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L’ultimo verso del Purgatorio si chiude, come ogni Cantica della Divina Commedia, con la parola “stelle”.
L’Inferno si concludeva infatti con una frase analoga: E quindi uscimmo a riveder le stelle, ma ora Dante è chiamato al passaggio successivo alla contemplazione, ovvero l’ascesa. Dopo essersi purificato il Sommo Poeta si dichiara “Puro e disposto a salire a le stelle”, che è poi la condizione che precede l’epifanica visione del finale del poema, quella divina: L’amor che move il sole e l’altre stelle, una frase che sintetizza il mistero della vita e dell’intero universo.
Con questo riferimento, “disposto a salire a le stelle”, posto in maniera significativa nel mezzo del poema, Dante ci sta consegnando un messaggio importante, anzi, sostanziale: le stelle, ripetute e richiamate nel finale di ogni Cantica, rappresentano la meta designata del pellegrino che si è smarrito nei meandri della “selva oscura”. Ora Dante appare più vicino alla meta, il suo intelletto è stato affinato dagli incontri, le visioni, i sogni, i riti. il suo corpo è purificato dai peccati, dunque la prodigiosa ascesa dell’Essere è quasi realizzata.
Siamo nel XXXIII Canto del Purgatorio, ambientato nel giardino del Paradiso terrestre, si tratta di un episodio carico di avvenimenti: dalla profezia oscura di Beatrice allo svelamento della missione di Dante, sino alla purificazione del Sommo Poeta che viene condotto da Matelda ad abbeverarsi alle acque del fiume Eunoè, che rafforza in lui la memoria del bene compiuto. Questo passaggio riveste una funzione peculiare nella Commedia, poiché Dante, per la prima volta, realizza di essere un uomo diverso da quello che era prima: è avvenuto in lui un cambiamento, una metamorfosi, che il poeta traduce in una metafora arborea, si paragona infatti a una “novella pianta” con una nuova fronda. A questo punto del suo cammino gli si apre, finalmente, la via del cielo.
Il canto è pervaso da un’atmosfera mistica, si apre infatti con una salmodia in latino: Deus, venerunt gentes cantata da sette donne, cui si unisce Beatrice che appare come la Madonna ai piedi della croce. La donna, definita da Dante in precedenza come “cosa venuta / di cielo in terra a miracol mostrare”, chiama il Sommo Poeta vicino a sé perché gli deve comunicare qualcosa ed è giusto che lui la ascolti meglio. Alla fine del discorso di Beatrice, Dante sentirà la sua mente “impressa come cera da un sigillo”. Qualcosa in lui è mutato per sempre, ora ha una nuova consapevolezza interiore ed è pronto a purificarsi.
In questo verso, Puro e disposto a salire a le stelle, posto nel finale del Purgatorio, è racchiuso in nuce il significato dell’intera opera dantesca, della Divina Commedia stessa.
Vediamone più nel dettaglio analisi e significato e spiegazione del XXXIII Canto del Purgatorio in cui la sua comparsa l’invenzione dantesca del fiume Enoè.
“Puro e disposto a salire a le stelle”: analisi e significato del verso di Dante
Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinnovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire alle stelle.
La Divina Commedia stessa si esprime nel movimento costante di Dante, il poeta pellegrino che muove dal basso (l’Inferno) verso l’alto (Paradiso). Questo verso così caratteristico, posto proprio nel mezzo del percorso, ci offre un’importante chiave di lettura, rivelandoci che tutta l’opera dantesca è il tentativo di innalzarsi costantemente verso la meta. Il moto di Dante è ascensione continua dell’Essere, che si esprime in maniera sublime in questo verso:
Puro e disposto a salire alle stelle.
Le stelle sono il motivo ideale della Commedia e, non a caso, ne segnano il compimento venendo a rappresentare l’armonia di tutte le meraviglie del creato.
L’animo di Dante a questo punto del suo viaggio si predispone a questa armonia, esortato dalle parole di Beatrice che, ancora una volta, lo redarguisce imponendogli di abbandonare i suoi “vaneggiamenti” (non parlare più come uom che vaneggia) e di spogliarsi di timore e vergogna. La donna “splendente di virtù” lo chiama a fidarsi di lei completamente, come una madre; e, infine, Dante sarà chiamato a una sorta di rinascita, bevendo le acque del fiume Eunoè che stimola in lui il pensiero buono, giusto, orientato al Bene.
Canto XXXIII Purgatorio: la profezia di Beatrice
La profezia di Beatrice, che occupa la parte centrale del canto finale del Purgatorio, è oscura. La donna parla con parole da teologa, dense di riferimenti alle Sacre Scritture, e fa riferimento alla corruzione della Chiesa, data - all’epoca di Dante - dal trasferimento della sede papale ad Avignone. La corruzione ecclesiastica è simbolicamente espressa attraverso l’immagine di un vaso rotto da un serpente; ma la donna predice a Dante che presto un inviato di Dio (forse un imperatore, come suggeriscono i riferimenti alle insegne) punirà i responsabili e ristabilirà la giustizia. Il discorso di Beatrice è uno dei punti culminanti dell’opera, perché la virtuosa donna amata da Dante conclude esortando il Sommo Poeta a scrivere il suo poema per far tesoro della profezia che lei gli ha appena rivelato.
