Philip Roth. La biografia
- Autore: Blake Bailey
- Genere: Storie vere
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2022
Finalmente la tanto attesa, gigantesca biografia che Blake Bailey ha dedicato al grandissimo Philip Roth è stata tradotta in italiano da Norman Gobetti per Einaudi.
Minuziosa, dettagliatissima, lavorata in un decennio, Philip Roth. La biografia nulla tralascia a partire dalle origini familiari, parenti compresi e relativa comunità ebraica di appartenenza dello scrittore (così come quasi nulla sarebbe restato fuori, traslato a dovere nella finzione letteraria, nel suo magistrale corpus romanzesco).
Mettici tutto, anche le cose brutte.
aveva detto Roth a Bailey.
Chissà se saranno contente le truppe di chiosatori fanatici di ambo i sessi che scorrazzano nell’oscura temperie odierna a caccia di maschilisti, misogini, fallocrati.
Le vicende erotico-sentimentali di Philip Roth sono notoriamente numerose e, direbbe il morigerato moralista d’aujourd’hui, controverse. Dunque un Roth messo a nudo, ma chi lo conosce sulla pagina sa che in un certo senso l’operazione l’aveva già fatta meravigliosamente da sé.
Il poco perbene, sarcastico Philip Roth, inviso forse per questo anche agli attempati giurati del Nobel, è stato preso di mira da alcune sue ex, dalle truppe di cui sopra e da chiunque si sentisse (in dovere più che in diritto) di farlo. Gli disse così un giorno Zadie Smith:
Phil, scusa se mi permetto, ma devi uscire dalla gabbia del patriarcato. Una scrittrice è una scrittrice, non un corpo da sessualizzare!
Lo stesso libro che abbiamo fra le mani arriva con un certo ritardo perché l’autore subì un ostracismo persino peggiore per le accuse di aver avuto rapporti sessuali con minori, tanto che il suo editore W. W. Norton & Co. mandò al macero migliaia di copie già stampate. Per chiuderla con le pruderie, è bene si sappia che Blake Bailey aveva già firmato due biografie fondamentali, su John Cheever e Richard Yates.
Torniamo a questa. Un’opera, come usa dire oggi, assai empatica col suo soggetto: non può gareggiare con la superiore verve dello scrittore di Newark, ma restituisce tutto il sapido, caustico e anche doloroso sense of humor di una vita che, si capisce presto, Philip era bravo a complicarsi da sé.
Dopo le pagine dedicate all’infanzia, alla prima adolescenza dunque a uno sfondo familiare intrappolato fra la polvere del Talmud e le fisime di una comunità ebraica che cerca di trovare il suo dignitoso posto nel mondo, il giovane Roth – spiritoso, caustico, ma anche amabile - che pure a quel mondo tornerà di continuo nei suoi libri, comincia a sganciarsene (e sentirsi un po’ più a suo agio) negli anni universitari.
lscritto alla facoltà di Legge perché ovviamente il mestiere dello scrittore è il più improbabile di tutti (chi non condividerebbe l’opinione del padre?), eccitato comunque dalla sensazione di essersi liberato “dalla xenofobia ebraica”, palesa presto una determinazione non comune: i suoi interessi letterari e i primi tentativi di scrittura oscillano fra Salinger (fresco di fama per Il giovane Holden) e Truman Capote, ma è con i due numi tutelari della letteratura ebraico-americana, Malamud e Bellow, che Roth intravede un orizzonte più plausibile per la sua scrittura. Senza peraltro eccessiva angoscia dell’influenza sono gli unici due, dice a un certo punto, oltre a se stesso, “che stanno scrivendo qualcosa che è degno di essere letto”.
L’esordio è fragoroso: a ventisei anni riesce a pubblicare GoodBye Columbus (1959) e vince il National Book Award. In quegli anni, Roth alterna insegnamento, scrittura e avventure latu sensu romantiche – la cifra polemica, appassionata, sarcastica è già tutta evidente, persino rivendicata. Con un puntiglio tutto suo mise a dura prova la pazienza delle comunità ebraiche americane che in alcuni casi lo avrebbero mandato al rogo per l’analisi spietata che ne fece a partire da un paio di racconti che accompagnavano il breve romanzo. E quando, dieci anni dopo, avrebbe sganciato la bomba irriverente del Lamento di Portnoy, con quell’inno alla masturbazione e il suo clamoroso successo, una larga parte di americani filistei si aggiunse alle invettive di tanti ebrei offesi a morte.
Di molti dei trentuno romanzi di Roth, Bailey mostra l’officina, le scaturigini intellettuali o emotive, il rapporto dialettico, conflittuale con parti di mondo che sempre provocava le mosse dell’autore all’opera. Una sorta di dissidio permanente, di dissonanza – era quello forse lo stimolo che metteva in moto la sua macchina creativa, con un po’ più di leggerezza durante i lunghi soggiorni europei.
Roth avrebbe sempre continuato a ridefinire i propri valori in opposizione a quelli che il mondo intendeva imporgli
scrive Bailey.
Del resto, burrasche e ironie segnavano spesso anche gli amori di Roth (è uno dei temi ricorrenti del libro perché, come ognuno sa, una delle ossessioni di Roth – a un certo punto si sarebbe definito un “umorista poliamoroso”).
Tuttavia, le pagine dedicate agli amori più intensi, o duraturi, o semplicemente difficili consentono di scoprire un uomo che non si tira indietro rispetto alle sue responsabilità, per non dire alla pietas: come altrimenti definire il doloroso prolungamento dell’assurdo matrimonio con Maggie Martinson Wiliams – l’assai instabile donna che fingeva gravidanze e minacciava suicidi per non farsi mollare da lui (“Non ti lascio qui da solo, altrimenti ti scopi tutta Londra!”: il loro matrimonio era quotidianamente scandito da frasi del genere).
Non andò meglio con l’attrice Claire Bloom, con la quale, a divorzio concluso, si scambiarono ritratti al vetriolo, la prima chiamandolo per nome e cognome in un libro che era un vendicativo j’accuse sul maschilista e tirannico ex marito, il secondo facendola adeguatamente a pezzi col viatico di vari personaggi romanzeschi specie la Eve Frame di Ho sposato un comunista.
In realtà, anche in un’opera ferocemente comica, falstaffiana come Il teatro di Sabbath la visione di Roth è tragica: “Tutto quel che ami scompare”.
Ora, nessuno come gli appassionati lettori di Roth sa che una cosa è l’arte e un’altra la biografia, tuttavia questo volumone è imperdibile – et pour cause: difficilmente vita e finzione si sono così magistralmente intrecciate come nell’opera di uno dei più grandi scrittori degli ultimi cinquant’anni.
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