La scrittrice francese Valérie Perrin ha al suo attivo due romanzi: il primo, Il quaderno dell’amore perduto è stato da poco riproposto in Italia dalla casa editrice Nord (2020, traduzione di Giuseppe Maugeri) dopo il vero e proprio caso editoriale di Cambiare l’acqua ai fiori (e/o, 2019), il suo secondo libro.
La chiamano “narrativa che consola” e la categoria editoriale in cui si colloca Up-Lit, “tira su”. Una definizione più che appropriata anche per il romanzo di un’autrice il cui grandissimo successo è da attribuire al passaparola dei lettori e ai consigli degli stessi librai, molto apprezzato soprattutto durante il lockdown.
Il quaderno dell’amore perduto: trama
“Mi chiamo Justine Neige. Ho ventun anni. Lavoro da tre anni alla casa di riposo Le Ortensie. Faccio l’aiuto infermiera. […] Amo due cose: la musica e la terza età. Più o meno un sabato su tre vado a ballare al Paradis, che dista una trentina di chilometri dalle Ortensie. Il mio «Paradiso» è un cubo di cemento armato, buttato in mezzo a un prato, con un parcheggio di fortuna dove a volte, intorno alle cinque del mattino, infilo la lingua impastata di alcol nella bocca di qualche esponente del sesso opposto”.
Contravvenendo a due sue inflessibili regole, frequenta da tempo un tipo di ventisette anni che abita vicino al Paradis, “Comesichiama”: non ne ricorda il nome, ma, pur non essendo innamorata, con lui si trova bene.
Justine abita a Milly, un paese di circa quattrocento abitanti, difficilmente individuabile sulla cartina geografica. I cartelli con scritto IN VENDITA sono altrettanto numerosi delle case, ma, dato che la stazione ferroviaria e l’autostrada più vicine distano almeno cinquanta chilometri, nessuno compra nulla.
In realtà, ama anche il cugino Jules – che per lei è come un fratello – e i nonni, che hanno cresciuto i nipoti, rimasti orfani nel 1996 quando i loro genitori “hanno avuto la pessima idea di morire in un incidente stradale, tutti e quattro, una domenica mattina”.
L’amore di Justine per gli anziani è iniziato in seconda media, dopo aver trascorso con la classe un pomeriggio in una casa di riposo:
“Dopo lo spettacolo, ci eravamo messi a mangiare le crêpe con i vecchietti, che serravano tovaglioli di carta nei pugni gelidi. Per me è cominciato tutto nel momento in cui avevano preso a raccontarci le loro storie. I vecchi non hanno altro da fare, quindi sanno raccontare il passato meglio di chiunque”.
Alle Ortensie Justine sa che bisogna ascoltare, sempre, subito, perché il silenzio non è mai troppo lontano. La sua storia preferita è quella di Hélène Hel, la signora della 19, che il personale chiama "la donna della spiaggia" perché si isola, per gran parte del tempo, su una spiaggia immaginaria.
Non è un caso se, da quando è arrivata nella casa di riposo, un gabbiano – unico esemplare della zona – ha eletto come domicilio il tetto dell’edificio.
Hélène le ha raccontato, anche se in maniera frammentaria, la storia della sua vita e di un amore sopravvissuto alla sfortuna, alla guerra, alla deportazione. Il nipote ha chiesto a Justine di scrivere per lui tutte le cose che sa di sua nonna e Justine ha comprato un quaderno azzurro che si porta sempre appresso, nella tasca del camice.
L’esistenza di Hélène non è stata ordinaria: incapace di imparare a leggere e scrivere, ha lasciato la scuola a nove anni per lavorare nella sartoria dei genitori. È nata due volte: il 20 aprile 1917 a Clermain, in Borgogna, e il giorno in cui, nel 1933, poco prima dell’estate, ha incontrato Lucien Perrin. L’uomo che, insegnandole a leggere in Braille, l’ha tirata fuori da una prigione cui lei credeva di essere condannata a vita. L’uomo che, al fine di quello stesso anno, le farà la proposta di “non matrimonio” e al quale sarà legata per tutta la vita.
Del resto, anche la vita di Justine, pur confinata nei limiti angusti di un piccolo paese di provincia, è tutt’altro che banale: è sopravvissuta alla tragedia familiare vivendo accanto al nonno, solitario e taciturno, e alla nonna che, per anni, ha avuto la fissa del suicidio; entrambi sono incapaci di gesti di affetto, non sopportano i ricordi e si rifiutano di parlare dell’incidente in cui hanno perso i due figli gemelli e le loro giovani mogli. A causa loro, Jules e Justine hanno trascorso tutte le domeniche nel cimitero del paese a mettere fiori freschi su una grande tomba su cui campeggiano le foto delle nozze delle due coppie ed è stato vietato loro tutto ciò che poteva rappresentare un pericolo.
Ha tante domande, ma nessuno che possa risponderle. Ha perso la sua spensieratezza con la morte dei genitori – ha “saltato una casella” – e si è buttata a capofitto nel lavoro e nelle storie degli altri, di quelli che ricordano e che raccontano, forse perché molti aspetti della sua stessa storia familiare le sfuggono: nelle vite altrui trova quel conforto che i nonni non le hanno saputo dare e che lei restituisce prendendosi cura quotidianamente degli anziani della casa di riposo, con gesti e premure che vanno al di là delle sue mansioni.
Justine, come tutte le donne, porta sulle spalle il peso di chi l’ha preceduta e, quando scrive, si ritrova addosso qualcosa che appartiene al passato e che le fa guardare le cose – l’amore, il sesso, la maternità… – con una nuova prospettiva.
E più mette ordine nella vita di Hélène attraverso la scrittura, più sente l’esigenza di scavare nel proprio passato e in quello di Jules.
Nonostante le terribili risposte che riuscirà ad avere sull’incidente che ha causato la morte dei genitori e degli zii – verità intime e inconfessabili, incidenti, fatalità, errori irrimediabili – deciderà di non riparlarne mai più col nonno e con la nonna e, soprattutto, di lasciare Jules all’oscuro di tutto:
“Mi sento un po’ come una bimba che scopre che uno dei suoi genitori è un criminale di guerra, e che mantiene il segreto”.
Sarebbe riduttivo catalogare Il quaderno dell’amore perduto come un romanzo sulla vecchiaia e sull’importanza della memoria. Pagine ricche di poesia e di umanità, che arrivano dritte al cuore di chi legge, si alternano nelle due vicende narrate, una nel presente e l’altra nel passato, ma non manca anche un risvolto da libro “giallo”.
Periodicamente, infatti, alcune famiglie ricevono, con tempismo perfetto, una telefonata in cui si annuncia la morte del loro parente ricoverato. La mattina dopo si precipitano alle Ortensie per organizzare il funerale e scoprono invece che il vecchietto è vivo e vegeto, nonché contentissimo della visita inattesa. I familiari hanno un’unica cosa in comune: non hanno mai fatto visita ai loro cari.
“Tutti sospettano di tutti, come in un giallo di Agatha Christie, ma senza il cadavere. Buffo immaginare un romanzo in cui Miss Murple è chiamata ad indagare proprio perché il morto non c’è...”.
Justine, novella Miss Murple, scoprirà solo nelle ultime pagine l’identità del Corvo: un piccolo colpo di scena che conferma, se ce ne fosse bisogno, il talento narrativo di un’autrice che ha dimostrato di saper affrontare con garbo, ironia e sincerità anche gli argomenti più complessi e dolorosi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il quaderno dell’amore perduto: torna in libreria l’esordio di Valérie Perrin
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