Circo Massimo
- Autore: Santiago Posteguillo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2017
Le gesta di Traiano continuano, annuncia uno “strillo” sulla copertina del più recente romanzo di Santiago Posteguillo, pubblicato da Piemme. “Circo Massimo” (pp. 622, euro 22,00), è la prima parte del seguito de “L’Ispanico” (Piemme, 2013) e a breve si prevede l’uscita della seconda, “L’ira di Traiano”.
Marco Ulpio Traiano è un generale di origini iberiche molto amato dalle truppe e rispettato dal Senato: la statura del personaggio è chiara, quanto la passione che lo scrittore valenciano nutre nei confronti dell’antico conterraneo, visto il tono sincero del ringraziamento che Santiago Posteguillo rivolge a Traiano in questo secondo volume della saga, per essere sopravvissuto al peggiore dei tiranni, avere cambiato il mondo e averci regalato una storia ancora tanto valida.
Il tiranno, si fa presto a capirlo, è Domiziano, l’autocrate crudele, dispotico e paranoico che ha retto per quindici pesanti anni l’impero di Roma, fino all’hora sexta del 18 settembre, quando ha incontrato la lama fredda impugnata dalla moglie Domicia Longina. Le pareti della Domus Flavia sono maledette, ammette l’ex imperatrice. La residenza imperiale è un covo di infedeltà, complotti e corruzione, non a caso Traiano si è impegnato a fondo contro il malaffare che dilaga tra i patrizi, comminando esili e confische dei beni perché ha preferito cacciare i rei piuttosto che giustiziarli, così da non scatenare brame di vendetta, ma questo non vuol dire che il pur equilibrato augusto non soffra inimicizie nel patriziato.
Ha pure emanato norme severe contro le denunce anonime senza fondamento, senza però riuscire a debellare delazioni, come quelle che stanno esponendo una vestale diciottenne, figlia del buon senatore Menenio, all’accusa non provata di aver commesso un crimine imperdonabile, in complicità con un amico d’infanzia, tra i più noti aurighi del circo.
Quelle voci maligne rischiano di condurre la ragazza a una punizione tremenda. Nel 101 d.C. ancora si uccidono ritualmente le vestali non più vergini. Durante il quindicennio fatale di Domiziano ben quattro sacerdotesse di Vesta erano state sepolte vive in base a “si dice” e nessuna era colpevole.
Menenio supplica il senatore Plinio il Giovane di assumere la difesa della figlia dalle accuse ingiustificate. Il principe del foro accetta, ma non può fare a meno di sospettare che l’anziano gli abbia nascosto qualcosa sul conto della giovane.
Certo, l’imperatore potrebbe tacitare i sospetti, intervenendo quale Pontefice Massimo, è però distratto da un grande progetto bellico. Ha convocato un importante architetto per commissionargli una grande impresa tecnica: costruire un ponte sul Danubio, per andare a regolare i conti con i Daci e imitare così Cesare, che più o meno un secolo prima aveva fatto edificare un’impressionante opera sul Reno, demolita dopo l’attraversamento. Apollodoro di Damasco è il tecnico più invidiato a Roma, ha progettato l’ampliamento dell’Anfiteatro Flavio: il Colosseo.
Dall’altra parte del fiume, Decebalo, il re dei Daci plurivittorioso contro Roma, regna senza moglie e discendenti, accontentandosi di schiave e concubine. Questo attira sulla bellissima sorella le mire di tutti i nobili, che aspirano alle nozze per assicurarsi la successione. A differenza di tutti, Dochia non vede di buon occhio le ostilità con Roma. Pur passeggiando davanti alle aquile strappate a due legioni sconfitte, è consapevole che l’estenuante contesa con in palio la Mesia e la Pannonia non potrà che terminare col successo dei Romani. Sono più numerosi e possono contare su risorse e riserve umane: col tempo avrebbero comunque la meglio. Non potrebbe avere un esito diverso dalla sconfitta la guerra di attrito che quegli spocchiosi e irresponsabili esponenti dell’aristocrazia dacica dimostrano invece di non temere affatto. Incoscienti.
Apollodoro perlustra le gole della Mesia superiore, attraversate dal grande fiume, senza trovare un punto adatto al gettamento di un ponte. Sponde troppo alte. Acque troppo profonde.
In Dacia, le provocazioni restano incessanti. I sarmati, nati per condurre scorrerie, liquidano senza pietà i reparti romani isolati. Si scontrano modi opposti di combattere un conflitto. Roma segue una strategia complessa, che punta a un obiettivo finale e mette in atto una serie di mosse coordinate. I Daci amano le vittorie parziali, attacchi continui che rendono impudenti e non favoriscono una visione generale.
Quanto alle accuse false alla vestale, Plinio si è reso conto che quello di cui il suo intuito professionale lo aveva avvertito è sotto i suoi occhi. Il senatore e la moglie sono mori, come la ragazza, ma i due non hanno lineamenti fini, mentre la giovane è di rara bellezza, il volto delicato, espressivo. Quella non è figlia di chi si dichiara suo genitore.
Esterna i sospetti all’imperatore in un’udienza riservata, ma la riposta di questi lo gela. Traiano non sembra sorpreso o incuriosito, si limita a rassicurare laconicamente l’avvocato, non scioglie i dubbi dell’uomo. Gli ricorda che nella qualità di Pontifex maximus farà parte del collegio giudicante, ma niente di quanto ha ascoltato sarà usato in danno della difesa. Niente di meno, niente di più. Misteri legali si addensano, oltre alle nubi di una guerra inevitabile.
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