Panchine lungo la via
- Autore: Filippo Passeo
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2020
Dopo una vita dedicata al lavoro come ingegnere minerario, dopo aver appreso il senso dolceamaro dell’esistenza con sguardo colmo di stupore che suscita interrogativi, Filippo Passeo ha dedicato se stesso alla poesia. Sgorga in lui con generosità, quasi fosse una ricompensa al "male di vivere", direbbe Montale.
Ha al suo attivo diverse sillogi, nelle quali infonde un tono elegiaco ricco di malinconia e scintille improvvise di vitalismo. L’ultima sua prova è Panchine lungo la via (Giuliano Ladolfi Editore, 2020, pp. 70), con prefazione di Giulio Greco.
Già nel titolo è compresa l’attitudine contemplativa e meditante dell’autore. Nella metafora delle soste, quasi egli si trovasse in un parco e potesse osservare il mondo e il suo stesso esserci con il supremo distacco concesso all’arte, Passeo esprime la sua visione del mondo: la via stessa è il significato, con il bene e il male nell’alterno gioco del destino, la nostra volontà impigliata negli eventi, l’epica del quotidiano con l’andare ed essere parte dei giochi del destino planetario.
L’occhio del poeta registra la volontà del potere e la sua invariata carica mortale distruttiva. Mostra le guerre in cui le vittime sono sempre dimenticate, come è accaduto nella strage dei Curdi:
"Enormi bombardieri / contro mortai e artiglieria leggera: / kobane, Mambij, Tel Abyad distrutte, / bimbi, donne, vecchi / di nuovo in marcia nella polvere."
Da minatore non può dimenticare la tragedia nella miniera di carbone a Marcinelle in Belgio (vi furono 262 morti); non può sorvolare sul disastro ecologico epocale che stiamo vivendo: rischiamo di cancellare l’uomo. La nostra è un’epoca di decadenza da Basso Impero; Passeo ne porta la croce con versi crudi di denuncia.
A livello individuale il suo canto mostra il disfacimento del corpo, il dolore ineluttabile della malattia. Crea similitudini tra sé e la natura; è consapevole del logorio, della perdita e della sua ineluttabilità:
"Il costone che smotta e che si stacca / sfiducia la mia interezza / costruita tra il cielo e la terra."
Visita gli ospedali, il CSM, Centro di Salute Mentale, dove una paziente è dolorosamente protagonista, a cui si rivolge con amore: "girasole che alla luce non ti volgi".
Anche il delitto è presente sulla scena, come accade ad Annarosa, ottantenne che non avrebbe lasciato la sua terra mai, "solo da morta", e:
"È morta oltraggiata e strangolata da un balordo, / portarono Annarosa una mattina / fuori dalla sua casa e dal suo mondo."
Non sarebbe giusto se il poeta ponesse sotto il nostro sguardo unicamente il dolore umano, procurato dell’umana follia, e pure la sofferenza naturale, destinata, compreso il sentimento drammatico della fine:
"Senza alcuna voglia di arrivare: / il traguardo... il traguardo può aspettare."
A tutto ciò egli affianca la bellezza della luce:
"La vita... / [...] dove puoi perderti o rinascere / tra le ali del sole."
Affianca la mitologia dell’infanzia felice, con la consapevolezza leopardiana della sua breve folgorazione. Affianca la poesia capace di esprimere meraviglia e l’indicibile:
"Allora diventi lo stupore / di un bimbo che vede / il verdeggiante del mondo / e non sa dire..."
E non per ultimo è protagonista l’amore per la donna, compagna di una vita, cantato con tenerezza e passione:
"Il miele buttato nella bocca / ancora mi lubrifica le fibre" "Il nostro tempo fermo / è una costante d’amore / al variare degli accidenti."
L’amore è salvezza, sebbene la Beatrice, la Elettra del poeta sia purtroppo scomparsa ed egli la cerchi tra le stelle; la sua memoria perenne è baluardo contro la pena della caducità.
Il sentimento del Divino accompagna il divenire. Passeo cerca e interroga Dio, non trovandolo. Ma cercare è già trovare:
“Consolati, tu non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato” (Pascal, Pensées, 553: Il mistero di Gesù)
Infatti anche per il Nostro, nell’interiorità, accade l’incontro numinoso, avvertito misteriosamente come un’eco:
"Sei l’Eco dentro noi / che si fa infinito / quando la sentiamo e percepiamo".
Sono bellissimi versi nei quali aleggia una devozione profonda e viva, non dogmatica, rafforzata da quella lettera maiuscola, Eco, con l’esperienza panica di un infinito (ancora Leopardi come riferimento) che giustifica il nostro passaggio terreno.
Un libro denso e completo, questo, nell’andare e nel sostare, costruendo la via passo dopo passo, fragili e stupiti, con la visione finale del fuoco sacro eracliteo ( "Tutto brucia: / foreste, vulcani, il sole stesso..."), di cui basta anche un solo tizzone ( "ma ha scoppi / che accendono il brivido alla vita").
Sara davvero questo brivido il senso arcano del tutto?
Panchine lungo la via
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