia mondana”.
Egli opera con tale abilità da essere considerato “una vera manna pel convento dei Cappuccini”, ma agisce in maniera del tutto trasgressiva rispetto alle regole conventuali. Il suo ragionamento sugli introiti è capzioso. Poiché “nessuno nasce perfetto”, egli, che “era nato imperfettissimo in fatto di donne”, finisce col destinare la terza parte della cerca “in casa di una Messalina plebea, nera, ardente, maniaca di sozzure”. Padre Leonardo, che non era “un fior di dottrina”, spicca, s’è visto, per l’aiuto ai bisognosi, ma un vizietto non lo fa resistere ai digiuni, alle macerazioni: è la tendenza alla ghiottoneria che egli non sa reprimere. Sicché, il suo piacere gastronomico favorisce un rapporto di fiducia tra lui e Fra Liborio, il quale, con sottile furbizia, mette in atto un piano basato sull’inganno per raggiungere la sua Messalina. La proposta è chiara: Padre Leonardo deve improvvisarsi quaresimalista e la beffa assume consistenza quando, per una serie di circostanze alcune delle quali debitamente architettate da Fra Liborio, egli viene ritenuto “Polacco”, cioè dispensatore dei numeri al lotto. A Padre Zaccaria, figura fortemente positiva, vanno le simpatie di Guastella. Ostile verso gli sbirri, le ingiustizie e la religiosità bigotta, rappresenta una figura esemplare sia per l’atteggiamento a favore dei bisognosi sia per il coraggio che non conosce ostacoli.
L’azione si sviluppa nei meandri di un paese irredimibilmente degradato e immobile e il racconto, intriso di un forte espressionismo, diviene così un’operazione di giudizio che ironizza su un modo di vivere la quotidianità, su idee e comportamenti, quali le fazioni paesane che animosamente discutono sul niente. Non mancano le donne (“il fior delle bizzoche”) che chiacchierano sui fatti degli altri; trovano anche largo spazio, tra queste belle pagine d’ampio affresco paesano, gustose scenette, nonché riflessioni sul clima d’intolleranza sociale ad opera della polizia borbonica. Mastru ‘Nzulu, nipote di Padre Leonardo, e Don Cola hanno nel ritmo dei fatti una collocazione precisa che serve ad accrescere la conoscenza sulla realtà. Ritenendo mastro ‘Nzulu che lo zio possieda il Rutilio del 1550 (il libro della smorfia), pensa di rubarglielo. Quando poi si ritrova assieme a Don Cola e a Fra’ Liborio nella celletta del frate per festeggiare l’avvenuto furto, si accorge che il libro è un quaresimale. Entro tali coordinate, la narrazione ruota attorno a numerose digressioni: costituiscono un racconto nel racconto e permettono di mettere in luce un tessuto colto da diversi punti di vista come se offrissero dei fili d’Arianna, ciascuno dei quali avvia percorsi che man mano s’intrecciano. Dice ad un certo momento lo scrittore:
“Io sono come Gil Blas: racconto una storia, e prima di terminarla ne racconto altre dieci”.
Il procedimento, che consiste nell’assemblare tante microstorie in un’unica storia-quadro tenuta da una trama principale, è dunque espressamente dichiarato. Guastella, in sostanza, svolge la scrittura non secondo una struttura lineare, ma con l’intenzione di chi vuol raccontare dentro il brulicare di digressioni che generalmente compaiono quando egli vuole caratterizzare il personaggio in maniera più ricca, introducendo molteplici diramazioni. La psicologia dei personaggi ha il suo fascino in un gioco di raggiri, di ripicche, di paure all’interno di un avvilente modo di essere presentato con toni spesso intrisi di una vigorosa vis comica che sfiora il senso dell’assurdo e del paradosso. I dati di folclore sono un esempio della particolare propensione del nostro alla ricerca antropologica. Il dato introspettivo, che arricchisce il testo di pregevoli esiti stilistici, affiora con efficacia dalla rappresentazione della crisi di coscienza di padre Leonardo. L’intarsio narrativo è ora memoria, rievocazione e domanda entro un labirinto angoscioso. In una scena sottilmente onirica il frate è in preda all’insonnia, mentre sono in primo piano le alterazioni somatiche e i nemici psichici provocati dal senso di colpa. Quando i pensieri si staccano dalla realtà, commenta lo scrittore, “cominciano a trasformarsi in nebbiosi fantasmi”. La scrittura diviene allora monologo, vaneggiamento, delirio, proiezione di stati d’animo:
”Vi hanno difatti nelle violente commozioni dell’animo tali momenti in cui tra noi e le cose inanimate circola un ricambio d’idee, di passioni, di feroci ironie, di ghigni infernali, che quasi ci trasumano”.
In tale atmosfera si realizza il mutamento nella personalità di padre Leonardo che da frate mediocre, sgrossando i propri limiti, diventa capace di recuperare la fede genuina della carità francescana e persino abile nel comporre prediche sincere. Il ritratto che viene tracciato costituisce l’ideale guastelliano del clero rinnovato, l’alternativa al privilegio, all’inerzia, ad una religiosità formale, utilitaristica e avulsa dal reale. L’accoglienza del metodo psicologico ha dunque un che di coinvolgente nel ritmo della narrazione. Con l’osservazione dell’interiorità si riduce lo spazio della narrazione oggettiva, tipico della scrittura naturalista, e l’atteggiamento dell’autore diventa indagatore di situazioni emotive, di conflitti esistenziali, di bisogni intimi e di ridefinizione di ruoli. Se il moralista è sempre pronto a fornire al lettore considerazioni e ad esprimere giudizi, il descrittore di “caratteri” cattura con passione i personaggi e li restituisce con il groviglio di problemi che ciascuno ha dentro di sé. Da un lato, il commento del moralista s’interseca con lo sguardo dell’indagatore che vuol sapere qualcosa su ciò che accade nella psiche; dall’altro, la conoscenza dello studioso si fonde con la contemplazione della natura che sembra partecipare agli eventi umani. In sintesi, la vicenda di padre Leonardo va vista nell’ambiguità fra innocenza e malvagità, fra illusione e naufragio collettivo e privato entro un percorso affabulatorio timbrato dall’amarezza.
Alla fine del racconto, le parole del frate sono sì centrate sul motivo manzoniano della provvidenza che soccorre i bisognosi, ma la sua morte e l’incomprensione di quel messaggio da parte di Mastro ‘Nzulu, come anche la permanenza del chiodo fisso del lotto, rappresentano lo scacco di ogni rinnovamento. Come a dire che per Guastella la scrittura non è affatto consolatoria. Alla fine ciò che rimane è la sfiducia nelle possibilità del cambiamento nella comunità d’appartenenza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Padre Leonardo. Sfumature plebee
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