Pirandello e la Sicilia
- Autore: Leonardo Sciascia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Adelphi
Il volumetto di Leonardo Sciascia Pirandello e la Sicilia (Salvatore Sciascia, Caltanissetta, 1961), che contiene saggi per la maggior parte scritti negli anni Cinquanta, è stato ristampato nel 1966 nella collana “Piccola biblioteca” della casa editrice Adelphi. In quarta di copertina si legge la seguente nota:
“‘Una notizia della Sicilia attraverso particolari letture ed esperienze’: così Sciascia definiva, dandola alle stampe nel 1961, questa raccolta di scritti, aperta dal grande saggio pirandelliano che dà il titolo al volume – e che rimane forse la guida migliore per avvicinarsi a un’opera tanto popolare quanto equivocata."
Il termine “notizia”, continua la quarta, era qui impiegato da Sciascia come potevano fare eruditi o esploratori settecenteschi nelle opere in cui esponevano “le proprie intuizioni e scoperte”.
"Così, l’acutissima analisi della figura di Pirandello si trasforma subito in ‘viaggio’ lungo il difficile tragitto, colto nei suoi momenti cruciali, che porta una cultura arcaica a incontrare la modernità [...]. A scorrere, con questi, gli altri temi presenti nella silloge – la mafia, ancora, interna e da esportazione, e una riflessione amarissima sui fatti di Bronte –, si ha spesso l’impressione di assistere al comporsi del mosaico di un pensiero variegato e a tratti febbrile, sempre coerente, sempre puntuale nel riferimento alla realtà”.
Rispetto alla prima edizione, l’Appendice Adelphi contiene contiene lo scritto Nel cinquantenario della morte di Luigi Pirandello, discorso commemorativo pronunciato da Sciascia il 10 dicembre 1986 a Palermo, nonché un indice dei nomi. Sciascia, prendendo le mosse dallo studio di Américo Castro La realidad histórica de España (ed. italiana La Spagna nella sua realtà storica, Sansoni, Firenze, 1956), parla di un modo di essere siciliano vicino a quello spagnolo ed estende il discorso fino ai Fasci Siciliani dei lavoratori, con accenni alle precedenti rivolte popolari.
Ampia l’introduzione in cui egli si sofferma sulle “costruzioni originali” di Verga, Capuana, De Roberto, Pirandello. Il carattere essenziale della vita riconosciuta come "siciliana" è individuato in
"una forma esasperata di individualismo in cui agiscono, in duplice e inverso movimento, le componenti della esaltazione virile e della dispotica disgregazione".
Centrale è l’amor proprio, snocciolato con dovizia di particolari nei sentimenti dell’onore e della rispettabilità, dell’invidia e dell’accettazione dell’illecito sessuale. È in Verga che prende corpo il ritmo dell’accumulazione:
“La roba come proiezione e integrazione della personalità, dell’individuo. Solo incidentalmente la roba è reddito e strumento: effettualmente non è cosa da usare, ma cosa da lasciare. È legata in eguale misura al sentimento della famiglia, e al sentimento della morte. Col crescere della ricchezza: cresce ciò che della vita lasceremo, cresce la nostra morte. Il ritmo dell’accumulazione è un ritmo di morte. Così è in Mastro-don Gesualdo, il quale, dice Lawrence, "non altro ottiene dalla ricchezza che un grande tumore di sofferenza, un amaro tumore che lo uccide", personaggio che fa il suo gruzzolo e sotto il gruzzolo soccombe. Il gruzzolo sarebbe un po’ come l’oggettivazione della morte”.
