Purity di Jonathan Franzen

Un uomo famoso e carismatico capace di tutto per amore, una ragazza dal nome di cui vergognarsi, una madre chiusa nella propria follia e un padre di cui non si conosce né il nome né il viso. Jonathan Franzen torna nel 2016 e lo fa con “Purity” (Einaudi), un romanzo colossale, pieno e carnoso come una pesca matura che inevitabilmente macchierà le mani del lettore con suo dolce succo.
640 pagine nella quali lo scrittore riversa un mondo intero, anzi mondi interi, ognuno dei quali caratterizzato da un personaggio che non solo ha molto da raccontare, ma anche da trasmettere.

Si inizia con Pip Tayler, la Purity del titolo, ragazza piegata da un debito universitario che paralizza e condiziona ogni aspetto della sua vita: lavoro mediocre, relazioni mediocri, aspettative di vita mediocri. Legata con un insano doppio filo a sua madre, una donna in fuga dal passato e gravemente dipendente dalla figlia, non ha mai conosciuto suo padre. Tutto cambia quando un giorno incontra un’affascinante donna tedesca di nome Annegret, un’attivista che la introduce al Sunlight Project, ovvero un’organizzazione illegale che divulga sul web scoop riservati sui traffici e le debolezze dei potenti di mezzo mondo. Sarà proprio presso la sede sudamericana del progetto che Pip conoscerà il famosissimo Andreas Wolf, leader e ideatore del Sunlight Project, il quale la sedurrà su tutti i fronti possibili e la metterà sulle tracce di suo padre, con tutto ciò che ne consegue.

Franzen riesce con maestria a intessere una trama che lega la caduta del muro di Berlino agli Stati Uniti degli ultimi dieci anni, Wikileaks al giornalismo corrotto, la dipendenza dal sesso a quella affettiva, i trabocchetti familiari ai sentimenti autentici, le prime volte alle ultime volte, in un turbinio di storie e colpi di scena che fanno di questo romanzo un vero ritorno in pompa magna del popolare scrittore americano. Un libro imperdibile, per chi ama Jonathan Franzen e per chi non lo ha ancora scoperto.

“Per quanto ci ripetiamo che una faccia è solo una faccia, che non c’entra niente con il carattere della persona, siamo così abituati ad usarla per giudicare la gente che è difficile rimanere imparziali quando ne vediamo una deforme.”