Piccole cose. Quarantadue haiku e nove tanka
- Autore: Piergiovanni Bernardon
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Graphe.it edizioni
- Anno di pubblicazione: 2023
Le poesie dell’haiku è già un errore, perché in essa ripeti due concetti quasi uguali. Per i giapponesi la poesia libera, senza seguire nessun schema metrico, è l’haiku di sole tre righe.
Le piccole cose, che danno il titolo alla raccolta edita da Graphe.it edizioni, sono per Piergiovanni Bernardon tratte da un haiku di una poetessa giapponese, Sei Shonagon, che recita:
In verità/ tutte le cose piccole sono belle.
Da non confondere le “piccole cose” con le “cose buone di pessimo gusto” nella poesia di Guido Gozzano. Per il poeta Gozzano sono le “buone cose” anche piccole di pessimo gusto, sono la paccottiglia, i souvenir turistici, le bomboniere, gli oggetti venduti nelle bancarelle. Che poi questo kitsch imperante piace anche al turista giapponese che ne fa incetta, ma non ha nulla da spartire con gli haiku.
Nei primi haiku di Bernardon c’è l’immergersi nella natura partendo dall’acqua:
La pelle brilla / di serpente d’acqua nel / lontano verde o anche Corrente scende / schiuma contro le pietre / bianca le bacia.
L’autore italiano accetta di “farsi acqua” o altri elementi naturali, perché ha deciso di non dire troppo di sé stesso, come accade di consueto nelle poesie occidentali.
Il rischio è che gli haiku con la loro forza descrittiva neutrale, come in questo caso, spersonalizzino l’essere umano che in una sorta di panteismo diventa acqua egli stesso.
Oppure vento, in cui il poeta si perde, osserva soltanto se è maestrale o scirocco:
Voce di vento / suono di raggi d’argento / corro veloce.
E senza nemmeno la prima persona singolare:
Profumo di mare / fragranza di ibisco blu / voli di gabbiani.
In realtà Bernardon rischia di mettere gli haiku in primissimo piano, mettendosi da parte, in modo voluto. Nella sua ricerca di nuove poesie, che in verità in Giappone hanno una tradizione antichissima, Piergiovanni Bernardon corre il rischio di essere ricordato male o di non essere ricordato affatto.
In un’Italia distratta, pronta da quasi sette mesi alle ferie, alle vacanze, o al weekend al mare, per poi ritornare, perché i figli hanno trovato dopo questi anni difficili un lavoretto o devono affrontare gli orali della maturità, c’è la consapevolezza del poeta che i suoi haiku si possano trovare in giro, in una pagina di cultura locale, in pezzi di colore. Gli haiku non fanno paura, sono solo tre righe, tanto da immolarsi all’altare della dimenticanza, diventato “piccola cosa” lui stesso, ma senza lagnarsi, senza innescare sensi di colpa ai lettori forti, che hanno dovuto scegliere, in un continuo scroscio di libri novità, soprattutto di portare al mare o in vacanza, in casa, letteratura di genere, gialli e noir, poco altro.
In ogni caso bisogna parlare e scrivere di poesia, perché sennò rischiamo di leggere, sebbene con trame diverse e autori diversi, sempre le stesse cose, i commissari e gli spacciatori e gli assassini, tipo incubo notturno, in realtà, reale come è reale un pezzo di carta con la lista della spesa. Una “piccola cosa”, né bella, né brutta, anonima come le nostre vite tanto che, forse, scriverlo non costa nulla.
Fantasie nivee / dipingono l’aria / nessun gabbiano.
Nella luce c’è qualcosa di mistico per chi scrive, anzi di profondamente religioso, Giovanni, 9.5, “Dio è la Luce del mondo” e anche qualche dubbio sulla vera religiosità del poeta, ma se non sparigliamo le carte, non andremo mai da nessuna parte. La recensione deve avere qualcosa di arbitrario, se no non è niente e non serve a nulla.
D’altra parte si trovava qualcosa di religioso anche nelle poesie di Sandro Penna che erano profondamente fisiche, "creaturali" ; senza girarci intorno, ora, le poesie di Penna, forse le più belle dell’intero Novecento italiano, ora non troverebbero un editore, a meno che un editor non tolga tutto quello che è politicamente scorretto. Rimarrebbero dei moncherini osceni senza più oscenità, gusci vuoti.
Ma tornando a a Piergiovanni Bernardon ci sono l’haiku per Il risveglio primaverile, dopo l’inverno. Le sue migliori, a mio gusto personale:
Sole ancora / alto brucia l’inverno / arde la Terra. Oppure: È finito il / lungo inverno bianco / farfalle vere.
Ci trovo anche qualcosa di struggente, dove sono i lunghi inverni bianchi?
Chi scrive si ricorda quando andava alle elementari a Milano alla fine degli anni Settanta e l’inverno era bianco, nebbioso grigio per la verità e si ricorda la torcia che mia madre mi faceva trovare sempre nella cartella, con la batteria di riserva in un angolo, perché era buio e la mattina faceva freddissimo.
Spesso alcuni haiku del poeta finiscono con l’espressione “corro veloce”, quasi che laddove non lo facesse si perderebbe il panorama o un particolare nella sua interezza.
Canto di grilli / nel nero blu lunare / corro veloce.
I nove tanka sono pochissimi, sono poesie di cinque righe rispetto alle tre dell’haiku, ma sono solo nove per bruciarli in uno scritto di tal guisa.
È quasi superfluo dire che questi haiku sono di sontuosa bellezza anche nel loro essere cristallini, impersonali. Uso il termine “impersonali” perché ci dicono pochissimo di chi li ha scritti, come già è stato detto qualche riga fa, ma la biografia e le idee sul mondo politico, esistenziale del poeta saranno poi così importanti?
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