Per comprendere la vita e le opere di Luigi Pirandello è opportuno soffermarci, innanzi tutto, su una apparentemente semplice frase, che l’autore ha incastonato in quella che è forse la sua opera più celebre, “Il fu Mattia Pascal”:
“La vita o si vive o si scrive”
Che significa? Una prima spiegazione la troviamo nelle parole immediatamente successive: “io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola”. La vita e le opere di Luigi Pirandello vanno considerate, dunque come due universi complementari: l’uno (le opere) illustra l’altro (la vita) e ne fa emergere quegli aspetti e quelle convizioni che, celati nell’esistenza, altrimenti sarebbero rimasti irrimediabilmente tali anche per i posteri.
Ma andiamo con ordine. La vita di Luigi Pirandello fu ordinaria, regolata, borghese. Seppur contraddistinta da vicende esistenziali che lo segnarono a fondo, soprattutto da giovane, lo scrittore raggiunse tardi il successo e il riconoscimento che meritava per una produzione che, muovendosi tra letteratura e teatro, la critica ha unanimemente ritenuto rivoluzionaria.
Nelle opere di Luigi Pirandello si esprime quella che, insieme a Italo Svevo e a Gabriele D’Annunzio, è stata la coscienza più lucida del decadentismo italiano: in esse prende forma un’azione di rinnovamento e, soprattutto, di scardinamento delle tecniche letterarie precedentemente esistenti, scardinamento che ritroviamo anche sul piano ideologico e poetico dove l’autore sferra un attacco netto ai valori, alle convenzioni, alle istituzioni coeve, attraverso una corrosiva azione demistificatoria che si concretizza in una costante ricerca delle coordinate fondamentali della realtà, dietro le apparenze in cui viviamo.
Non è possibile emettere giudizi netti per spiegare questa contraddizione; è, però, possibile ipotizzare che un’opera rivoluzionaria si sia è realizzata attraverso una vita piatta, per la convinzione (antidecadente), a cui Luigi Pirandello rimase fino alla fine coerente, della necessaria separazione tra vita e letteratura, del necessario rifiuto della contaminazione tra arte e vita, perseguita da Gabriele D’Annunzio ma anche da molti altri altri esponenti del Decadentismo italiano ed europeo.
L’unico gesto plateale nella vita di Luigi Pirandello può essere, forse, individuato nelle disposizioni che diede per il suo funerale, anch’esse un atto, estremo, di coerenza, una trascrizione emblematica delle sue conclusioni intellettuali nichilistiche e della sua profonda convinzione della solitudine umana (tema costante nelle sue opere):
“Carro di infima classe, quello dei poveri. Nudo, avvolto in un semplice lenzuolo. E nessuno mi accompagni. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi”.
La vita di Luigi Pirandello
1867 Nacque a Girgenti (oggi Agrigento), il 28 Giugno, da una famiglia molto ricca: il padre Stefano, affittuario di alcune zolfare, era stato garibaldino, la madre, Caterina Ricci, era di famiglia antiborbonica.
1880 La famiglia Pirandello si trasferì a Palermo dove Luigi frequentò gli studi liceali, terminati i quali tornò a Girgenti per aiutare, controvoglia, il padre nella conduzione delle zolfare (una profonda ostilità, decisiva nella sua formazione, lo contrappose sempre al genitore).
1887 Si iscrisse alla facoltà di Lettere prima presso l’università di Palermo, poi presso quella di Roma.
1889 Per un contrasto insorto con un docente di latino, per consiglio del suo professore di Filologia Romanza, Ernesto Monaci che lo presentò al filologo tedesco Wendelin Föster, si trasferì all’università di Bonn, in Germania, dove si laureò in Glottologia nel 1891.
1892 Rientrato in Italia si stabilì a Roma grazie a un assegno mensile del padre. Entrato in stretto rapporto con Luigi Capuana, fu da lui introdotto negli ambienti letterari e giornalistici.
1894 Sposò a Girgenti la ricca Maria Antonietta Portulano: il matrimonio fu combinato dalle rispettive famiglie senza che i due si conoscessero.
1897 Ottenne un incarico di insegnante di lingua italiana presso l’istituto superiore di Magistero di Roma.
1902 Prime pubblicazioni a stampa delle sue opere: oltre a due romanzi anche alcuni volumi di novelle e alcuni atti unici.
