La figura del padre assume un’importanza centrale nella letteratura che spesso individua in essa l’origine, del bene quanto del male, il punto focale della vita dell’individuo. Al padre sono state dedicate poesie, saggi, trattati, persino la più celebre delle preghiere, il Padre nostro, in quanto in questa immagine paterna converge la ricerca esistenziale e anche una riflessione profonda sulla transitorietà della vita: siamo tutti figli di qualcuno, rappresentiamo il futuro di una generazione passata. Il ruolo del padre presuppone una sorta di passaggio di testimone, si fa veicolo dell’identità.
Tutti gli scrittori, prima o poi, si trovano a misurarsi - o a scontarsi - con la figura paterna e la letteratura italiana ci offre un ampio catalogo di padri: ci sono padri assenti o troppo presenti, il padre padrone o il padre demiurgo, il pater familias di arcana memoria delle comunità contadine di stampo patriarcale che si fa garante e custode della tradizione familiare. Il padre è una figura archetipica, rappresenta un nodo mitologico e psicologico, pensiamo alla tragedia di Edipo e alla sua derivazione freudiana.
Sulla figura del padre si concentra in particolar modo la letteratura italiana ottocentesca - a eccezione dei Promessi Sposi di Manzoni, nel quale è quasi del tutto assente - in quanto all’epoca veniva individuata nell’immagine paterna il principio di una ricerca di senso in chiave sia esistenziale che identitaria. In seguito la figura del padre sbiadisce, da metà novecento in poi infatti assistiamo a un predominio delle figure femminili che in qualche maniera sovrastano quelle maschili: avvertiamo una minore necessità dell’immagine del padre, tuttavia il pater in letteratura continua ad avere un’importanza psicoanalitica, come ci rivelano i romanzi contemporanei, pensiamo ad esempio a La casa del mago di Emanuele Trevi.
A partire da Carlo Collodi, che con Mastro Geppetto ha creato il papà più celebre della letteratura, scopriamo i 5 padri più celebri della letteratura italiana: da Verga a Pirandello sino a Italo Svevo.
1. Il padre in Collodi: Mastro Geppetto
Il padre più archetipico della letteratura italiana è senza dubbio Mastro Geppetto, creato dalla penna di Carlo Collodi nelle sue Avventure di Pinocchio, pubblicato nel 1883.
Geppetto rappresenta l’archetipo del genitore per eccellenza: desidera fortemente il figlio al punto di crearlo con le proprie stesse mani, ne diventa la guida spirituale e morale, tuttavia - come tutti i genitori - si trova a scontarsi con una creatura che no obbedisce alle sue regole e non rispetta i limiti da lui imposti.
La santa pazienza di Mastro Geppetto e la sua frustrazione, la tenerezza con cui si approccia al suo Pinocchio, ci parlano ancora oggi. Geppetto è il padre demiurgo - colui che crea la sua creatura - ed è anche il padre misericordioso, disposto a perdonare il suo “figliol prodigo”. Il Demiurgo, nella concezione platonica, era proprio il “creatore, l’artigiano”, il Dio minore che crea esseri materiali, quindi imperfetti, donando il soffio vitale alla materia informe. Geppetto è il modello di padre creatore, non a caso il libro di Collodi - considerato da Benedetto Croce la migliore opera della letteratura infantile italiana - si ispirava alla Bibbia e, in particolare, al libro di Giona.
Come osservava nella sua analisi lo stesso Croce:
Carlo Collodi ha creato una potente metafora del dualismo tra artigiano e artigianato, tra arte e artista, tra padre e figlio, dualità che non è destinata a concludersi (...)
Il legno in cui è intagliato Pinocchio è l’umanità.
2. Il padre in Giovanni Pascoli: l’assenza
Nella poesia pascoliana invece il padre è il grande assente, si traduce appunto nella “dolorosa assenza”, nell’abbandono senza possibilità di ritorno. Il motivo è noto e narrato nella poesia più bella e straziante di Giovanni Pascoli, X agosto: l’autore perse il padre a soli dodici anni il 10 agosto 1867. Ruggero Pascoli fu ucciso in un agguato da assalitori ignoti mentre faceva ritorno a casa. Gli assassini non vennero mai trovati.
Quella morte tragica rappresentò la dissoluzione del nido familiare e avrebbe influenzato tutta la poesia pascoliana, forse ne fu appunto l’origine poiché tutte le liriche di Pascoli, pensiamo anche alla celebre La cavalla storna, si confrontano con lo spettro dell’assenza.
