Per infiniti giorni
- Autore: Francesca Romana De’ Angelis
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
Ho conosciuto Francesca Romana De’ Angelis molti anni fa, era una delle scrittrici nella giuria del Premio Letterario “Donna Città di Roma” che purtroppo non esiste più. Ora la ritrovo alla presentazione del suo bel romanzo edito da Passigli, ambientato a Roma, con una protagonista femminile, Regina, e un ambiente sociale nel quale mi sono ritrovata e riconosciuta, ricostruito con grande maestria e con la penna sicura della raffinata letterata quale è l’autrice.
Dentro Per infiniti giorni vi sono più storie e più epoche, più luoghi e più oggetti simbolici, più amori e più case, più episodi privati e più grande Storia: nelle quasi duecento pagine del libro, la scrittrice è riuscita a sintetizzare un bel pezzo della storia italiana, a partire da Venezia nel 1859, per arrivare, con un sapiente incastro di tempi narrativi, fino a giorni vicini ai nostri.
L’uso del corsivo ci aiuta a passare, nella narrazione delle vicende dei vari protagonisti, da un un’epoca ad un’altra, nell’inseguire la storia di famiglia che vede Elena e Giorgio, i nonni di Regina, sposi nel giugno del 1893, divenire genitori di molti figli ed acquistare una bella villa d’epoca dal nome augurale, Villa Elena, come la futura proprietaria. In quella casa al mare vicino alle Alpi Apuane, crescono figli e nipoti, tra cui Regina, la figlia dell’ultimogenita Diamante. In quella casa piena d’atmosfera si svolge gran parte della storia che inizia proprio lì, con Regina in attesa della visita dell’uomo che fu il suo primo grande amore, Davide, un promettente violinista ebreo insieme al quale la ragazza suonava il pianoforte, che era scomparso alla vigilia della grande razzia degli ebrei dal quartiere ebraico romano, il 16 ottobre 1943.
I ragazzi si erano promessi amore eterno, ma Davide era stato avvertito da un amico sacerdote ed era riuscito a sfuggire ai nazisti, affidando all’amico una preziosa collana, un vezzo di perle e coralli di raffinata fattura e di grande valore, che era stata di sua madre, ma che non era mai arrivato nelle mani di Regina, che per anni continuerà ad aspettare invano notizie di Davide.
Le storie che si intrecciano nel romanzo sono tante e tutte fondamentali nell’economia della narrazione: forse la più significativa riguarda il dottor Vincenzo, il padre della protagonista, che era riuscito a nascondere numerose famiglie di ebrei in una sorta di stalla dove si facevano esperimenti sugli animali all’interno dell’ospedale romano in cui lavorava, nel tentativo di sottrarle alla deportazione. La scena che vede l’arrivo dei fascisti in ospedale, avvertiti da una spiata, ci riporta alle atmosfere drammatiche di quei giorni:
“C’era una strana assenza di rumori quella sera in ospedale, come se il dolore avesse ceduto alla paura... quando bussarono alla porta la paura fu così grande che non somigliava nemmeno alla paura. Era una vertigine, una stretta al petto, un vuoto che schiacciava. Era anche un odore, l’odore della fine”.
Nel romanzo si alternano grandi momenti collettivi a piccole storie quotidiane: ecco i gesti lenti e sicuri della vecchia tata di casa, Candida, che con la sua presenza assicura alla famiglia stabilità e continuità; ecco i riti del lungo trasferimento estivo nella villa del mare, con i suoi ritmi indolenti dati dal calore e dalla tranquillità del luogo; ecco ancora la musica, che fa da leitmotiv in tutto il racconto e che accompagna i gesti dei protagonisti: bellissimo il brano in cui viene descritto l’unico concerto in cui i due ragazzi, Regina e Davide, si esibiscono per la sola signora Esther, “una figura minuta vestita di un velluto nero che fioriva di petali e di foglie”. Davide non può esibirsi in pubblico, le leggi razziali lo impediscono, e Regina, vestita di taffettà color glicine, accetta di accompagnare al piano il virtuoso violinista…
”Quella che scivolava sotto le loro dita era disperazione ma non la riconobbero, anzi la scambiarono per felicità”.
Andando verso le pagine finali ci saranno sorprese che non svelerò, in questo romanzo in cui la voce della narratrice ci racconta di una donna moderna, libera, capace di diverse relazioni con uomini diversi ma sostanzialmente legata all’incontro della giovinezza nel tempo in cui, per colpa degli eventi orribili a cui la città e soprattutto la comunità ebraica fu sottoposta, la sua felicità fu spezzata e la sua vita di donna fu negativamente condizionata.
La letteratura nella sua forma più raffinata e la musica, che permea molte pagine del romanzo, ci consegnano un testo ricco di emozioni, di sollecitazioni culturali, di rimandi ad atmosfere che sembrano di un altro tempo ma che ci appaiono prossime.
Il tema della memoria, così legato alla letteratura europea primo-novecentesca, si respira nei ricordi di tempi passati, forse più felici, magari solo più eleganti e rimpianti:
“Case basse dagli intonaci che avevano il colore dei confetti, ciuffi di verde e di fiori che si intravedevano dietro i cancelli di ferro battuto. E i caffè con le poltrone di vimini e le tende che riparavano dal sole, le panchine di legno lucido, le biciclette con il cestino di vimini davanti, il colore color del cotto che non evocava minacce ma sembrava solo una torre per guardare il mare. Lo amava, Regina, quel paese, anche perché non era troppo cambiato”.
Le scelte lessicali, i colori evocati, color confetto, color cotto, il vimini e non la plastica, il vezzo di coralli, la giunchiglia di diamanti, ci parlano di una sensibilità capace di cogliere la peculiarità degli oggetti, la loro essenza letteraria, la loro capacità di evocare, di creare immagini in cui ritrovarsi con una sorta di familiarità, di esperienza condivisa.
“Sorvegliare che le cose fossero fatte a modo. Un’espressione che diceva tutto di lei e del suo mondo, un mondo di gesti gentili e premurosi che tenevano lontane le increspature della vita e dove l’affetto aveva il sapore di una cioccolata fumante, il profumo di un lenzuolo fresco di bucato, il suono di parole dette sempre con grazia.”
Questa è l’essenza del romanzo, un libro raffinato, dove in ogni pagina, in ogni aggettivo, in ogni descrizione di ambiente o di carattere si coglie la personalità della scrittrice che ha molto letto, molto riflettuto, molto amato i suoi personaggi, racchiusi in una cornice solida, che riesce a dominare con agilità e con leggerezza, ma anche con il cuore rivolto a una modalità di rapporti non solo familiari, a un paesaggio interiore forse del tutto scomparso.
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