Nel XXXIII Canto del Purgatorio a Dante viene finalmente rivelato il suo scopo, che è legato alla scrittura:
Tu nota; e sì come da me son porte,
così queste parole segna a’ vivi
del viver ch’è un correre a la morte.
La raccomandazione di Beatrice a Dante è: scriverai ciò che io ti ho detto e lo riporterai ai vivi sulla terra, che pure sono presto destinati alla morte. Beatrice, che anche da viva è sempre stata creatura celeste, ha finalmente assolto il proprio compito, comunicando a Dante il suo messaggio. Lui non si sente pronto ad accoglierlo né a intenderlo completamente, ma la donna lo rassicura conducendo Dante nel mezzo di una radura che pare incantata. Il Sommo Poeta scorge quindi due fiumi che scorrono da un’unica foce, come il Tigri e l’Eufrate, e domanda a Beatrice quale sia il significato della sorgente. Lei, giunta al principio della radura, si scansa ed eclissandosi gli dice: “Domanda a Matelda di spiegartelo”. Entra di nuovo in scena dunque Matelda, uno dei personaggi più enigmatici della Divina Commedia.
Canto XXXIII Purgatorio: la figura di Matelda
Matelda ha fatto la sua comparsa per la prima volta nel Canto XXVIII del Purgatorio, quando Dante fa il suo ingresso nel Paradiso Terrestre. La donna è descritta quasi come una ninfa immersa in un’atmosfera bucolica: Matelda, ci dice Dante, è bella e giovane e ha il capo adornato di fiori mentre cammina sul ciglio di un torrente. Appare come una bellezza pittorica di matrice botticelliana. Il poeta, come una metafora classica, forse mutuata proprio dal suo maestro Virgilio, la paragona a Proserpina prima che venga rapita da Plutone.
Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore
ti scaldi, s’ì vò credere à sembianti
che soglion esser testimon del core,
La donna appare a Dante prima dell’incontro con Beatrice, che avverrà nel XXX Canto, e sarà proprio lei a sostenerlo quando il poeta sarà abbagliato dalla bellezza sfolgorante della “donna dal candido vel cinta d’uliva”.
Matelda immergerà il Sommo Poeta nelle acque del Lete, il fiume dell’oblio, infine lo condurrà alle rive dell’’Eunoè, il fiume del Bene, perché la sua purificazione sia compiuta.
Il personaggio di Matelda ha una chiara funzione allegorica; ma il suo ruolo storico appare più incerto, c’è chi ha scorto in questo personaggio un riferimento a Matilde di Canossa e chi, invece, ha visto in lei una Beata (forse addirittura la Beata Mattia, che ripete un miracolo simile a quello di San Gennaro, Ndr), fedele dell’amore divino, che si fa mediatrice pura tra cielo e terra.
Canto XXXIII Purgatorio: il fiume Eunoè
La purificazione di Dante è definitivamente compiuta solo dopo l’immersione nelle acque del fiume Eunoè. Il poeta sarà scortato alla foce da Matelda e dal saggio Stazio, il poeta latino vissuto nell’età dei Flavi. Non è un caso che Dante ponga Stazio nel Purgatorio, poiché le sue conoscenze relative al Sacro Monte, che precede il Paradiso, sono derivate dagli scritti dell’autore latino che, tra le altre cose, annotava che nel Purgatorio non si verificano fenomeni metereologici. L’immaginario cristiano di Dante è, dunque, curiosamente infarcito di riferimenti pagani: il paesaggio che il poeta ci propone in questo Canto risente della narrazione latina di Stazio quanto di quella di Virgilio.
Proprio in virtù del suo ruolo di accompagnatrice alle foci dei due fiumi, a Matelda è stata attribuita una funzione allegorica: si sostiene, infatti, che la donna dal capo ornato di fiori sia una rappresentazione della felicità primigenia, che apparteneva agli uomini prima della cacciata dal Paradiso terrestre, e incarni un ruolo preciso deputato a un preciso scopo: immergere le anime nei fiumi deputati alla purificazione.
Il fiume Eunoè, a differenza del fiume Lete che è di matrice classica (curioso notare come Dante lo sostituisca ai fiumi citati nella Bibbia, quali il ), è un’invenzione poetica dantesca; così come potrebbe esserlo, in fondo, la stessa Matelda.
L’Enoè ha una funzione antitetica rispetto al Lete: l’immersione nel fiume ci dà la memoria del Bene compiuto, mentre il Lete concede l’oblio del Male. Lo scopo del fiume creato da Dante è quello di “restituire la coscienza d’ogne ben fatto”, concludendo così il processo di espiazione e purificazione dell’anima.
Matelda spiega all’ignaro Dante che il fiume Enoè sortisce il proprio effetto solo se agisce dopo il Lete.
e non adopra / se quinci e quindi pria non è gustato
La gioia della memoria del Bene compiuto è piena solo se prima ha agito la dimenticanza del male commesso. Il poeta osserva che il sapore dell’acqua dell’Enoè è superiore a quello di ogni altro fiume, sottolineando così la qualità superiore di questa sua seconda immersione nelle acque.
a tutti altri sapori esto è di sopra
Solo al termine di questo processo, simile a un nuovo battesimo, Dante potrà dirsi davvero “puro”. Ed ecco che finalmente quel verso conclusivo della Cantica del Purgatorio acquisisce un senso.
Puro e disposto a salire alle stelle.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Puro e disposto a salire a le stelle”: significato e spiegazione dell’ultimo verso del Purgatorio
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