1903 La sua vita fu sconvolta da un disastroso rovescio finanziario familiare: a seguito dell’allargamento di una miniera, in cui aveva investito tutte le sue sostanze e anche la dote della nuora, suo padre fallì. Sua moglie, già sofferente di ricorrenti stati depressivi, fu colpita da una crisi nervosa che si manifestava con un ingiustificata, patologica gelosia. Pirandello, venuto meno il sostegno economico della famiglia, fu costretto a cercarsi nuove fonti di guadagno dando lezioni private, traducendo testi tedeschi e intensificando a fini di lucro la propria produzione letteraria.
1905-1915 È un decennio caratterizzato da frenesia creativa: compose numerosissime novelle, pubblicate sul Corriere della Sera, e romanzi come “I vecchi e i giovani”, “Suo marito” e “Si gira...”.
1908 Anche a seguito della pubblicazione dei due volumi di saggi “Arte e Scienza” e “L’Umorismo”, venne nominato professore ordinario di Lingua Italiana al Magistero di Roma dove già insegnava come assistente dal 1897.
1915 La I Guerra Mondiale fu accolta da Pirandello come ideale compimento del Risorgimento Italiano ma anche come fonte di angosce personali (il figlio Stefano fu prigioniero degli Austriaci). Il 1915 fu, però, un anno decisivo anche per la sua attività di drammaturgo: la compagnia teatrale di Marco Praga mise in scena al Manzoni di Milano “Se non così”, una sua commedia in tre atti. Il buon successo convinse Pirandello a dedicarsi con costanza al teatro, per il quale scrive, negli anni successivi, molti drammi e atti unici.
1919 La moglie è internata in una casa di cura per malattie nervose.
1920 scrisse “Come prima, meglio di prima” che ottenne grande riscontro.
1921 La “prima” romana di “Sei personaggi in cerca d’autore” fu un susseguirsi di fischi, l’opera però riportò grande successo a Milano e proiettò il suo autore sulla ribalta internazionale.
1922 La vita di Pirandello cambiò radicalmente. Per seguire all’estero le sue commedie, di cui curava personalmente la messa in scena, intraprese continui viaggi in Europa e in America. Attese alla sistemazione editoriale della sua produzione, con la raccolta dei testi teatrali sotto il titolo complessivo di “Maschere Nude”, e delle novelle sotto il titolo di “Novelle per un anno”.
1924 Si iscrisse al partito fascista (una scelta opportunistica: la sua letteratura può essere interpretata anche come una costante messa alla berlina della società fascista e del ceto medio che ne era la componente fondamentale) e ottenne da Mussolini i finanziamenti necessari per dar vita a Roma a un teatro stabile che aveva come attrice principale Marta Abba, con la quale intrecciò un legame profondo, lasciandola erede dei diritti delle sue ultime opere.
1929 fu nominato Accademico d’Italia.
1934 Fu insignito del Premio Nobel.
1936 Morì improvvisamente a Roma, il 10 dicembre, per una polmonite.
Le opere di Luigi Pirandello
L’esordio di Pirandello nel mondo della scrittura avviene, nel 1884, con La Capannetta, un bozzetto siciliano scritto su invito di Luigi Capuana. Le novelle, in cui anche questo primo lavoro può essere inserito furono opere particolarmente care a Luigi Pirandello dove si assiste a una profonda sperimentazione (indice dell’interesse per questo genere letterario) e alla sua maturazione stilistica: le prime ricalcano moduli veristici, abbandonati gradualmente per passare a uno psicologismo via più marcato, contrassegnato da un profondo umorismo e da una presenza, sempre più netta col passare degli anni, dell’inconscio, elemento, quest’ultimo, che renderà lo stile di alcuni testi dell’ultimo periodo, prossimo al surrealismo. Anche la struttura stilistica è soggetta a un’evoluzione: i personaggi si fanno via via sempre più presenti sulla “scena narrativa”, assumono caratteristiche teatrali e sono funzionali a dar conto di un microcosmo paradossale, del tutto privo di organicità e coerenza. La stessa mancanza di organicità è presente nell’ordine che le novelle seguono nei volumi nelle quali furono pubblicate: non c’è un criterio cronologico né una consequenzialità tematica proprio al fine di dar meglio conto della casualità e della caoticità di cui è intrisa la realtà.
I protagonisti delle novelle sono spesso rappresentanti di quel mondo borghese che a Pirandello appariva così pieno di contraddizioni: ordinari, talvolta mediocri, quasi sempre senza qualità, questi uomini e queste donne si rivoltano inutilmente contro convenzioni sociali e pastoie affettive da cui non riescono a liberarsi se non adbicando a quella pazzia e a quella diversità che solo in parte possono liberarli.
