Primavera. La stagione inquieta
- Autore: Alessandro Vanoli
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2020
“Aprile è il più crudele dei mesi
genera lillà da terra morta
confondendo memoria e desiderio
risvegliando le radici sopite
con la pioggia della primavera”.
Così T.S. Eliot nell’immortale Terra desolata.
Davanti al nuovo saggio di Alessandro Vanoli sulla primavera, Primavera. Stagione inquieta (Il Mulino, 2020), per libera associazione mi sono tornati in mente questi versi: la mitezza (apparente) della primavera è forse più insidiosa del gelo dell’inverno. A livello interiore, intendo. Se la gelata della “cattiva stagione” rapprende, tacitando ogni moto irrazionale dell’anima, il primo tepore primaverile è, di contro, spesso foriero di un intimo turbinio; di moti naturali e intrapsichici languidi e fiammeggianti al contempo.
Anima e natura diventano sottotraccia smaniosi, incoerenti, predisposti alla mutazione. Nella sua quadrilogia dedicata alle stagioni, fa bene Alessandro Vanoli ad aggettivare la primavera come “inquieta”, cioè tempo di mezzo, età di transito, dove tutto è possibile in quanto non è ancora. La primavera è stagione di epifanie, rivelazioni sottili capaci di solcare la natura come i cuori.
Aprile più di marzo: il mese primaverile per eccellenza. Il mese più "crudele” in quanto agevolatore di uno slancio vitalistico che può sfociare nel tripudio come nella disillusione. L’incipit di Vanoli è quasi lirico. Un taglio da saggio narrativo, che risuona da racconto epico. La narrazione primigenia del ritorno alla vita della natura:
“In principio. I cieli e la terra scossi da gemiti di un’alba di tempesta. Un’aria calda, bagliori grigi all’orizzonte, un’eco di tuono. Cominciò forse con un rumore di pioggia: lenta e irregolare, poi il suono si fece fragore e il fragore boato. E in un istante tutto fu acqua: scorreva, gocciava, respirava, scrosciava tra le rocce di torrenti appena nati. Una pioggia fitta come una risata. E con la pioggia venne la vita. e la vita si protese verso il cielo con ogni stelo, ramo o foglia. E scavò nel fango, immergendo le radici affamate nel buio della terra”. (pag. 7)
Fuori metafora, il rapporto tra tempo (il succedersi delle stagioni), essere umano e natura, si rivela intrinseco e biunivoco ab origine. Tempo e natura incidono, più ancora che influire, sugli stati d’animo e dunque sulle espressioni artistiche del genere umano. Questo saggio elegante e appassionato lo riprova in modo limpido e incontrovertibile. Attraverso un quadro d’insieme che taglia trasversalmente gli ambiti espressivi (storici, pittorici, letterari, folklorici, mitologici), suggestionati dal filo rosso ambivalente, struggente e crudele, "inquieto", per dirla ancora con l’autore di Primavera.
“Quel giorno la primavera ebbe i tuoi occhi. Flora, Demetra, Proserpina, qualunque sia il tuo nome. Si aprirono stupiti e sorridenti dal profondo inestricabile di un bosco appena sorto. Quel giorno la primavera ebbe il tuo corpo. Lunghi capelli castani intrecciati alle foglie; seni bianchi umidi ancora dell’ultima pioggia; braccia gambe dischiuse nei colori di larghi fiori profumati. Il respiro che si fece brezza tra le chiome degli alberi più alti; la risata che riecheggiò nello sbattere d’ali di stormi d’uccelli”. (pag. 7-8)
Recensione del libro
Inverno. Il racconto dell’attesa
di Alessandro Vanoli
Primavera. La stagione inquieta
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Primavera. La stagione inquieta
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