Paisà, sciuscià e segnorine. Il Sud e Roma dallo sbarco in Sicilia al 25 aprile
- Autore: Mario Avagliano e Marco Palmieri
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2021
Non si può negare che sia stato ben studiato il primo dopoguerra in Italia, dalla fine del secondo conflitto mondiale nella primavera del 1945. Meno, invece, “l’altro dopoguerra” che lo ha preceduto, nel Mezzogiorno, dalla caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 alla risalita del fronte verso il Nord della penisola. Al biennio meno approfondito, al Sud liberato dagli angloamericani, Mario Avagliano e Marco Palmieri dedicano un ampio saggio, pubblicato da il Mulino nella collana Biblioteca storica, Paisà, sciuscià e segnorine. Il Sud e Roma dallo sbarco in Sicilia al 25 aprile (ottobre 2021, 303 pagine).
Solo sfiorato finora dalla ricerca storica, questo “percorso di uscita dalla guerra dell’Italia meridionale”, da Roma in giù, è il tema del lavoro, che fa capo a una pluralità di fonti: lettere, diari, corrispondenza censurata, documenti delle autorità italiane e alleate, giornali, canzoni, anche film e qualche testimonianza successiva. Un racconto corale, in cui restano sullo sfondo le vicende militari e politiche, molto più note e viene ricostruita nei particolari la condizione emotiva generale, fissata con lucidità da Curzio Malaparte:
“Tutti fuggivano la disperazione della guerra e tutti correvano incontro alla speranza della fame finita, della paura finita, della guerra finita. Tutti fuggivano l’Italia, andavano incontro all’Italia”.
Nell’estate 1943, due eventi lasciano l’Italia stremata e divisa: il crollo del fasciamo il 25 luglio e la fuga a Brindisi del re e del governo Badoglio dopo l’armistizio dell’8 settembre con gli Alleati. Gli Alti Comandi si disperdono, lasciando i militari senza ordini. In pochi e disordinati sfuggono al fuoco e alla cattura dei tedeschi, che giudicano gli italiani traditori e creano uno Stato fascista con sede a Salò, sul Garda: la Repubblica sociale di Mussolini, liberato dalla prigionia sul Gran Sasso. La penisola è teatro di scontri, la popolazione è sottoposta a bombardamenti, colpita da stragi, rappresaglie, rastrellamenti, avvilita da stupri, saccheggi, sfollamenti. Dappertutto fame, disperazione, macerie.
Una donna di Ebola annota sul suo diario che prima la guerra la facevano i soldati, ora la fanno tutti: cadono bombe sulle case indifese, sui civili e sui bambini nelle città e paesi dove la gente dovrebbe vivere in pace. La data è 22 luglio 1943.
Gli Alleati, sbarcati in Sicilia a luglio e a Salerno il 9 settembre, entrano nei primi d’ottobre a Napoli, ch’è insorta, cacciando i tedeschi in quattro giorni di combattimenti. Roma dovrà aspettare il 4 giugno 1944, dopo lo sfondamento della linea di Cassino a metà maggio e nonostante l’altro sbarco di gennaio ad Anzio.
L’occupazione nazista costa al Mezzogiorno 942 episodi di violenza e 2.623 vittime, per l’86% civili, a opera delle forze armate regolari, perché nelle regioni meridionali, a esclusione del solo Abruzzo, non vennero schierati reparti delle SS. Vanno aggiunte 1.060 vittime nel Lazio, in 169 atti criminali. Ma l’arrivo degli Alleati non sarà sempre liberatorio e pacifico. Se n’erano accorti quelli tra i nostri soldati che in Sicilia avevano opposto una resistenza onorevole, giustiziati sommariamente dai militari americani che obbedivano agli ordini spietati del gen. Patton. Che dire poi delle località dove si è abbattuta la furia lasciva delle truppe coloniali francesi, che lasciarono una scia di stupri e violenze, a danno di donne e anche di uomini.
Lo scenario è tale che mentre al Nord si combatte la lotta partigiana e si soffre l’occupazione nazista, la popolazione del Sud gode dall’autunno-inverno 1943 dei primi sprazzi di libertà e democrazia. Non dimentica, tuttavia, le ferite lasciate dal regime e dalla guerra, soffre la fame, la mancanza di alloggi e trasporti, patisce il caro vita, il mercato nero e la disoccupazione. L’emissione di Am-lire alleate disastra l’assetto finanziario. Una disperazione diffusa alimenta tensioni sociali, prostituzione, fenomeni criminali e delinquenza minorile. I reduci dal conflitto sono ancora lontani, deportati o in prigionia.
Nonostante la strategia nazista del terrore e le difficoltà economiche e sociali del post liberazione, nei due anni sotto gli Alleati, i meridionali sono pionieri della nuova democrazia postfascista. Per loro, la transizione dalla dittatura alla libertà avviene in anticipo, con modalità diverse dal Nord e con meno rabbia antifascista, considerati i pochi episodi di resistenza armata. Prende corpo il maggiore consenso verso la destra dell’Uomo qualunque e la ricostruzione dell’apparato istituzionale non mette al bando le vecchie autorità prefettizie e badogliane. Ma sarebbe ingeneroso bollare l’intero Mezzogiorno come conservatore, per le percentuali fino al 78% a favore della monarchia nel referendum del 1946. Non sarebbe rispettoso nei confronti dei non pochi combattenti volontari eterogenei (giovani, uomini, donne, contadini, borghesi, militari, antifascisti) che parteciparono agli episodi di rivolta, conferendo alla resistenza meridionale un carattere plurale e una forte impronta di popolo, tale da rappresentare con vero "laboratorio per la Resistenza italiana”.
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