Pasolini e Sciascia. Ultimi eretici
- Autore: Filippo La Porta (a cura di)
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2021
Un saggio meritevole di attenzione, che concerne il rapporto tra due grandi scrittori della letteratura del Novecento, si intitola Pasolini e Sciascia. Ultimi eretici (Marsilio editori in Venezia, 2021). Raccoglie plurimi interventi di autorevoli studiosi ed è la colta introduzione di Filippo La Porta che, citando Pascal, orienta il lettore a districarsi in un composito universo di somiglianze e diversità tra i due cui è stata ormai riconosciuta una rilevante autorevolezza nella nostra società: quella dell’intellettuale eretico, afferma La Porta, coscienza del paese, voce dissidente solitaria e non allineata.
Lo studioso subito mette in evidenza un aspetto che Sciascia e Pasolini avevano in comune: “la gioia nel fare il proprio lavoro”, attagliandosi a entrambi la figura della contraddizione quale manifestazione della dimensione critica.
L’argomento che verrà ripreso nei diversi interventi è la ben nota riflessione di Pasolini quando, parlando delle stragi e dei tentativi di golpe, della strategia della tensione e della copertura data a giovani fascisti criminali, scriveva:
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace.
La verità di Pier Paolo Pasolini può essere soltanto immaginata pur restando imprendibile. Per Leonardo Sciascia invece, che ha una mente più “giudiziaria”, l’illuminismo è più marcato: egli indaga gli eventi, anche se infine perviene allo stesso risultato, giacché il vero effettuale resta velato.
Autori “dissidenti” e che usano dunque metodi diversi, come precisa La Porta:
Sciascia avrebbe potuto ribaltare un celebre assunto degli “Scritti corsari”: Io so e intendo cercare le prove.
Il primo intervento è quello di Daniela Marcheschi e porta il titolo Sciascia e Pasolini: intellettuali aporie, verità. Un passo potrebbe riassumere la forza delle sue considerazioni:
Entrambi hanno cercato di elaborare una visione del mondo, di costruire un universo concettuale in grado di attribuire profondità alla scrittura.
E in ciò consiste uno dei lasciti più poderoso delle loro opere: «una posizione eroica e anche tragica in Pasolini, amaramente ironica in Sciascia».
Andrea Cortellessa, che intitola la sua relazione Dal «Romanzo delle stragi» alla «Fuga dei fatti». Retoriche della ricerca della verità in Pasolini e in Sciascia, focalizza l’attenzione sui libri di Sciascia recensiti da Pasolini e riprende il valore da attribuirsi all’Io so pasoliniano («I suoi protocolli logici sono induttivi più che deduttivi»), che si appoggia all’intuito dell’intellettuale-narratore, più che al metodo del ricercatore.
Di Sciascia si sofferma su alcune sue opere, delineando specificamente i rapporti con Borges. Il poeta e l’inquisitore. Slittamenti progressivi dell’«Io so» si intitola la relazione in cui Guido Vitello cita di Pasolini il celebre articolo “Il romanzo delle stragi” (14 novembre 1974), dove l’«Io so” equivale a «Io c’ero», il filo rosso dei misteri d’Italia che su cui per vie diverse viene indagano la letteratura e l’autorità giudiziaria: se ala prima agisce per congetture non suffragate dalla procedura, la seconda ha il “dovere professionale di fare i nomi, di vagliare gli indizi, di trovare le prove e sottoporle al giudizio”.
Bruno Pischiedda in Parlare a voce alta. Pasolini e Sciascia polemisti, puntualizzando in primo luogo le diversità, si sofferma su quello che Sciascia in Nero su Nero definiva l’intuito del letterato (non solo la capacità di arrivare a una sintesi, ma soprattutto i requisiti essenziali quali l’indipendenza, l’isolamento, il nessun legame con qualsiasi forma di potere comunque costituito, l’indifferenza a ogni ricatto economico, ideologico, culturale, sentimentale persino. Al lettore consegna molteplici spunti di riflessione e conclude dicendo che è possibile mettere accanto Pasolini e Sciascia nel loro appassionato contendere civico.
Abbastanza corposo l’intervento di Ricciarda Ricorda dal titolo Sciascia lettore di Pasolini, Pasolini lettore di Sciascia. Ricordando lo scambio di missive tra i due amici, parla di un diradamento della corrispondenza che poi riprende quando Pasolini elogia Le parrocchie di Regalpetra, cui segue una valutazione condivisa appieno da Sciascia. Apprezzabile la conclusione che mostra sia la vicinanza degli interessi e delle posizioni nella prima stagione letteraria, sia le riserve sulla produzione romanzesca pasoliniana.
Comunque, afferma la studiosa, nella comune ricerca della verità da parte di entrambi sembra risiedere la ragione ultima della loro fraternità.
Giuseppe Traina nel suo puntuale intervento critico Sciascia, Pasolini, la lingua di Moro e la «Visione delle cose italiane» conduce una raffinata analisi del “polisaggio” che è L’affaire Moro, spaziando in una lettura inter e intratestuale. Si deve poi a Roberto Andò in Togliere prestigio alla morte la notizia che a Sciascia il film di Pasolini Salò o le 120 giornate di Sodoma provocò tanta sofferenza. Non gli piacque, avendolo subito come si subisce una tortura, pur riconoscendolo importante.
Di tale ampiezza gli argomenti che compongono il saggio, la cui chiusura è affidata a due interventi: quello di Davide Lugio Ragione e potere in Sciascia e Pasolini (il mantenersi fuori-potere); l’altro di Roberto Chiesi Le immagini fantasmatiche, in ellissi e abiurate. Sciascia, Pasolini e il cinema. Particolare il fascino delle pagine dedicate al cinema di Pasolini e di Sciascia, che meriterebbero una sintesi ragguardevole.
Insomma ci si trova dinanzi a due giganti dell’intellettualità su temi scottanti: dal potere al cinema, dalla sfera del mito e del sacro, alla narrativa e alla poesia dialettale, in particolare.
Pasolini e Sciascia. Ultimi eretici
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