Impossibile dar conto dell’immensa produzione novellistica di Luigi Pirandello che, iniziata molto presto, termina il giorno della morte; tra le novelle più celebri è opportuno ricordare almeno La giara e Ciàula scopre la luna. Le novelle che Pirandello iniziò a pubblicare in tre volumi, già dal 1902, furono raccolte, sotto il titolo “Novelle per anno” degli editori Bemporad e Mondadori, e pubblicate tra il 1922 e il 1937 (le ultime postume); molte di esse costituirono il punto di partenza per la costruzione di atti unici e di altri testi teatrali.
Altro genere che Pirandello praticò fin da giovanissimo è la poesia che, però, nel corso degli anni lo interessò sempre meno: le differenti raccolte pubblicate, di cui ricordiamo almeno “Mal giocondo” (1889) e “Pasqua di Gea” (1891), furono accolte con scarso successo.
I temi cardine del pensiero e della poetica di Pirandello ricorrono frequenti anche nella produzione romanzesca, avviata sempre su stimolo di Luigi Capuana: nel 1893 scrive il suo primo romanzo, “Marta Ajala”, pubblicato nel 1901, con il titolo “L’esclusa”; del 1895 è “Il turno”, pubblicato nel 1902, dove è già evidente la netta impostazione teatrale dei dialoghi.
Il terzo romanzo, “Il fu Mattia Pascal”, pubblicato nel 1904, prima a puntate, sulla Nuova Antologia, poi in volume per la stessa rivista e, alcuni anni dopo, per l’editore Treves, ne segna la consacrazione letteraria. Al di là della trama la vera novità del testo è l’applicazione di quella poetica dell’umorismo che troverà, negli anni immediatamente successivi, una compiuta teorizzazione nel fondamentale saggio su “L’umorismo” (1908).
Degli anni successivi sono i romanzi “Suo marito” (1911), “I vecchi e i giovani” (1913) e “Si gira...” (1916), poi riveduto e ripubblicato col titolo “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” (1925). L’ultimo romanzo di Pirandello, “Uno, nessuno e centomila” (1926) ebbe una gestazione lunga e lo impegnò per molti anni, fin dal 1910. Come ebbe a dire l’autore stesso
“è il romanzo della scomposizione della personalità”
l’approdo che meglio e più compiutamente esprime gli esiti della riflessione nichilistica di Luigi Pirandello.
L’ultimo, essenziale, capitolo delle opere di Luigi Pirandello è la produzione teatrale. Atti unici e opere teatrali impegnavano l’autore già negli ultimi anni dell’Ottocento ma Pirandello riuscì a dedicarsi a questo genere teatrale solo dal 1916, ottenendo negli anni seguenti, proprio grazie al teatro una fama crescente non solo in Italia ma anche sulla scena europea.
Anche qui ci troviamo di fronte a una produzione copiosa e variegata: “Pensaci, Giacomino!” (1916), “Liolà” (1916), “Il berretto a sonagli” (1917), “Così è (se vi pare)” (1917), “Il gioco delle parti” (1918), sono solo alcuni tra i titoli più noti del teatro di Pirandello.
Anche in questo caso assistiamo a un’evoluzione simile a quella presente nelle novelle: il dramma naturalistico lascia il posto al dramma umoristico, il mondo della “roba” e dei ruoli fissi e immutabili cede il passo a personaggi che, pur inquadrati in una maschera sociale, tentano di liberarsi proprio attraverso la delegittimazione di quei ruoli e una chiara verve provocatoria nei confronti del mondo borghese. Come già nei romanzi la via di fuga privilegiata dai personaggi è la pazzia che Pirandello aveva conosciuto da vicino anche nel contesto familiare, simbolo di libertà e di individualismo assoluti.
È con “Sei personaggi in cerca di autore” (1921) che Pirandello approda a quel teatro nel teatro che segna l’ultima tappa della sua produzione drammatica: si tratta di commedie che, seppur più concettuali e più programmate delle precedenti, appaiono a prima vista più libere e autonome. Mettono in scena non la vita ma il teatro stesso: i personaggi dichiarano la morte stessa del testo e rifiutano la mediazione sia dell’autore che dei personaggi e decidono di portare sul palco un canovaccio da gestire in totale autonomia, rispetto a quanto previsto dal creatore dell’opera.
Degli anni successivi sono “Enrico IV” (1922). “Vestire gli ignudi” (1922), “L’uomo dal fiore in bocca” (1923), “Questa sera si recita a soggetto” (1930).
Vedi anche: Uno, nessuno e centomila: il pensiero di Luigi Pirandello
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Pirandello: la vita e le opere
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