Poesie di Emily Dickinson. Colloqui con le ombre
- Autore: Emily Dickinson
- Categoria: Poesia
Di Emily Dickinson (Amherst, Massachusetts, 1830-1886) già tanto è stato scritto e con molta competenza. Fascinosa e ammaliante la signora sempre vestita di bianco che si è voluta rinchiudere in casa perché l’universo ristretto nel suo entourage quotidiano e nella sua anima le bastava, in una dimensione di infinito testimoniata in versi brevi e spezzati, illuminanti e modernissimi, molto in anticipo sul genere di letteratura del suo tempo. Non ha desiderato pubblicarli, come se il mondo profano non fosse in grado di capirla. Troppo avanti rispetto agli altri?
La mia recensione dell’antologia Poesie di Emily Dickinson. Colloqui con le ombre, pubblicata nella serie "Acquarelli" di Demetra editore (1997, pp. 173), con traduzione di Alessandro Quattrone e testo originale a fronte, vuole essere un omaggio al suo genio. La voce dell’autrice è sommessa, intima ma non intimista, non chiusa in un diario sentimentale autoreferente, pacata e nello stesso tempo appassionata, spesso dolente, segnata da un dolore universale, come quello di Umberto Saba metaforizzato nel muso semita de La Capra. È il dolore, per accostamento, della natura che geme nella lettera di Paolo ai Romani (8,22), e la natura talvolta non può consolare o guarire:
“Su, insegnami il trucco / da usare nel dolore / che non allevia il medico / e che l’erba dei prati / non sa guarire.”
L’esortazione è rivolta a un “mago sapiente” di cui nulla sappiamo, se non che possiede la conoscenza. Il sapere dunque è liberatorio. C’è la ricerca di una verità, un “trucco”, che va oltre la natura. Un accenno implicito al soprannaturale… In altri momenti del dettato poetico invece la natura compie il miracolo di guarire; soprattutto l’erba che presto appassisce e muore, conduce l’artista in una dimensione consolatoria, tanto da scrivere di volerle assomigliare:
“L’erba ha così poche occupazioni - / un mondo di semplice verde / con solo farfalle su cui meditare / e api da ospitare - […] E quando muore non fa che trapassare / in odori divini - / […] per poi finire in supremi fienili / e sognare tutti i giorni. / L’erba ha così poche occupazioni / mi piacerebbe tanto essere fieno.”
L’originalità nell’effondere il sentimento lascia stupiti e cattura. Tutto è così intenso, semplice, puro e disarmante; tutto è straordinariamente profondo e nello stesso tempo chiaro, limpido; è manifesta una fede grande che non richiede dimostrazioni, intuizione del cuore:
“Io so che Lui esiste. / Da qualche parte - in silenzio - / ha nascosto la sua rara vita / ai nostri occhi volgari.”
Con lucida intelligenza la poetessa sente la lontananza che la separa dal mondo umano banale con le sue tante, troppe piccolezze, meschinità, limitazioni. Scopre e denuncia la follia della ragione:
“Molta follia è divino buonsenso / per chi sa vedere. / Molto buon senso, completa follia. / Ma è la maggioranza che prevale, / in questo come in tutto il resto. / Acconsenti? Sei sano di mente. / Obietti? Sei pericoloso, e certo / si farà bene a incatenarti subito.”
L’accostamento alla "follia" di W. Blake come porta verso la saggezza è evidente.
Sull’amore Emily Dickinson ha scritto una profusione di versi che non saprei quali scegliere. Amò due volte e sempre in modo assoluto, senza realizzare e concretizzare le unioni. Ma la cronaca non ha importanza, è soltanto il rivestimento dell’essenza. Questa è poesia essenziale, sintetica. L’amore è paradiso, eternità, immortalità. Sebbene con stilemi differenti da quelli del Romanticismo europeo ottocentesco, la poetessa, che non rispetta canoni espressivi tradizionali e forme metriche chiuse, il suo verso vola alto e libero, rientra a pieno titolo nel filone della poesia romantica, anelante al senza limite, a toccare altezze dell’Origine attraverso l’Eros:
“Sempre amerò, / e questo è il mio argomento: / l’amore è vita / e la vita ha qualcosa di immortale. / Se dubiti di questo, / allora io, amore, / nient’altro ho da mostrare, / nient’altro che il Calvario.”
La dicotomia Amore e Calvario si ricompone nella grandezza del mistero che non può essere detto, ma contiene tutto di noi. A questo segreto dobbiamo restare fedeli:
"Sii fedele, / ragazzo di Atene, / a te stesso / e al mistero: / tutto il resto è un falso giuramento.”
Riporto la sua nota poesia dedicata a un’ape e al sogno; la vita vera è là, nell’onirico che ontologicamente precede il mondo materiale. Calderón de la Barca, poeta spagnolo del diciassettesimo secolo, scrisse: "Tutti sognano ciò che sono, ma nessuno lo comprende”.
E Dickinson:
“Per fare un prato che ci vuole? Un’ape / e un trifoglio, un trifoglio e un’ape. / E un sogno. / Anzi, il sogno soltanto può bastare / se son poche le api.”
Le grandi tematiche si ripetono. Nell’arte più alta, anche in Shakespeare, il sogno ha la parte predominante. Durante la creazione artistica vengono messe in funzione le onde cerebrali alfa, riscontrate nella fase Rem del sonno. Entriamo tutti, di notte, in un reame che nello stato di veglia dimentichiamo, in altre dimensioni che il poeta sa resuscitare per noi.
Anche qui, in questa antologia preziosa, raggiungiamo il Parnaso e ci abbeveriamo alla fonte Castalia. È terapeutico, ne usciamo pacificati, forse con qualche conflitto risolto. Tutto è ricchezza e abbondanza, se la consapevolezza lo rende palese. Ne siamo consapevoli?
“Non fatemi aver sete con il vino alle labbra, / né mendicare con le ricchezze in tasca.”
Straordinaria poesia di soli due versi, in cui è raccolto tutto il desiderio del mondo e gli ostacoli che poniamo noi stessi per raggiungerlo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Poesie di Emily Dickinson. Colloqui con le ombre
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