3. Il padre in Giovanni Verga: da Rosso Malpelo ai Malavoglia
La figura del pater familias è centrale nella narrativa di Giovanni Verga e risponde, almeno in parte, alla rievocazione di un mondo contadino e arcaico che si fondava proprio sul patriarcato. Pensiamo a Mastro Misciu Bestia, il padre di Rosso Malpelo (1861), che lavora in miniera sino alla sua morte, ed è considerato “l’asino da basto di tutta la cava” perché svolge i lavori più gravosi: il peso dell’eredità paterna si riversa sulle spalle del figlio, che ne erediterà la disgrazia.
La disperazione del piccolo Rosso Malpelo è reale mentre scava a mani nude nella rena per ritrovarne il corpo. Il destino del protagonista è determinato dalla morte del padre: prima di imboccare anche lui la strada buia della miniera che lo porterà alla morte, Rosso Malpelo avrà cura di prendere con sé i “vestiti del padre”, come un emblematico passaggio di testimone.
Nei Malavoglia invece emerge la figura di Padron ’Ntoni, che incarna i valori tradizionali dell’uomo siciliano, infatti spiega il suo ideale di famiglia come “sacra, unita, indivisibile”. Ogni membro della famiglia Toscano, soprannominata dei Malavoglia, è infatti inteso come il dito di un’unica mano: tutti devono lavorare insieme, poiché tutti assolvono un compito preciso nell’organizzazione famigliare. Padron ’Ntoni rappresenta la colonna portante dell’intera famiglia: è duro, fermo, irremovibile, non mostra mai le sue emozioni, incarna la figura di capofamiglia, non quella di padre.
4. Il padre dominatore in Pirandello: da Mattia Pascal a Vitangelo Moscarda
La figura del padre dominatore ritorna anche nei romanzi di Luigi Pirandello che, non a caso, con il proprio padre aveva un rapporto difficile e controverso. In Il fu Mattia Pascal la figura del padre appare dominante: la madre del protagonista è a lui completamente sottomessa e anche il figlio patisce il dominio dell’immagine paterna. Il padre dominante impedisce al figlio di crescere e affermarsi nella vita, mina la sua realizzazione come individuo.
Non è poi molto diverso l’archetipo paterno presentato in Uno, nessuno e centomila dove troviamo Francesco Antonio Moscarda, padre del protagonista Vitangelo detto Gengè, che ha lasciato in eredità al figlio la triste nomina di “usuraio”. Anche in questo caso la figura dominante del padre determina il destino del figlio: uno dei primi atti di ribellione compiuti da Vitangelo per distruggere l’immagine che il mondo gli ha incollato addosso è proprio distruggere la società bancaria paterna. In Pirandello i figli devono affrancarsi dai padri per crescere veramente - e non è detto che ci riescano.
5. Il conflitto con il padre in Italo Svevo
Un rapporto conflittuale con il padre è anche al centro de La coscienza di Zeno di Italo Svevo e viene declinato in due episodi in particolare: Lo schiaffo e La morte del padre, ma è anticipato da altre rivelazioni. Quando parla del vizio del fumo il protagonista, Zeno Cosini, allude al fatto che le sigarette colmino in lui un vuoto generato dall’assenza affettiva del padre. Parlando con il dottor S. inoltre il protagonista ritrae il padre come una figura opprimente ed è proprio nella narrazione dell’immagine del padre che viene svelata l’inautenticità del narratore, il suo essere inaffidabile. Il rapporto tra Zeno e il padre, tuttavia, si rivela sin dal principio molto conflittuale:
Avevamo tanto poco di comune fra di noi, ch’egli mi confessò che una delle persone che più l’inquietavano a questo mondo ero io.
Lo ritrae come un uomo borghese cattivo, conservatore, che ha nuociuto alla sua vita.
Particolarmente evocativo è il capitolo dedicato alla morte del padre cui fa seguito l’episodio dello schiaffo: prima di morire il padre schiaffeggia il figlio per un’ultima punizione, come se avesse colto, dietro le false lacrime, il suo desiderio di vederlo morto. Lo schiaffo del padre rivela, una volta per tutte, la figura dell’inetto Zeno.
Il protagonista ha bisogno di liberarsi di questa figura opprimente e forte per affermare la sua debole volontà. Al funerale, dopo la morte del genitore, Zeno si trova infatti a ricordare un padre “debole e buono” come lo era stato durante la sua infanzia e a giustificare il suo gesto violento, contraddicendo di fatto il ritratto crudele intessuto in precedenza.
Soltanto dopo la morte del padre - venuta meno quindi la sua presenza dominante - il protagonista riesce a perdonarlo. Il contrasto con il padre in Svevo è determinante per rivelare la vera inettitudine del protagonista.
A metà Novecento iniziava a profilarsi l’importanza archetipica del padre dal punto di vista psicologico e psicoanalitico: non era più il padre demiurgo né il pater familias, si stava progressivamente rivelando una figura letteraria nuova, decisiva nella determinazione dell’identità individuale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I 5 padri più celebri della letteratura italiana: un’analisi da Collodi a Svevo
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