Per la gloria di Roma
- Autore: Douglas Jackson
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2021
Quota otto per Douglas Jackson, con i romanzi della saga di Gaio Valerio Verre, che in lingua inglese sono già nove. Per la gloria di Roma è l’ultimo arrivato in Italia (estate 2021, 431 pagine, trad. B. Messineo e C. Mele), nella spaziosa scuderia Newton Compton, come tutti i titoli precedenti della serie, da L’eroe di Roma (2010) al penultimo, Per la salvezza di Roma (2020).
Il nuovo romanzo ritorna in Britannia, dove si era sviluppato il primo, che vedeva un Valerio Verre ancora giovane tribuno, al comando della I coorte della XX Legione. Riporta l’adesso senatore e dignitario imperiale tra le popolazioni bellicose sempre più inferocite contro gli occupanti romani e chi collabora con loro. Si ricordi però che Roma perde qualche battaglia ma vince le guerre. Le tribù agguerritissime e molto numerose che contrastano l’espansione romana nell’isola, sono incapaci di replicare la perfetta organizzazione delle legioni sui campi di battaglia, dove le armi più adatte al corpo a corpo e la compattezza delle formazioni hanno la meglio sul coraggio aggressivo delle masse celtiche.
Lo scrittore scozzese, ex giornalista appassionato di storia romana antica, maneggia l’arte militare e le avventure che racconta con una disinvoltura tale, che sembra descrivere eventi in svolgimento davanti ai suoi occhi. La prosa è felice e scorrevole, assecondata dall’efficace traduzione in inglese di Carlotta Mele e Beatrice Messineo.
Si prendano le primissime pagine di questo nuovo romanzo e la descrizione di un atroce sacrificio umano alle divinità tribali. Jackson la fa scivolare via, senza insistere su particolari macabri, ma anche senza tradire la drammaticità di quanto viene messo in atto e la violenza esercitata su quattro simpatizzanti dei romani, resi vittime sacrificali dai druidi di Mona.
È il 78 dopo Cristo. Il re degli Ordovici assiste alla scena cruenta ben sapendo che quel mostro di Gwlym, capo dei religiosi tanto rispettati dai Britanni, ha scelto la sua tribù per l’ennesima rivolta contro Roma. Uomo possente e condottiero coraggioso, il celta Owair non è uno stolto. È consapevole del modo superiore dei romani di condurre le campagne militari, anche contro un nemico molte volte superiore numericamente rispetto alle legioni disponibili in Britannia. Non di rado, ha raffreddato l’ardore dei suoi giovani guerrieri, impedendo di tendere agguati alle pattuglie romane. Le azioni avrebbero garantito facili successi, provocando però l’inevitabile vendetta, con altre perdite e dolori per la sua gente.
Gwlym disprezza la cautela del re e gli intima di agire contro una fortezza romana, perché quello è il volere degli dei, espresso attraverso l’interpretazione del sacrificio offerto. Owair non ha scelta o la prossima volta il coltello dei druidi sarò rivolto contro di lui. La ribelione è imminente.
A migliaia di chilometri di distanza, nella villa laziale dei Verre a Fidene, Valerio riposa dalle fatiche militari. Padrone e pater familias, l’ancora giovane uomo che ha perso la mano destra proprio in Britannia — sostituita da una protesi in legno di noce — guarda con amore la bellissima moglie orientale, Tabhita e il figlio in tenerissima età, ma già con le stigmate del piccolo condottiero. Gode della stima dell’imperatore Vespasiano e dell’amicizia dell’erede, il figlio maggiore Tito, ma è costantemente sotto la minaccia del minore dei Flavii, Domiziano, che vuole la sua morte per avergli conteso la bella figlia del generale Corbulone, ora comunque sua sposa. Ambizioso e crudele, aspira al trono imperiale sebbene secondogenito.
Verre è convocato a Roma. È Tito Flavio che ha bisogno delle sue qualità diplomatiche per negoziare l’insediamento pacifico di Roma in un’altra provincia britanna, un territorio abitato da tribù non apertamente ostili, i Dobumni e gli Atrebati, della Federazione coritana. Deve trovare le terre per rifornire tremila legionari veterani. Nella qualità di legatus iuridicus sarà protetto da una scorta, mentre stringerà accordi con la gente del luogo su pascoli e fonti d’acqua. Il generale Giulio Agricola porterà invece più a nord la minaccia del ferro del fuoco di Roma, per pacificare tribù più combattive.
In tutto questo, Owair assale il forte di Canovium e la sorte che il crudele Gwlym riserva agli ausiliari tungri del presidio e alla popolazione terrorizza le truppe romane che sopraggiungono sul luogo del massacro.
Verre prende contatto con i trentadue cavalieri che gli hanno assegnato. Escluso l’efficiente decurione Cornelio Felice — in disgrazia per aver fornicato con la figlia del suo legato — la scorta è il peggio di ogni reparto. Hanno fornito un componente a testa, liberandosi dei peggiori: i sovversivi, gli incapaci, i deboli, i vili. Si impegna a addestrarli e motivarli, il tempo è poco ma se accoppia migliori e peggiori forse qualcosa si può tirare fuori da quella marmaglia raccogliticcia.
Valerio attira la stima di tutti tranne uno dei legionari. Gli propongono di eliminarlo, visto il malanimo, ma nega il consenso. Eppure, ha il sospetto che dovrà pentirsi della sua generosità, nel corso della nuova e a tratti disperata avventura in Britannia.
Nel viaggio, si aggiunge l’isolana Ceris, che conosce le qualità curative delle erbe e conquista gli uomini del gruppo: la considerano una portafortuna. Potrà essere preziosa per Tabhita, che nel suo stato interessante ha voluto seguire il marito, insieme al figlio.
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