Paolina di Marco Lodoli

Trama - Paolina ha quindici anni ed è incinta, la seguiamo per un’intera giornata, dalla scoperta della gravidanza fino a notte fonda, allorché accadrà qualcosa di inatteso.
Corre, Paolina, cammina instancabile per le strade di Roma, è l’unica cosa che sa fare, che le piace fare, per irrequietezza e per necessità di scoperta. E lungo la strada s’imbatte in incontri fortuiti e bislacchi, saltimbanchi dell’ordinario, figuranti di un film di cui non sanno cogliere il significato, ammesso che ce ne sia uno.
Anche Paolina cova dentro di sé lo stesso disorientamento, è solo una ragazzina ma vorrebbe dare un senso alle cose e non ci riesce, o forse lo fa proprio perché è solo una ragazzina.
Va alla ricerca dei tre ragazzi con cui ha fatto l’amore - e nient’altro, sia prima che dopo aver fatto l’amore. Ciascuno di loro potrebbe essere il padre del bambino che porta in grembo, nessuno di loro vuole esserlo. A ognuno Paolina dona una rosa rubata al cimitero del Verano da Samira, una piccola nomade giovane quanto lei, incinta quanto lei, incontrata per caso, per una casuale combinazione degli eventi, come tutto quello che Paolina vive o subisce.

I personaggi di Marco Lodoli sono così, vite minuscole che non faranno mai la Storia, ma sono essi stessi storie d’inestimabile valore, messaggi in bottiglia in un tempo in cui non si naufraga più.
Io sono sola - pensa Paolina - sono nata sotto un cavolo e il cavolo è subito marcito. Ma nell’arco di queste poche pagine, nel breve compiersi di Paolina (Einaudi, 2018), la protagonista s’impone al lettore con tutta la forza della sua fragilità, con tutta la delicata e poetica suggestione con cui Lodoli ce la racconta, raccontando, forse, una parte di tutti noi, quella meno scontata e più autentica.

Alla fine, dal cellulare che Samira aveva sottratto a chissà chi sulla metropolitana e che aveva voluto dare a lei, a Paolina giunge una telefonata. La voce è quella di uno sconosciuto - ovviamente - che però la chiama per nome, sa chi è. Com’è possibile?
A noi piace pensare che quella voce appartenga all’autore stesso, perché in quell’immensa solitudine che è la notte metropolitana di Paolina è la sola voce che può offrire una parola di verità, un accenno di conforto.
Il lirismo delle piccole cose che da sempre caratterizza la prosa quasi sussurrata eppure potente di Marco Lodoli ci dà l’ennesima dimostrazione che per raccontare una storia basta davvero poco, quando quel poco, nelle mani giuste, è capace di trasformare il dolore e l’ineluttabilità del quotidiano in un’elegia dell’esistenza.