Di Tiresia 19 - Opera propria, CC BY-SA 4.0, Collegamento
Sono passati quattordici anni dalla sua vittoria al Premio Campiello “Opera Prima” con Acciaio, ma Silvia Avallone trionfa ancora. La scrittrice laureata in filosofia, che aveva scritto il suo primo libro con la rabbia degli esordi per rivendicare il tema della crisi lavorativa (all’epoca solo agli albori), ha vinto il Premio Viareggio-Rèpaci 2024 con Cuore nero, il suo ultimo libro edito da Rizzoli.
Il Viareggio, fondato nel 1929 da Leonida Rèpaci con un preciso intento antifascista, rappresenta uno dei più prestigiosi premi letterari nazionali.
Indossando un sobrio abito nero - diverso dal lucente abito color avorio che, nel lontano 2010, suscitò lo sconveniente commento di Bruno Vespa capace di generare polemiche e l’ira di Michela Murgia - Avallone ha ritirato lo storico premio sul palcoscenico, in piazza Mazzini, dicendosi onorata:
Sono felicissima e onorata che ’Cuore nero’ abbia vinto un premio così prestigioso e storico come il Viareggio. È un romanzo a cui tengo in modo speciale, perché mi ha insegnato la forza delle relazioni umane contro ogni male. Sono grata alla giuria e a questa meravigliosa, fervida, città.
Cuore nero è l’opera più matura della scrittrice - così, almeno, titolano i principali quotidiani - ma anche Acciaio, benché scritto da Avallone giovanissima, era già un’opera matura che seppe affrontare molti temi scottanti per l’Italia dell’epoca come la visione della periferia operaia, la morte sul lavoro, un’adolescenza vissuta in un quartiere degradato dove i sogni vengono infranti e non ricomposti.
Con Cuore nero, Silvia Avallone conferma la sua capacità di scavo negli antri più oscuri e reconditi del cuore umano, con una scrittura dura e inscalfibile come l’acciaio.
Silvia Avallone vince il Premio Viareggio 2024 con “Cuore nero”
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Silvia Avallone ha vinto la 95esima edizione del Premio Viareggio per la narrativa imponendosi sugli altri due finalisti, Federica De Paolis con Da parte di madre (Feltrinelli) e Marco Lodoli con Tanto poco (Einaudi). Gli altri premiati sono Stefano Dal Bianco con Paradiso (Garzanti) per la poesia e Vincenzo Trione con Prologo celeste (Einaudi) per la saggistica
Cuore nero di Avallone è già venduto in oltre 17 paesi e ha confermato al mondo letterario il talento della scrittrice, originaria di Biella, che si trasferì a Bologna per studiare filosofia. Forse non tutti sanno che Avallone è anche specializzata in filologia moderna con una tesi su La Storia di Elsa Morante: un’autrice, Morante, che ne ha certamente influenzato lo stile.
In questa sua ultima opera la scrittrice compie una profonda analisi sul tema del male, ispirandosi a fatti realmente accaduti. Cuore nero ci mette dalla parte del mostro e ci impone una sospensione del giudizio, ma anche una domanda schiacciante: “È davvero possibile la redenzione?”.
Una sorta di “delitto e castigo” rivisitato per scandagliare il tema della colpa dal punto di vista femminile. L’azione si svolge nello sperduto borgo di Sassaia, in provincia di Biella, un luogo che pare essere situato ai confini del mondo dove, forse, è ancora possibile la salvezza. Interessante notare che la rivisitazione dei casi di cronaca nera sta diventando una moda molto frequentata nella letteratura italiana contemporanea: i più recenti casi sono la Premio Strega Donatella Di Pietrantonio con L’età fragile e Maria Grazia Calandrone con Magnifico e tremendo stava l’amore, editi entrambi da Einaudi. La narrativa, anche se nella forma della fiction o dell’autofiction, sembra avvicinarsi - sino a intersecarlo - al genere thriller in una sorta di nuova forma di true-crime che imita il successo di podcast e serie tv.
“Cuore nero”: cronaca e attualità nel romanzo di Avallone
Per scrivere quest’ultimo libro, Silvia Avallone si è documentata presso il carcere minorile del Pratello, a Bologna, dove negli ultimi anni ha tenuto laboratori di scrittura. Il tema della colpa esplorato dalla scrittrice è legato a un’adolescenza spezzata: nel suo libro la protagonista, Emilia, ha compiuto un delitto a quindici anni e, dopo aver scontato la sua pena, dinnanzi a lei si spalanca un futuro che le fa improvvisamente paura. Per questo motivo si rifugia a Sassaia, un borgo remoto dal “cuore di pietra”, dove incontrerà Bruno, che cambierà tutto.
Nel romanzo ha un ruolo decisivo Riccardo, il padre di Emilia, che, pur portando la colpa della figlia come una croce, la stimola a studiare e a riappropriarsi della sua vita.
In queste pagine Silvia Avallone tocca un tema delicato, che continua a far discutere l’opinione pubblica: con grande sensibilità l’autrice non chiama mai le “carcerate” “detenute”, ma studentesse. Ci ricorda che il carcere non ha una funzione di condanna, ma educativa: i nostri sistemi carcerari non sono sentenze inappellabili, ma rappresentano il tentativo sociale di riabilitare il detenuto e, quindi, di reinserirlo nella società. All’interno dei carceri minorili lavorano persone che stanno a contatto ogni giorno con i ragazzi, trattandoli come esseri umani, facendoli studiare, nutrendoli di fiducia. Il messaggio di redenzione che ne deriva è che il male può essere arginato mediante la forza della cultura.
Tramite le parole Silvia Avallone offre una “fuga verso il bene”, in un mondo in cui l’odio appare facile e scontato, la scrittrice dona la speranza di affrancarsi dal male compiuto e ci dimostra che la letteratura dovrebbe fare questo: esplorare, anche nei suoi aspetti più bui e inenarrabili, le possibilità dell’umano.
Recensione del libro
Cuore nero
di Silvia Avallone
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Premio Viareggio-Rèpaci: vince Silvia Avallone con “Cuore nero”
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