Intrecci, raffronti, tracce di approfondimento, interpretazioni e deduzioni fanno sentire il gusto della scoperta intellettuale in una prosa essenziale e colta, rigorosamente critica nelle verifiche testuali. Ci si potrebbe riferire al brano in cui Capuana afferma le origini etnocentriche del verismo oppure all’indifferenza mostrata dal principe di Salina nel colloquio con Chevalley. Sciascia riparla del Gattopardo, elogiandone le qualità:
“Del resto il libro si svolge, con letteratissima abilità ed una certa ironia, su due piani: quello dell’autobiografia, dell’autoritratto, della proustiana memoria; e quello della ricostruzione oggettiva, però condizionata da araldiche suggestioni. Il risultato è affascinante. E un gran bel giuoco e, sia detto senza ombra di ironia, il principe di Lampedusa l’ha fatto saggiamente durar poco: tanto da lasciare un solo libro. Un libro che ci affascina, che ci diverte, che ci fa riflettere (…). Il fatto è che Il Gattopardo è un libro scritto da un gran signore. Un gran signore "non è altro che qualcheduno che elimina le manifestazioni sempre sgradevoli di tanta parte della condizione umana e che esercita una specie di profittevole altruismo": illuminante definizione che il Tornasi mette nei pensieri di Calogero Sedàra, che gran signore non è”.
Pirandello è Girgenti e Girgenti, la “Spoon River mediterranea”, è “l’elemento catalizzatore della fantasia pirandelliana”: il noto drammaturgo, poeta e scrittore non ha mai potuto fare a meno di raccontarla, mutuando i dati di una vicenda identificabile nelle cronache della sua città. Del romanzo I vecchi e i giovani dice che va guardato come l’opera più autobiografica, citando in merito la biografia scritta da Nardelli: "uomo molto vicino a Pirandello e che ne raccolse indicazioni e confidenze".
Attraggono le pagine in cui la vita dell’agrigentino si intreccia con i brani di molte sue opere; fra esse quelle riferite al dramma della follia della moglie Antonietta Portulano. Viene preso in esame il rapporto di Pirandello con il critico Tilgher e con il fascismo per poi incontrare Cervantes e anche i fatti inquietanti della Sicilia pre-unitaria all’indomani dello sbarco di Garibaldi a Marsala.
Singolare il saggio sul catanese Domenico Tempio, la cui rappresentazione crudamente realistica del sesso è rivelatrice della “psicologia erotica dell’uomo siciliano”. Sostanziale la differenza con l’elegante e raffinata poesia del Meli:
"Contemporaneo del Meli, Domenico Tempio (nato a Catania nel 1750) rappresenta, appunto rispetto al Meli, il rovescio o, più esattamente, la controparte dell’erotismo arcadico, del barocco estremo grondante di amorini e di putti in cui si configura la poesia del palermitano".
Gli esiti sono opposti:
“Al Meli che musicalmente risolve le sue ossessioni, musica lieve di immagini con appena qualche venatura di arguta saggezza, risponde da Catania il "basso" delle grevi rappresentazioni fisiologiche; il furore, per così dire, anatomico; l’emblematica di "argomenti" e "serviziali" che è nei versi del Tempio”.
Se il Meli sublima le pulsioni erotiche nella musicalità di lievi immagini, il Tempio privilegia una terragna fisiologia: quella della dimensione corporea ai limiti della volgarità, che non può mai giungere a effetti comici, non avendo il Tempio il gusto di una commedia di raggiri, di equivoci, di stupidità e astuzia:
“E ci limitiamo a questo, per non indugiare su una materia a dir poco scabrosa. Tanto più che quel che qui ci importa è mettere Domenico Tempio di fronte a Giovanni Meli: a segnare le due componenti della psicologia erotica dell’uomo siciliano, quella della "cristallizzazione" arcadica, del vagheggiamento patologicamente sfumato, e quella della furente disgregazione in cui la "cristallizzazione" si rovescia al tócco della realtà. Un ritmo che Brancati ha esemplato, sforzandolo fino alla conseguenza estrema dell’impotenza fisiologica, nel caso del Bell’Antonio”.
Libro talmente vivo questo che dilata culturalmente anche i fatti più minuti: vi si ritrova la parte migliore che, ha scritto Onofri, "si presta a delineare il terreno ideologico sul quale le “Parrocchie” sono nate".
Pirandello e la Sicilia
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